Corriere della Sera di domenica 15 agosto 2010, pagina 45
di Salvati Michele
PARTITO DIVISO E SCELTE MANCATE Il rebus sul modello elettorale che costringe il Pd a inseguire
Nel campo del centrodestra le vacanze sono iniziate in una grande confusione e alla ripresa dei lavori nessun esito può essere escluso.
Se però è rimasta in Fini e Berlusconi una residua capacità di calcolo politico al di sotto dei risentimenti reciproci, è ancora possibile che due settimane a mente sgombra la rimettano in funzione. In tal caso essi si accorgeranno che non conviene costringere l'avversario in una condizione in cui perde la faccia, e dunque indurlo a mosse dettate dall'orgoglio e dalla difesa a oltranza delle proprie ragioni. Berlusconi vuole provocare un chiarimento e chiedere un voto di fiducia su alcuni punti programmatici che ritiene essenziali? Più che giusto. Ma allora formuli questi punti in modo che Fini possa votarli senza smentire le preoccupazioni che ha espresso negli ultimi mesi. In altre parole: accetti un compromesso e associ Fini più strettamente alla guida effettiva del Pdl. Oggi quest'esito sembra lontanissimo, perché lo scontro sembra vertere su principi non negoziabili, sull'opposizione tra Stato di diritto e Stato azienda. Ma i politici negoziano anche il non negoziablle quando è in gioco l'interesse della loro parte: le preoccupazioni di Fini in tema di legalità e di costituzionalità sono fondate, non ghiribizzi dettati da pura ambizione personale, e prenderle in seria considerazione non può che giovare all'immagine e alle prospettive future del centrodestra.
Non vedo invece una soluzione evidente insieme realistica e ragionevole alla confusione esistente nel campo del centrosinistra e soprattutto alle incertezze del suo partito maggiore, il Partito democratico. Questo è oggi, e lo è da tempo, in una situazione simile a quella dell'asino di Buridano, che morì di fame per l'incapacità di scegliere tra due mucchi di fieno. Fuor di metafora, nel Pd albergano due concezioni molto diverse del proprio futuro e di conseguenza due indirizzi d'azione nel presente. Secondo la prima concezione, l'intera vicenda della Seconda Repubblica, costretta al bipolarismo da leggi elettorali maggioritarie, ha arrecato danni gravi alla sinistra ed al Paese. Al Paese perché i problemi italiani non sono affrontabili in un contesto che premia leader populisti rispetto a élite politiche moderate e disposte all'accomodamento: da noi manca un tessuto di convinzioni politiche e costituzionali condivise che attenuino la rissa tra i due schieramenti, che consentano, quando è necessario (e lo è spesso) soluzioni bipartisan. Inoltre il bipolarismo, almeno nel nostro Paese, arreca guai seri alla sinistra perché si afferma in un contesto di «o di qua, o di là», di contrasto esasperato, tende a prevalere la destra. E per questo che conviene alla sinistra l'esistenza di forze politiche di centro autonome e robuste, che poi si possano alleare al governo con la destra o la sinistra a seconda delle circostanze. Oltretutto, visto che l'amalgama che doveva dar vita al Pd è riuscito male, il Pd potrebbe trasformarsi in un «normale» partito socialdemocratico e la sua coerenza interna ne verrebbe rafforzata: la vecchia anima di sinistra, quella cui il grosso dei militanti è ancora affezionato, potrebbe riemergere con forza, liberata dalle mediazioni con le forze centriste confluite nel partito. Conviene dunque al Paese e alla sinistra tornare a una legge elettorale proporzionale che consentirebbe al centro di irrobustirsi e al Pd di entrare finalmente nel grande alveo socialdemocratico europeo. Suvvia, non siamo inglesi, torniamo al proporzionale e alla Prima Repubblica!
L'Ulivo prima e ll Pd poi sono però nati come movimenti politici della Seconda Repubblica, figli di una legge elettorale maggioritaria, e non sono pochi, all'interno del Pd, coloro i quali non danno per persa la partita. Che ancora ricordano i guasti del proporzionalismo e del parlamentarismo che caratterizzava la Prima Repubblica e vorrebbero che il governo venisse scelto dagli elettori. Che credono non ci sia nulla di inevitabile nella prevalenza del centrodestra e che un partito democratico non di sinistra ma di centrosinistra potrebbe in futuro prevalere contro gli avversari in uno scontro bipolare: un futuro anche vicino, se riesce a darsi un'anima che ispiri i militanti e un progetto che convinca gli elettori. Di conseguenza, questa parte del Pd ritiené che il cattivo esito del nostro bipolarismo sia dovuto alle sue origini, alla presenza eccezionale di Berlusconi, non a suoi difetti insuperabili. E dunque sostiene una legge elettorale maggioritaria: non questa, che fa schifo a tutti, ma una delle tante possibili che consentano agli elettori la scelta dei loro rappresentanti insieme alla scelta del governo.
In presenza di questo contrasto come fa il nostro asino di Buridano a non morire di inedia? Come può un partito convincere gli elettori quando esso stesso non è convinto? Quando i suoi leader sono divisi su identità e progetti così diversi come quelli che abbiamo descritto? In questo caso esso va inevitabilmente a rimorchi degli avversari e la sua unità è dovuta non a scelte interne, ma a influenze esterne. Sicché, se prevarrà l'accordo Fini-Berlusconi che prima abbiamo ipotizzato, il Pd sarà costretto a stare insieme e a giocare al gioco bipolare: destinato a perdere, perché non vince chi gioca senza convinzione. Se invece la crisi del centrodestra si aggrava, e si va verso uno scontro elettorale del tipo «tutti contro Berlusconi» scontro inevitabile se il conflitto interno al Pdl assumerà la forma di «Stato di diritto» contro «Stato azienda» nel prossimo futuro il Pd è destinato a spaccarsi o a perdere la sua componente centrista, poiché la condizione che terrà assieme l'unione sacra dei «tutti» sarà probabilmente il ritorno al sistema proporzionale.
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