C.A.
A pochi mesi dalle elezioni, un incubo aleggia nella mia mente...l’astensione.
Come tanti altri amici liberali, fatico a dare fiducia ad uno dei tanti progetti emersi recentemente per catturare il voto liberale.
Appelli troppo generici, credibilità da costruire, assenza di un disegno politico e strategico espliciti, mi stanno portando a considerare seriamente l’opzione astensionista.
Il mio interesse ad un ricambio dei politici (politicians) è molto basso se questo non sottintende un cambio delle politiche (policies).
Molti amici, i più responsabili, mi segnalano l’importanza di dar continuità all’agenda Monti e quindi di appoggiare chi appoggerà Monti.
Ma Monti ha una propria agenda? Forse, di sicuro non è una agenda politica ma una lista di obblighi da ottemperare per stare nell’euro ed in Europa.
Il come ottemperare agli obblighi, cioè le scelte politiche determinanti - poichè ad esempio diverso è aumentare le tasse dal diminuirle anche se il risultato a breve non cambia - non fanno veramente parte dell’agenda Monti, in questo effettivamente dandone una connotazione di tecnico. Quindi dire di andare a votare per appoggiare l’agenda Monti è impreciso o manipolatorio. Non si tratta di un tema nuovo, quello dell’appoggio a Monti.
Proprio un anno fa, con l’amico Mario Saccone, si era intervenuti nel dibattito di Verso Nord ponendo una questione di linea politica in relazione all’appena costituito governo Monti. (1)
Consigliando prudenza alla direzione del movimento, scrivemmo:
“.. la linea secondo noi dovrebbe essere quella di appoggiare il governo Monti quando segue una agenda liberale (ed una agenda liberale è la lettera BCE di Draghi e Trichet) e valutare se appoggiarlo caso per caso su tutte le altre misure, rifacendosi ai principi del Manifesto di Verso Nord”.
Un anno dopo è a tutti evidente che il governo Monti non è, nè poteva essere, il governo della rivoluzione liberale. Forse Monti avrebbe voluto fare di più nella direzione di politiche realmente liberali, ma dobbiamo ammettere che non avrebbe potuto fare di più, perché le politiche di governo non si determinano sulla base di un astratto bene comune e/o di presunte razionalità, ma sulla base dei rapporti di forza in essere tra gruppi, corporazioni, ceti e classi sociali (e anche stati, naturalmente).
E oggi, i rapporti di forza in parlamento (ma non solo) semplicemente non vedono in campo forze seriamente e autenticamente liberali in quanto fondate sulle aree sociali che hanno interessi oggettivi nelle politiche liberali; quindi pensare che rappresentanti di corporazioni statalistiche, di cordate plutocratiche e poteri forti vari avrebbero appoggiato riforme di tipo liberale si configurava come pura e semplice illusione.
E come sarà la situazione nel 2013, dopo le imminenti elezioni?
Se vediamo le forze politiche in campo e quelle che si preparano ad entrarvi, difficilmente possiamo indulgere in facili ottimismi.
Non perché manchino anche personalità e gruppi seri e con idee apprezzabili, ma perché spesso queste figure e gruppi si dimostrano immature o poco capaci di una vera prassi politica. Nella confusione (e sfiducia) generale assistiamo così alla frammentazione di chi dovrebbe rappresentare le istanze anti-statocratiche e libertarie.
Oggi, a poche settimane dal voto, il quadro politico rimbomba di voci che vorrebbero richiamarsi ad un qualche liberalismo, ma la mia impressione è che i tre principali gruppi in campo stiano viaggiando ciascuno in direzione diversa: da un lato Italia Futura, secondo i media propensa a trattare con UdC e Finiani e con questi accomunata da un appoggio “incondizionato” a Monti, da un altro “Fermare il declino”, che sembra propensa a correre in splendido isolamento, altrove i Radicali che stanno giocando su ogni tavolo possibile. (2)
A questa confusione contribuisce ulteriormente l’incertezza sulle regole elettorali future e l’indecenza di quelle attuali. Come dicono gli amici Radicali, anche questi sono segnali precisi di un regime partitocratico e non democratico teso tutto alla salvaguardia degli interessi di un blocco sociale sostanzialmente parassitario. Ma questo sistema non lo si cambia semplicemente con le parole. Serve la politica, che è ciò che manca oggi e che mi sta portando a considerare seriamente l’opzione astensionista.
