di Carlo Annoni
15 aprile 2010
Ho l'impressione che l'intervento di Romano Prodi del 10 aprile 2010 apparso su il Messaggero sia stato trattato con troppa sufficienza dai notabilati politici che dai commentatori della stampa nazionale.
Personalmente ritengo l'intervento di Prodi significativo e centrato in quanto mette il focus sulle condizioni che realmente potrebbero permettere al PD di uscire dalla involuzione autoreferenziale da cui è afflitto.
Prodi pone l'attenzione su due aspetti essenziali nel determinare le reali condizioni di apertura e contendibilità della leadership nel PD:
la strutturazione del Partito, che Prodi propugna realmente Federale
il tesseramento
A differenza di quanto sostenuto da gran parte degli esponenti PD e da molti commentatori politici, questi aspetti sono sostanziali per il futuro del PD.
E' infatti improbabile che un partito, le cui regole e prassi costitutive (forma e tesseramento) si sono dimostrate incapaci a far emergere una nuova leadership e nuove idealità, produca qualcosa di diverso continuando a reiterare gli stessi comportamenti.
Quindi è corretto che Prodi inviti a cambiare le condizioni di accesso e funzionamento del Partito per rendere plausibile e credibile la partecipazione di forze fresche e motivate.
L'attenzione posta sulla serietà e correttezza del tesseramento, elemento poco rilevato da politici e commentatori, è condizione necessaria per ridare credibilità alla democrazia interna e alla partecipazione, così da invogliare l'entrata in campo di figure esterne alla nomenclatura degli apparati ed al sistema degli "interessi".
Certamente , e qui sta il limite dell'intervento, non basta denunciare cosa servirebbe, ma andrebbe concretamente capito come si possa determinare il cambiamento, con quali forze.
Mi sembra evidente infatti che ben difficilmente sarà l'attuale leadership a mettere in discussione lo status quo.
Le certezze strategiche ed ideologiche dell'attuale leadership non sembrano essere state minimamente intaccate dalla batosta delle regionali, per altro preceduta dalla batosta delle europee e ancor prima da quella delle politiche.
Oggi, delle forze mobilitate e motivate dalla nascita dell'Ulivo prodiano, sopravvive ben poco.
Motivazione e partecipazione sono scemate e di quell'esercito che portò alla vittoria del 1996 si può ben dire che poco è rimasto... che non siano nomenclature e gruppi oligarchici che a quel progetto di erano aggrappati con spirito di sopravvivenza.
Quindi, il vero punto debole nel ragionamento prodiano, non è nel "se" e nel "cosa", ma nel "come, chi, quando".
Ovviamente questo rende il PD strategicamente evanescente e debole, ma tant'è.. a piccole oligarchie e corporazioni basta il monopolio della opposizione per sopravvivere.
Chiamparino ha ben raccontato il dramma del PD "... quando incontri un operaio, un artigiano, un piccolo imprenditore devi avere cose da dire, invece non sai cosa dire. Oppure dici cose che non interessano" ma alla attuale leadership questo non sembra interessare, soddisfatta del fatto che il nostro sistema elettorale (compreso quello dei rimborsi elettorali) assicuri nei fatti al PD un quasi monopolio della opposizione.
Magari con la speranza che qualche evento "astrale" colpisca la destra consentendo una effimera alternanza.
Se questo è il destino del PD (e con esso temo dell'intero mondo progressista italiano), capisco bene che Prodi non ci si voglia rassegnare.
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