A dispetto delle parole spese quotidianamente dai governanti italiani, i fatti vanno in una direzione che costringerà l'Italia a uscire dall'euro.
L’Italia, sarà bene iniziare a capirlo, non uscirà dall’euro attraverso un percorso decisionale, ma perché costretta a uscire dall’euro perché impossibilitata a rimanerci, e questo a prescindere dalle intenzioni dei futuri governanti italiani.
Di Carlo Annoni.
Pubblicato su finanza & lambrusco il 15 dicembre 2016.
Pubblicato su finanza & lambrusco il 15 dicembre 2016.
I media nostrani trasmettono l’idea che in italia ci sia uno scontro tra populisti favorevoli a uscita dall’euro e élite responsabili favorevoli a rimanere nell’euro.. uno scontro che dovrebbe decidere le sorti italiane nel club euro.
Peccato che saranno i numeri, e non le parole, a decidere. L’Italia, sarà bene iniziare a capirlo, non uscirà dall’euro attraverso un percorso decisionale, ma perché costretta a uscire dall’euro perché impossibilitata a rimanerci, e questo a prescindere dalle intenzioni dei futuri governanti italiani.
L’insieme di regole e vincoli posti attorno l’euro a partire dalla sua creazione, ne danno una realtà come trasposizione su scala europea del vecchio DM.
Solo a queste condizioni la Germania accettò il diktat francese che subordinava la riunificazione tedesca alla adozione di una moneta comune. E sempre la Francia impose alla riluttante Germania che anche l’Italia facesse parte del club euro.
Ora, l’incompatibilità manifesta tra un euro a immagine dm e sistema italiano (caratterizzato da una propensione strutturale al deficit di bilancio, elevata spesa pubblica, elevata ingerenza pubblica, scarsa qualità servizi pubblici, moralità personale pubblico bassa, opacità trasferimenti interni, centralismo, stagnazione produttività..) era una evidenza già a fine XX secolo.
La premessa (e promessa) dell’euro era che l’Italia in primis – e poi l’intero club med – sarebbe divenuta più simile alla Germania, non che la Germania sarebbe scivolata verso l’Italia.
Così non è stato, e così non sarà.
La Germania, recuperata la propria unità, non ha oggi alcuna intenzione ed interesse ad entrare in una deriva europea simile a quella post-unitaria italiana. Sarà bene rendersi conto che la strategia dei nostri ultimi governanti “eletti”, sempre a chiedere euro a Bruxelles e Francoforte – con piagnistei o arroganza poco cambia – per rilanciare una spesa pubblica già ipertrofica, non può che aver aumentato la diffidenza e l’ostilità verso il bel paese dei popoli e dei governi del centro e nord-europa.
Purtroppo la sfida e l’opportunità che abbiamo avuto, quella di guardare e muoverci “verso nord”, è stata miserabilmente persa.
Nell’Italia post-89 c’è stato un conflitto di classe tra chi vive di stato e chi paga lo stato, e il conflitto si è concluso con la disfatta dei secondi.
Basta vedere governo e parlamento, ma meglio ancora consultare vecchie nuovi media, per capire la dimensione della sconfitta di chi credeva nella necessità di una modernizzazione del bel paese, una modernizzazione che non poteva che passare dalla sconfitta degli interessi parassitari.
Potremmo disquisire sul come e il perché della disfatta che ha lasciata intatto il sistema corporativo prima ancora che consociativo avente come perno lo Stato dei benefici e dei privilegi, e qualche storico penso abbia già iniziato a farlo.
Ma oggi l’incertezza sul futuro dell’italia fuori dall’euro non è il “se”, ma solo il “quando” ed il “come”.
Sarà bene prenderne atto.
Peccato che saranno i numeri, e non le parole, a decidere. L’Italia, sarà bene iniziare a capirlo, non uscirà dall’euro attraverso un percorso decisionale, ma perché costretta a uscire dall’euro perché impossibilitata a rimanerci, e questo a prescindere dalle intenzioni dei futuri governanti italiani.
L’insieme di regole e vincoli posti attorno l’euro a partire dalla sua creazione, ne danno una realtà come trasposizione su scala europea del vecchio DM.
Solo a queste condizioni la Germania accettò il diktat francese che subordinava la riunificazione tedesca alla adozione di una moneta comune. E sempre la Francia impose alla riluttante Germania che anche l’Italia facesse parte del club euro.
Ora, l’incompatibilità manifesta tra un euro a immagine dm e sistema italiano (caratterizzato da una propensione strutturale al deficit di bilancio, elevata spesa pubblica, elevata ingerenza pubblica, scarsa qualità servizi pubblici, moralità personale pubblico bassa, opacità trasferimenti interni, centralismo, stagnazione produttività..) era una evidenza già a fine XX secolo.
La premessa (e promessa) dell’euro era che l’Italia in primis – e poi l’intero club med – sarebbe divenuta più simile alla Germania, non che la Germania sarebbe scivolata verso l’Italia.
Così non è stato, e così non sarà.
La Germania, recuperata la propria unità, non ha oggi alcuna intenzione ed interesse ad entrare in una deriva europea simile a quella post-unitaria italiana. Sarà bene rendersi conto che la strategia dei nostri ultimi governanti “eletti”, sempre a chiedere euro a Bruxelles e Francoforte – con piagnistei o arroganza poco cambia – per rilanciare una spesa pubblica già ipertrofica, non può che aver aumentato la diffidenza e l’ostilità verso il bel paese dei popoli e dei governi del centro e nord-europa.
Purtroppo la sfida e l’opportunità che abbiamo avuto, quella di guardare e muoverci “verso nord”, è stata miserabilmente persa.
Nell’Italia post-89 c’è stato un conflitto di classe tra chi vive di stato e chi paga lo stato, e il conflitto si è concluso con la disfatta dei secondi.
Basta vedere governo e parlamento, ma meglio ancora consultare vecchie nuovi media, per capire la dimensione della sconfitta di chi credeva nella necessità di una modernizzazione del bel paese, una modernizzazione che non poteva che passare dalla sconfitta degli interessi parassitari.
Potremmo disquisire sul come e il perché della disfatta che ha lasciata intatto il sistema corporativo prima ancora che consociativo avente come perno lo Stato dei benefici e dei privilegi, e qualche storico penso abbia già iniziato a farlo.
Ma oggi l’incertezza sul futuro dell’italia fuori dall’euro non è il “se”, ma solo il “quando” ed il “come”.
Sarà bene prenderne atto.
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