Per convincermi a votare, i dirigenti dei movimenti di ispirazione liberale mi dovrebbero dare risposte convincenti a una serie di domande che da tempo formulo:
- i vari raggruppamenti, gruppetti, singoli, di ispirazione liberale, libertaria, liberista, sono in grado di superare le reciproche sfiducie?
- esiste una forma politica in grado di mettere assieme i tanti indipendenti, FID, IF, i Radicali, e le tante altre piccole forze in cui si intravvede forte l’ispirazione liberale?
- siamo pronti a portare avanti una politica realistica ma radicalmente liberale e rinunciare a massimalismi parolai, velleitari e inconcludenti? Anche a costo di allearci con il “diavolo”?
Se le risposte fossero tutte positive, e quindi fosse preliminarmente risolto il non banale problema identitario di chi sarebbe in un polo liberale, dovremmo comunque da subito porci un problema di alleanze e non tanto per andare alle elezioni, quanto soprattutto per riuscire a dare una impronta liberale al dopo. Inutile ingannarci: oggi il mondo liberale, anche unito, sarebbe tragicamente minoritario. Tuttavia essere minoranze non implica necessariamente la passività e l’inefficacia politica.
Allora, cosa e come si potrebbe fare per dare uno spazio a politiche autenticamente liberali anche in Italia e non semplicemente per far posto a “nuovi” politici con l’etichetta di liberali (e così convincermi ad andare a votare)?
Per rispondere a questo non partirei dalle strategie pre-elettorali, ma con le scelte post-elettorali. Con un po' di brutalità comincio con l’affermare che non intravvedo serie alternative praticabili ad un Monti bis, e questo per due motivi:
- la estrema debolezza dell’intero quadro politico nazionale
- la drammatica situazione economica e sociale.
In queste condizioni il cerino, al di là dei bellicosi proclami elettorali di quasi tutti i politicanti, verrà lasciato volentieri nelle mani di Monti. Nulla di nuovo all’orizzonte, allora?
Come scrivevo poco sopra, il nostro obiettivo, più che di far largo a qualche politico che si dica liberale, dovrebbe essere che questo paese adotti politiche liberali; potrebbe allora avere un senso l’appoggio a una figura comunque autorevole, come Monti, in questo accettando l’alleanza con forze totalmente estranee a noi, forze che sappiamo voler difendere lo status quo. E’ una partita sicuramente difficle, ma con idee chiare e nervi saldi può essere giocata e vinta. Infatti l’appoggio dovrebbe essere condizionato e con condizioni individuate già oggi a cemento di una lista che, più che per Monti, sia per una nuova Italia, più liberale, più moderna, più occidentale e europea.
Ripeto. Come liberali dovremmo avere il coraggio di allearci anche con il diavolo, ma nella consapevolezza che si tratta di una matrimonio di interessi e non d’amore. E nella consapevolezza che si può rinunciare a qualche politico eletto in cambio di buone politiche da realizzarsi.
Ai nostri futuri alleati (e a Monti) dovremmo far capire che ovviamente siamo anche noi per la salvezza del Paese, ma in un quadro di nuovi rapporti tra ceti e classi, tra stato e società.
La nostra attenzione attuale deve allora essere non sul solito programma generico e ambiguo, ma sulle condizioni concrete da porre per un appoggio ad un futuro esecutivo Monti e capaci di unire buona parte dei liberali.
Purtroppo le mille agende, piattaforme e programmi ad oggi maturate in area liberale rimangono esercizi retorici, se non tradotte in obiettivi concreti e condivisi ed in parole d’ordine attorno cui ritrovarsi e su cui chiedere le fiducia degli italiani.
