venerdì 10 aprile 2009

ROTTAMIAMO L'EDILIZIA DEGLI ANNI DEL BOOM

da Il Riformista del 9 aprile 2009, pag. 8

di Aldo Loris Rossi

Il sanguinoso sisma che ha devastato il territorio aquilano ha mostrato per l`ennesima volta la fragilità del patrimonio edilizio italiano che appare pressoché sconosciuto. In estrema sintesi: qual è la consistenza di tale patrimonio e perché è così fragile? Bisogna rilevare che dall`unità d`Italia al 1945, cioè, in 84 anni, il numero dei vani è raddoppiato (da 17.621.000 a 34.534.000), mentre la popolazione è cresciuta di circa 20 milioni (da 26.128.000 a 45.222.000) conservando, tuttavia, un misurato equilibrio con la natura. Pertanto, alla fine della Seconda guerra mondiale si registrava un deficit di circa 10 milioni di vani rispetto agli abitanti. Ma negli ultimi 64 anni l`esplosivo sviluppo edilizio e economico ha travolto l`equilibrio pre-bellico senza realizzarne uno alternativo moderno. La popolazione è aumentata di 15 milioni (da 45 a 60), ma i vani di ben 85 milioni (dai circa 35 milioni suddetti, ai 120 odierni). Quindi oggi l`Italia è sovraurbanizzata, registrando il doppio dei vani rispetto agli abitanti. Tale esplosione urbana ha richiesto dal 1955 una moltiplicazione delle autostrade per oltre 13 volte (da 479 km a 6.487); mentre i veicoli sono aumentati di circa 134 volte (da 300mila a quasi 40 milioni); viceversa la rete ferroviaria si è ridotta di circa 7.000 (da 23.062 km a 15.965). Se si analizza tale patrimonio edilizio risulta che i 120 milioni di vani sono distribuiti in due categorie di costruzioni. A) Gli edifici costruiti prima del 1945, che consideriamo "storici" ai fini della tutela, formati da 30 milioni di vani, cioè la quarta parte del totale. Questo patrimonio realizzato in oltre 3.000 anni di storia costituisce l`identità stessa della civiltà italiana ed è da considerare un "bene unico e irriproducibile". Sebbene fragile, è sopravvissuto agli innumerevoli terremoti che si sono succeduti nella storia, per cui può e deve essere salvaguardato integralmente attraverso due tipi di incentivi. - La "fiscalità di vantaggio", o altro tipo di defiscalizzazione, escludendo sopraelevazioni o costruzioni in spazi liberi. Questo non solo per ragioni storico-ambientali e statico-sismiche, ma anche per non aumentare la densità abitativa edilizia; consentendo, peraltro, adeguamenti impiantistici. - La demolizione e delocalizzazione dell`edilizia postbellica che deturpa tali centri storici (accertabile attraverso pareri della Soprintendenza) consentendo nella nuova ubicazione un incremento volumetrico che può giungere fino al 50% della cubatura precedente. Questo incentivo alla delocalizzazione sarà esteso anche alle aree paesaggistiche protette e a quelle a elevato rischio vulcanico, sismico e idrogeologico, perché non solo le volumetrie non debbono aumentare ma ridursi in quanto inserite in un ambiente vulnerabile. B) Gli edifici costruiti dal 1945 a oggi composti da circa 90 milioni di vani, che in 64 anni hanno travolto la città "storica" dilagando sul territorio, sono da distinguere a loro volta in due tipologie. - Gli edifici realizzati dal 1945 al 1970, in generale non anti-sismici, composti da circa 47 milioni di vani. Essi sono stati realizzati nell`emergenza postbellica, prima delle leggi antisismiche più severe dagli anni 70 in poi, con impiantistica obsoleta, usando nel cemento armato, ferro ordinario e senza aderenza migliorata, con scarso rispetto delle regole esecutive, oggi di scarso valore economico. Questi limiti risultano dalle demolizioni di tali edifici dove si riscontra spesso che il ferro nel cemento armato è scomparso lasciando polvere di ruggine, per cui il cemento risulta "disarmato". Tali edifici (esterni ai centri storici) oggi mummificati nei Prg, possono essere rottamati e ricostruiti in sito con un incremento di volume fino al 35% allo scopo di essere adeguati alle norme antisismiche e all`impiantistica di sicurezza e alle energie rinnovabili. Questo principio può consentire di mandare al macero tale "spazzatura edilizia" e trasformarla in "architettura di qualità". Esso, esteso a scala urbana, permette la trasformazione delle periferie-dormitorio di edilizia pubblica o privata post-belliche, non antisismiche, prive di qualità, attrezzature, servizi e verde, in unità urbane a funzioni integrate, ad autosufficienza energetica; cioè in eco-cities. - Gli edifici realizzati dal 1970 in poi, antisismici, comprendenti circa 43 milioni di vani. Questi edifici vanno evidentemente conservati, ma possono essere adeguati all`impiantistica di sicurezza e all`energia rinnovabile, incrementando la loro volumetria fino al 20%, su parere delle Soprintendenze e dopo opportuno check-up sulla loro antisismicità. Va precisato che in questi due casi gli incentivi volumetrici sono consentiti se non ostacolano i diritti di terzi e se non si consumano altre aree verdi, da considerare anche esse "beni unici e irriproducibili". Queste tesi sono nel "Manifesto per la rottamazione dell`edilizia post-bellica priva di qualità e non antisismica" pubblicato nella rivista "L`architettura, cronache e storia" (n° 535 maggio 2000) fondata da Bruno Zevi, ex presidente del Partito radicale.

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