di Sergio Chiamparino
Il Messaggero
13 aprile 2010
Caro direttore,
la proposta lanciata da Romano Prodi sul suo giornale, cioè l’idea di rifondare il Pd come partito federale, e la risposta del segretario del Pd, Pierluigi Bersani, mi spingono ad intervenire e a spiegare perché credo che Prodi abbia ragione. Ritengo la sua impostazione convincente, mossa dall’ambizione di ricostruire la struttura e il profilo del Partito democratico ripartendo dal basso, spezzando finalmente quella logica autoreferenziale fatta dai bilancini tra correnti e controcorrenti, caminetti e sub caminetti, che ha condizionato da sempre la vita del partito.
Dico questo perché c’è un dato di fatto, incontrovertibile, da cui ripartire: abbiamo perso tre elezioni con tre segretari diversi. E sotto la loro guida anche se forse per Bersani è troppo presto per dirlo il Pd è stato bloccato da un meccanismo imperniato su gruppi e sottogruppi, che preesistevano al Pd e che ne hanno condizionato la vita al di là di quelle che erano le intenzioni degli stessi segretari. Le logiche sono rimaste le stesse dei partiti fondatori.
Non c’è altro modo per sottrarsi a questo abbraccio soffocante che seguire il metodo suggerito da Prodi: tagliare i ponti col passato e cambiare radicalmente il meccanismo di selezione della classe dirigente. La prospettiva, altrimenti, mi sembra segnata: ci dovremmo accontentare di un futuro di sopravvivenza, a volte dorata a volte no, ma nulla più di questo. Perciò a Bersani dico di osare. Lui ha guidato il partito in una fase difficile, è inutile negare che abbiamo perso le Regionali, adesso abbia il coraggio di accettare la sfida. E’ una grande sfida quella di ricostruire un partito. Ci vuole tempo, impegno, bisogna lavorare duro, ma è proprio questo il compito che spetta al segretario e alla classe dirigente. Lui lo può fare.
Dicono che abbiamo perso le elezioni perché il Pd è assente sul territorio, raccoglie voti solo nelle grandi città dove il voto d’opinione è più forte, ma in provincia non ha più radici. Non mi convince del tutto quest’analisi. Noi nel territorio ci siamo, in Piemonte ci sono più circoli del Pd che sezioni della Lega. Il problema invece è un altro: quando incontri un operaio, un artigiano, un piccolo imprenditore devi avere cose da dire, invece non sai cosa dire. Oppure dici cose che non interessano. Cosa raccontiamo agli elettori? La storia tutta autoreferenziale di un partito che si sta trasformando in comitato elettorale? Dovremmo invece raccontare quali sono le nostre ricette per trasformare e modernizzare l’Italia. Credo che questo sia il messaggio che manca. Dopo l’ingresso nell’Euro questo Paese si è fermato sul piano della modernizzazione sociale ed economica. Vogliamo affrontare questa sfida da protagonisti o lasciarla in mano alla Lega? Ecco perché condivido la proposta di Prodi: solo ricominciando dal basso si può definire un nuovo profilo.
C’è chi cerca di utilizzare le parole di Prodi per regolare vecchi conti interni. Questa constatazione mi dà ancora più forza nel sostenere che è proprio ora di finirla con le correnti e i caminetti, visto che siamo da capo. L’ex premier ha lanciato una sfida che tutti dovremmo cogliere e non certo una critica a Bersani. L’idea di un segretario “primus inter pares”, eletto dai venti segretari regionali, mi convince. Anche perché un conto è il segretario, un altro il candidato premier. Mi sembra imprescindibile che il leader di una coalizione passi per il vaglio delle primarie coinvolgendo iscritti ed elettori.
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