di Gim Cassano
Presidente di Alleanza Lib-Lab
9 febbraio 2010
Lungi da me la tentazione di far paragoni tra il Regno di Francia e la Regione Campania, ed ancor meno tra Enrico IV e Vincenzo De Luca; ma resta il fatto che il Congresso di Italia del Valori ha introdotto nel costume politico italiano l'ultima novità: quella dell'ordalìa quale strumento di decisione politica.
Dopo che al probabile candidato del centro-sinistra alla presidenza della Regione Campania è stata spiegata l'utilità o la necessità di “venire a rendere dichiarazioni spontanee”, in tipico linguaggio da procura, abbiamo così assistito allo spettacolo inusuale di un candidato ad un'importante carica politica cui viene richiesto di sottostare al giudizio di dio di un'ordalìa tribale, mettendosi nelle mani di una platea congressuale, peraltro governata nel più puro stile leaderistico. Appunto, "Napoli vaut bien une messe".
Non bisogna stupirsi di questo: tutto ciò è perfettamente in linea con l'apparenza e la sostanza di un Congresso che era sostanzialmente chiamato a dare forma di partito ad un movimento a leadership personale ed incontendibile, che ha raccolto, e continuerà comunque a raccoglier consensi attorno alla sgrammaticata e bertoldesca figura di un leader che declina in termini di populismo demagogico la giusta indignazione di molti italiani nei confronti del berlusconismo. Il che appartiene ad una concezione della politica che si sta facendo rapidamente strada in questo Paese, nei partiti di maggioranza, così come in quelli di minoranza od opposizione che dir si voglia. A destra, come a sinistra. E' quella di sottrarre le decisioni alla discussione, e di ricorrere all'applausometro, al plebiscito, all'acclamazione personale come strumenti di legittimazione dei vertici politici, a prescindere dalle posizioni che questi esprimano o non esprimano.
Nella situazione dell'Italia di oggi, occorre aver chiaro che il “come” si fa politica è altrettanto importante del “quale” politica si faccia, ammesso che se ne faccia una. Dal “come” si realizzano i meccanismi di partecipazione dei cittadini alle decisioni, dal “come” si organizzano i partiti, dalla qualità della loro vita interna, dal “come” vi si instaura una vita democratica interna, si creano gli esempi ed i modelli di quella partecipazione democratica la cui mancanza molti lamentano, e derivano i criteri di selezione e di promozione di una classe dirigente politica. Non può esservi difesa della democrazia senza partiti politici che sappiano praticarla al loro interno.
Vorrei ricordare come, nel percorso verso una compiuta democrazia rappresentativa, la formazione del partito politico moderno sia stato un passaggio fondamentale. I partiti, strumenti di lotta politica organizzati come corpi intermedi definiti attorno a concezioni culturali ed a interessi, finalizzati alla realizzazione delle sintesi politiche necessarie a proporre scelte coerenti, alla ricerca del consenso attorno a queste, alla selezione della dirigenza politica ed al consentire ai cittadini forme di partecipazione politica attive e dirette, sono la premessa del funzionamento di un sistema democratico, nel momento in cui l'esercizio della democrazia si fonda sul concetto di lotta politica.
Essi sono così uno strumento insostituibile nel funzionamento della democrazia rappresentativa, che non potrebbe in alcun modo operare senza di essi: nelle moderne democrazie, ai partiti competono compiti che arrivano a riguardare la sfera istituzionale. Le Costituzioni liberali e le norme che ne derivano, non ritenendo di poter sindacare in alcun modo le modalità di associazione dei cittadini, quasi mai intervengono nella regolamentazione dei partiti politici, affidando esclusivamente alla politica il compito della loro formazione ed evoluzione. Proprio questa rilevantissima funzione pubblica fa sì che la forma e il modo d'essere dei partiti non riguardino solo militanti ed iscritti, ma rivestano un rilievo generale, e che possano e debbano esser oggetto di discussione politica, dipendendo da queste il funzionamento effettivo ed il carattere della democrazia. E si deve peraltro osservare come vi siano al riguardo opinioni favorevoli al garantirvi in forza di legge trasparenza e democrazia interna. E' del tutto evidente, ed è confermato dall'esperienza storica, come tra le diverse forme-partito ed i metodi di lotta politica adottati vi sia una corrispondenza diretta e molto stretta, e come le forme dei partiti tendano ad ispirarsi alle concezioni di cultura politica e del modo di funzionare del sistema politico che essi propugnano. Le trasformazioni dei partiti politici, nella loro forma e modo di operare, hanno così rilevanza sull'evoluzione complessiva del sistema politico, e improntano le effettive condizioni di funzionamento di una democrazia.
E' quindi ragionevole ritenere che la mancanza di chances di partecipazione e di vita democratica all'interno dei partiti, oltre ad essere di per sé una delle fonti del degrado della democrazia, tenda a prefigurare concezioni riguardanti l'assetto del sistema politico del Paese, di volta in volta populiste, tecnocratiche, oligarchiche; non appare allora infondata la tesi che all'origine della corrosione progressiva dei fondamenti della democrazia italiana stiano proprio i meccanismi di partecipazione, formazione delle decisioni, selezione dei gruppi dirigenti, che vengono praticati nei nostri partiti.
Se tutto questo è vero, occorre ammettere che da un congresso, quale quello di IdV, che è apparso più simile ad un'assemblea tribale nella quale il capo-tribù è tale per definizione, se può arrivare un contributo per un'alleanza indirizzata a battere l'attuale maggioranza, non può arrivare alcun messaggio che possa far pensare ad una battaglia per la democrazia, e meno che mai per una democrazia liberale.
E, se è vero che l'attuale maggioranza ha conquistato l'egemonia culturale facendo leva su caratteri istintuali ed irrazionali mai estinti in questo Paese, diffondendo una mentalità acritica, facendo un valore dell'egoismo e dei particolarismi culturali, razziali, economici, territoriali, e sovvertendo quei principii generali ed “erga omnes” sui quali è stata scritta la Carta Costituzionale, occorre aver chiaro che questo fatto perdurerà ben oltre la scomparsa dalla scena politica di un figuro che non rappresenta per l'Italia “il” problema, ma “un” problema.
Tutto questo non può esser combattuto se non a condizione di introdurre nella vita pubblica italiana il predominio di una ragione politica, che non riguardi solo il “cosa”, ma anche il “come”: i contenuti e gli obbiettivi non possono esser perseguiti separatamente dai metodi. Il populismo berlusconiano non può esser combattuto con la scorciatoia del ricorso ad un populismo di segno opposto, del quale il giustizialismo casareccio è solo uno degli aspetti, e l'evidente incertezza sulle questioni economico-sociali un altro. Questa è la ragione per la quale ritengo che il Congresso di IdV non possa rappresentare, agli occhi di chi interpreti in termini di metodo e di percorso il significato di parole come democrazia, laicità, libertà, equità, un passo sulla strada maestra per combattere un berlusconismo che, come una metastasi, perdurerà anche dopo che il tumore originario sia stato asportato: quanto si è visto in quel Congresso dista anni-luce dalla visione di una moderna democrazia, intesa come la forma politica di una società aperta, partecipata, ed inclusiva.
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