sabato 2 marzo 2013

Pagine da "la Rivoluzione Liberale" di Piero Gobetti (1924)

Una Italia tristemente attuale nelle lontane parole di Piero Gobetti.
Tra una borghesia d'accatto e la mancanza di un serio partito conservatore si situa il terreno su cui attecchisce la peggiore demagogia.


"Si potrebbe cercare, senza intenzione riposta d'arguzia, la più grave deficienza del liberalismo italiano nella lunga mancanza di un partito politico francamente conservatore.
Senza conservatori e senza rivoluzionari, l'Italia è diventata la patria naturale del costume demagogico."
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"Prima dell'assunzione della Sinistra al potere la lotta per l'indipendenza nazionale e il difficile problema del risanamento finanziario contrastavano ogni serio proposito di preparare le condizioni favorevoli alla lotta politica. La Destra era un governo di conciliazione e di concentrazione nazionale, e La Farina con la sua lega politica non si mostrava più timido del Partito d'azione di fronte alle riforme radicali.
Invece dopo il '70 la pratica unanime di questo radicalismo nazionalista si convertiva in un germe di dissoluzione per i nostri costumi politici.
« Il conservatorismo -secondo il pensiero del Bluntschli -ha il suo ufficio naturale dopo una rivoluzione e dopo una trasformazione politica di un popolo, quando si tratta di mantenere i risultati raggiunti e impedire che trasmodino ».
Ora, di questo pensiero soltanto Stefano Jacini si faceva eco e interprete per la situazione italiana. « Conservantismo e liberalismo, quando coesistano in permanenza nel seno di un corpo politico, l'uno di fronte all'altro, formano insieme le condizioni necessarie della sua salute normale; e sono destinati, nell'interesse del progresso civile, a prevalere alternativamente: questo quando occorre dar mano ad un lavoro indefesso di riforme; quello quando occorre riparare le forze che, per effetto del lavoro, si sogliono logorare, ciascuno sorvegliando l'altro e impedendogli di trasmodare... »"
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"Assai meglio di Silvio Spaventa, preoccupato di esprimere le sole esigenze dell'unità e dell'autorità dello Stato, Jacini aveva capito come il problema italiano dovesse risolversi in un problema di stile politico.
Un partito conservatore poteva compiere in Italia una funzione moderna, indirettamente liberale, in quanto facesse sentire la dignità del rispetto alla legge, l'esigenza di difendere scrupolosamente la sicurezza pubblica e l'efficacia del culto delle tradizioni per fondare nel paese una coesione morale."


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"Le classi borghesi mancano di una coscienza capitalistica e liberistica, e cercano di difendersi, di non lasciarsi sopraffare partecipando esse pure all'accordo e facendosi pagare in dazi doganali e sussidi ciò che devono elargire in imposte. L'operaio e l'agricoltore non usano avvedersi di questo ultimo anello della catena per cui il beneficio iniziale torna a ricadere su di loro. Mancando di iniziativa coraggiosa hanno bisogno di delegare, anche a proprio danno, allo Stato la funzione di allontanar l'imprevisto e il pericolo.
Qui la crisi si riassume nelle scarse attitudini degli italiani all'autogoverno, che le fantasie anti-parlamentari favorite dal fascismo teorizzano nel modo più sconsolante e inconscio. Lo spettro del bilancio riesce l'indice di tormenti più laboriosi che soltanto la rivoluzione dei contribuenti riuscirà a coronare. Senonché con questi discorsi siamo addirittura nei limiti della profezia.
Bisogna che nuove condizioni di maturità economica preparino le aristocrazie adatte (operai, intraprenditori agricoli, capitani d'industria, principi mercanti) a sostituire il governo degli impiegati di Colombino, di Rossoni e di Farinacci.
Solo con la coscienza di questi fini la rivolta antiburocratica e l'invocazione alle iniziative regionali potranno migliorare il nostro costume politico." 

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