venerdì 12 giugno 2020

Dall’unità italiana nella omogeneità del centralismo amministrativo, all’unità nelle diversità e nell’autonomia delle comunità locali

di Carlo Annoni

Dal blog di Nuova Costituente



Passato

L’unità politica italiana risale al XIX secolo. E’ stato un processo cui concorsero minoranze nazionali e nazionaliste, e cui concorsero indubbiamente anche i giochi di potere degli stati europei. Qualcuno, secondo me con esagerazione, ha dato un risalto dominante alle strategie degli stati europei,  facendo pensare della unificazione come di una operazione eterodiretta.

Personalmente riconosco che all’unità italiana concorsero sicuramente disegni ed interessi stranieri, ma ritengo le energie e le forze in gioco fossero principalmente “italiane”.

Questo perché l’unificazione era spinta da motivazioni reali e profonde. Quali?

Riconosco tre principali motivazioni attorno cui si ebbero prima mobilitazione e poi consenso.

La prima motivazione, propria delle élite intellettuali “nazionaliste” e di una parte delle élite politiche,  si ebbe come aspirazione alla salvaguardia della “nazionalità” attraverso un autogoverno nazionale garantito da un esercito nazionale contro minacce esterne e interne.

La seconda motivazione la trovo nella esigenza profondamente sentita dai ceti sociali di commercianti e  industriali, di un unico mercato interno nazionale, sia per i prodotti che per i servizi ed i capitali, e regolato da una moneta unica.

La terza motivazione la trovo nella esigenza, da parte delle élite più illuminate degli stati preunitari, della modernizzazione del paese.

Che poi l’autogoverno delle comunità locali italiane fosse sacrificato e l’Italia imboccasse la via di uno stato nazionale amministrativamente accentratore e ideologicamente centralista, non era esito scontato e necessario: fu questione di cultura e di contingenze politiche, quindi, sostanzialmente, di uomini e di storia.

Al di là degli esiti di allora, dobbiamo chiederci se le motivazioni originarie che mobilitarono e su cui si ebbe il consenso, sono sopravvissute ai 160 anni passati.


Presente

Proviamo ad esaminare ciascuna delle motivazioni sopra individuate.

• 1. La salvaguardia della nazione attraverso un governo centrale italiano garantito da un esercito nazionale. Allora, nella oppressione da parte di altre nazionalità, si imponeva l’esigenza della “potenza militare”. Era questione di esistenza. In un contesto europeo dove vigeva l’equilibrio di potenza di cui attori erano gli imperi e gli stati nazionali europei, l’Italia per esistere come nazione doveva esistere come stato e soprattutto come esercito.
Per altro, il sostanziale squilibrio tra aspettative di potenza e realtà, ha avuto un duplice effetto di squilibrare strutturalmente i bilanci pubblici e di incoraggiare avventurismo in politica estera (Italia sempre nella parte di aggressore nei conflitti internazionali).
Dopo il 1945 poi, la minaccia esterna da parte degli altri paesi europei cessa grazie al trionfo degli Usa e alla istituzionalizzazione di una alleanza sotto egemonia e controllo Usa: la Nato.
La Nato rende superfluo lo Stato unitario italiano come soggetto cui è demandata in esclusiva la difesa della nazione, rendendo superfluo che l’esercito debba essere unitario per garantire la sopravvivenza nazionale nel contesto europeo. Che siano 1 o 10 o 100 eserciti di italiani a contribuire alla Nato, poco cambia in un’Europa dove l’equilibrio di potenza interno è di fatto superato dal suo assorbimento in un sistema di alleanze “imperiale” egemonizzato dagli Usa.

• 2. L’esigenza di un mercato interno unico. L’esigenza di uno stato nazionale per garantire un mercato interno nazionale si è dimostrata essenziale per gli interessi degli imprenditori italiani. Il mercato unico italiano è stata conquista essenziale per lo sviluppo del paese; ma il valore di questa conquista è stato superato con la costruzione del mercato unico europeo e con un soggetto, la Ue, capace di negoziare trattati di scambio internazionali. La moneta unica europea, ha inoltre fornito su scala continentale quello che la lira aveva fornito su scala nazionale. L’accesso al mercato ed alla moneta non hanno più nulla a che fare con le dimensioni dello stato aderente. Il Lussemburgo partecipa al mercato unico come e meglio di grossi stati.

• 3. La necessità della modernizzazione italiana. La modernizzazione avviata in alcune zone d’Italia tra assolutismi illuminati e impero napoleonico, modernizzazione contrassegnata da importanti conquiste civili (laicità istituzione ed eguaglianza nel diritto) e legislative (codice civile), la modernizzazione sociale (con la liberazioni dai vincoli feudali e corporativi), la modernizzazione della scuola (con il superamento della egemonia religiosa) e la modernizzazione economica (con il dispiegamento della rivoluzione tecnico-scientifica), richiedeva uno stato più forte e centralizzato di quello che toccò in sorte a paesi come gli USA.

Ci dobbiamo chiedere quanto oggi sia necessario alla modernizzazione di un paese (ancora) sviluppato, uno stato interventista e centralizzato, e quanto invece possano essere necessarie istituzioni più prossime alle comunità locali, più capaci di risposte differenziate e più orientate a fornire un contesto da cui la modernizzazione si sviluppi senza una direzione centrale e più affidata ai singoli e alle comunità locali.

L’esempio di tanti piccoli paesi europei oggi più capaci dei grandi, e, ancor di più, dei “grandi a vocazione centralista”, nel cogliere e realizzare le opportunità esistenti nello sviluppo di una modernizzazione profonda e di successo, dovrebbe farci considerare superato il ruolo dello stato come regista e insieme attore della modernizzazione del paese.

