da Il Secolo XIX del 25 marzo 2010
di Francesco Peloso
Come se l’arcivescovo di Genova non avesse resistito al richiamo della foresta, alla pressione del "cardinal sottile" che, ancora una volta, voleva determinare, anche per interposta persona, gli equilibri politici nazionali con un estremo colpo di coda. Certo è che le sorti del cardinale Bagnasco appaiono ad oggi segnate: se la vicenda Boffo con i durissimi contraccolpi sul Segretario di Stato Tarcisio Bertone e su alcuni dei suoi più stretti collaboratori, a cominciare dal direttore dell’Osservatore romano, Gian Maria Vian, aveva finito col danneggiare l’autorità di Bertone e ridato fiato all’autonomia del presidente della Cei, le cose, ora, sono precipitate.
L’arcivescovo di Genova ha infatti compiuto uno scivolone di prim’ordine, tanto che ormai sarà anche il voto delle Regionali a decidere del suo futuro. Se infatti il Lazio vedrà la vittoria della candidata del centrosinistra Emma Bonino, la dichiarazione di voto del cardinale nella sua prolusione di lunedì, apparirà
come il gesto di un kamikaze.
Ancora peggio andranno le cose se in Piemonte dovesse prevalere Mercedes Bresso. Diverso sarebbe il discorso se a conquistare il posto di governatore nella Regione della Capitale sarà Renata Polverini sulla quel pesa, però, l’handicap liste.
Ma certo aver affidato a un pugno di voti le sorti della Chiesa italiana, è apparso, nei sacri palazzi, come un passo a dir poco improvvido. Anche perché il colpo assestato da Bagnasco è arrivato troppo tardi, a pochi giorni dal voto. La mobilitazione delle truppe cattoliche non si è realizzata e la battaglia anti-Bonino è stata condotta in solitario dal quotidiano Avvenire il cui direttore, Marco Tarquinio, fu appunto nominato con il consenso pieno di Bagnasco. Insomma il "Risiko" della Chiesa è di nuovo in movimento, con Bertone che a questo punto potrebbe diventare il "king maker" della situazione, mentre il presidente della Cei rischia di rimanere in carica con la tutela sempre più ingombrante della Segreteria di Stato.
Poi ci sono gli equilibri interni alla Chiesa italiana che stanno mutando; dentro lo stesso Consiglio episcopale permanente c’è uno scontro in atto di cui si è avuta prova anche in questi giorni. La pattuglia ruiniana è infatti ben presente nell’organismo di autogoverno della Cei, e certamente ha appoggiato la rottura della linea di una certa equidistanza politica portata avanti nei mesi scorsi dalla Conferenza episcopale.
Fra i fedelissimi dell’ex presidente dei vescovi italiani si ritrovano l’arcivescovo di Firenze, monsignor Giuseppe Betori, già braccio destro di Ruini alla Cei, e monsignor Claudio Giuliodori, alla guida della diocesi di Macerata che del cardinal sottile, fu portavoce. Al loro fianco si colloca l’arcivescovo di Bologna, Carlo Caffarra, intransigente sui temi etici e quindi con quei politici cattolici che non osservano alla lettera la legge della Chiesa. C’è poi il cardinale Severino Poletto, anch’esso su una linea ostile in merito a questioni dirimenti come il testamento biologico, l’aborto, le unioni di fatto tanto peggio se gay. Allo stesso tempo, tuttavia, Poletto è alfiere dei temi sociali: la Fiat e il suo indotto, nonché il mondo finanziario, quello dei manager, sono stati spesso al centro di analisi critiche da parte del cardinale. Il Patriarca di Venezia, il cardinale Angelo Scola, è da sempre vicino a Comunione e liberazione, ma si è ritagliato un suo spazio autonomo di analisi e intervento in particolare rispetto all’Islam; Scola, prosaicamente, è stato però sempre attento al tessuto imprenditoriale del Veneto colpito duramente dalla crisi.
Su un altro fronte - opposto a quello dei ruiniani - all’interno del Consiglio episcopale permanente, s’incontrano personalità come quelle dell’arcivescovo di Milano, il cardinale Dionigi Tettamanzi, spauracchio della Lega nord, poi il titolare della diocesi di Ivrea, monsignor Arrigo Miglio che ha affrontato il Carroccio su questioni come il federalismo solidale e il richiamo all’unità d’Italia; lo stesso Segretario generale della Cei, monsignor Mariano Crociata, è stato il primo a rompere gli indugi e ad attaccare il premier l’estate scorsa. Crociata è anche il fautore di una Chiesa che, di fronte alle scadenze elettorali, sappia dare indicazioni articolate e non identificabili con una sola parte politica. L’idea è quella di restituire autonomia e quindi margini d’azione all’episcopato italiano.
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