Ecco, per convincermi a votare, vorrei anzitutto una vera concreta, fattibile, misurabile e verificabile agenda liberale, e la promessa da parte di ciascun candidato al parlamento di farla propria.
Quale potrebbe essere una realistica piattaforma per salvare il Paese ma soprattutto per cambiarlo? Pochi, chiari, verificabili e misurabili punti da completare con valori e date prima delle elezioni:
- Riduzione drastica e rapida del numero di dipendenti sia di enti pubblici che degli enti locali e delle strutture e società collegate (es. 10% primo anno e 5% ogni anno a seguire fino fine legislatura).
- Riduzione entro primi 3 mesi di governo, degli stipendi pubblici, di enti locali e della sanità pubblica arrivando ad un risparmio, di almeno il 25% su attuali costi medi per dipendente. (3)
- Ristabilire, entro il primo anno di governo, la legalità su tempi pagamento fornitori nel settore pubblico
- Aprire, entro un termine preciso, gli appalti pubblici garantendo almeno 50% a micro e piccole imprese
- Effettuare la vendita del patrimonio immobiliare pubblico (inclusi enti locali) per valori a 10 cifre ogni anno e a partire da subito.
Penso che su questi punti, che non casualmente sono compatibili e coerenti con lettera Draghi-Trichet del 2011, sia possibile la convergenza dei liberali e sia possibile trovare un accordo per dare un appoggio leale ad un nuovo esecutivo Monti.
Sono punti la cui realizzazione eviterebbe misure controproducenti come un ulteriore aumento della pressione fiscale, ma, soprattutto, la loro realizzazione costringerebbe a ridefinire il rapporto tra società e stato, e tra classi e gruppi della società.
Senza un soggetto che sappia unire i tanti liberalismi e faccia dei punti sopra esposti la propria linea del Piave, Monti probabilmente vincerà la battaglia dell’Euro ma gli Italiani perderanno la propria guerra con il futuro. Nuove tasse, una inquisizione tributaria da paese totalitario, e infine una patrimoniale sono dietro l'angolo. Solo una presenza liberale forte e autonoma potrebbe impedire questo scenario. ma di sicuro, mancando tale soggetto e la chiarezza di un piattaforma minima di misure da concordare per il prossimo governo Monti, penso che il mio incubo, l’astensione, si realizzerà, e, sospetto, non solo per il sottoscritto.
2 Non ne abbiano gli amici che aderiscono o promuovono altri raggruppamenti nel mondo Lib, ma ho solo citato i tre gruppi con una speranza di avere un consenso di almeno 1%. E’ ovviamente una semplificazione, ma necessaria, almeno a livello di questa riflessione.
3 Tanto per avere termini di confronto, e non parliamo a livello qualitativo dove il confronto potrebbe essere ben più impietoso, vista la natura puramente clientelare di molti posti di lavoro nel settore pubblico, ecco qualche numero per capire: “Se in Germania tra il 2000 e il 2008 la spesa per il personale pubblico (stipendi più contributi) in percentuale del pil è scesa dall’8,1% al 6,9%, in Italia, sempre nello stesso periodo di tempo, tali oneri sono aumentati passando dal 10,4% al 10,9% del Pil [NdA. nel 2009 siamo arrivati al 11,2%!! ]. In buona sostanza in Italia il costo della pubblica amministrazione è superiore di quasi 4 punti percentuali di pil rispetto alla Germania. Pertanto, se la spesa della nostra pubblica amministrazione fosse pari a quella tedesca, in rapporto al Pil, potremmo risparmiare circa 60 miliardi di euro ogni anno. …Da noi ci sono 61 dipendenti pubblici ogni mille abitanti (in termini assoluti pari a 3.630.600 unità), in Germania ve ne sono 55 ogni mille abitanti (pari a 4.540.600 unità). Se in Italia il 57% è alle dipendenze dello Stato centrale (e l`altro 43% è impiegato tra Regioni, Asl ed Enti Previdenziali), in Germania solo il 12% lavora per lo Stato centrale mentre il restante 88% è distribuito tra i Lander e gli altri enti locali.” Dati CGIA Mestre
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