A differenza del XIX secolo, quando l’accentramento amministrativo e politico aveva rappresentato una scorciatoia, con una validità in determinate situazioni, oggi uno stato centralista e burocratico si dimostra poco idoneo nel sostenere una modernizzazione del paese sostenuta in primis da tecnologie che favoriscono la molteplicità e distribuzione dei centri di decisioni e di servizio e la globalizzazione delle catene del valore.

Lo sviluppo delle scienze e tecnologie, ed il parallelo sviluppo di accordi e istituzioni internazionali (non ultima la UE) creano le condizioni per una mobilità dei capitali, delle idee, delle tecnologie, della scienza, che nelle rendite di posizioni corporative e parassitarie raccolte nello e attorno lo stato, tanto più quanto invasivo e centralista, trovano gli ostacoli più tenaci.

Le grandi istituzioni statali nazionali, centralizzate e centraliste, non sono oggi, nel contesto dell’Europa continentale, istituzioni funzionali alla modernizzazione di un paese e delle sue comunità.


Futuro

Le soluzioni che, magari solo ieri, avevano dato un valore, non è detto siano oggi altrettanto valide. Il mondo cambia  e lo fa rapidamente. Proprio il grande stato accentratore, dirigista e interventista, oggi sembra non un mezzo ma l’ostacolo per adattarsi ad avere successo nel mondo.

Abbiamo visto sopra come le motivazioni “utilitaristiche” alla base dello stato italiano si siano perse in poche generazioni, e se oggi vogliamo partecipare da protagonisti vincenti delle vicende di questo mondo, dobbiamo riconoscere i cambiamenti avvenuti.

Darwinianamente, dobbiamo evolvere se vogliamo vivere con successo, ma forse anche solo sopravvivere.

Fare fronte al nuovo ambiente in modo vincente per il paese e per i suoi cittadini, richiede che  dallo stato burocratico e tendenzialmente onnipotente che sviluppa interventi dirigistici legislativi ed economici, si evolva verso un sistema politico-istituzionale che integra rappresentanze, governi e amministrazioni locali e che si integra alla società senza velleità di sostituirsi ad essa. Quella che serve alla società Italiana, è una evoluzione da un sistema volto a sostituire l’iniziativa privata fino ad occupare ed annullare la società in se, verso un sistema il cui scopo diviene quello di supportare le iniziative private dei suoi cittadini e di difenderle, non sostituendosi loro.

E’ una evoluzione, quella che dobbiamo affrontare, che dovrà fondarsi su un nuovo patto nazionale per il quale non valgono più le motivazioni che nel corso del XIX secolo portarono alla formazione dello stato italiano.

Un nuovo patto “nazionale” richiede nuove motivazioni e impone una forma politico-istituzionale conseguente.

Questa evoluzione non richiede necessariamente la rinuncia ad un elemento identitario, la nazionalità italiana, fatta di storia, di lingua, di arte e cultura, di successi e sconfitte su cui comunque esiste un diffuso, anche se magari confuso, sentimento nazionale. Vuole però dire coniugare l’elemento identitario con una diversa istanza politico-istituzionale che risulti contemporaneamente più capace di risposta alle sfide competitive nel contesto attuale e più capace di una risposta positiva alle richieste di partecipazione civile e di autogoverno locale.

Le motivazioni che, quasi due secoli addietro, giustificarono ai più la scelta di sopprimere o non ammettere l’autogoverno delle comunità locali, oggi sono palesemente cadute. L’autodifesa, il mercato e la modernizzazione sono oggi ugualmente o meglio soddisfatte con un assetto non più vincolato da una amministrazione centralizzata e da una politica interventista e centralista.

Che le condizioni siano oggi così cambiate a favore di opzioni di autogoverno delle comunità locali, come a favore di entità statali più piccole, più leggere e con minore velleità di onniscienza e onnipotenza, nulla dice su quale sarà l’esito di una partita che è e rimane una lotta tra classi e gruppi con interessi diversi, a volte divergenti, ed il cui esito è determinato dalla coscienza dei propri interessi, particolari e comuni, nonché dalla volontà, e dalla capacità di farla valere rispetto a interessi e volontà altrui.

Una partita essenzialmente interna – in cui per altro si inseriscono le volontà e gli interessi degli attori esterni, statuali e non statuali – che come condizione di partecipazione prevede l’organizzazione di queste istanze in un movimento politico.

E’ una finestra di opportunità quella che abbiamo davanti, reale ma non facile e che passa per una lotta politica capace di modificare le coscienze ed i rapporti di forza nel paese.

Se una nuova costituente per una nuova Italia deve essere, questo potrà avvenire solo quando le tante volontà e idee oggi disperse riusciranno a vincolarsi in un movimento politico capace di azione politica, capace di essere una forza determinata e determinante.

Ai promotori di “Nuova Costituente” spetta oggi l’onere di tracciare e proporre la road map che porti dall’attuale “gregge” disperso di italiani disillusi e delusi, alla forza politica capace di guidare l’Italia ad una nuova esistenza, ad un nuovo senso dello stare assieme, alla riscoperta della bellezza e della forza di un popolo di persone libere e responsabili, anzi, della forza delle genti e dei popoli della penisola italica.

Non è un compito facile e non è neppure un compito gradevole. La politica non profuma di gelsomino o di tigli in fiore e se qualcuno pensa di poterne avere gratificazioni personali sbaglia e di molto. La politica è e rimane “sangue e merda”, quindi a chi si caricherà le enormi responsabilità di indicare una via e di guidare l’Esodo da questo paese che oggi sentiamo come la casa del faraone, dobbiamo fare i nostri più forti auguri, e magari cercando di non farli mai sentire soli.

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