Cari cittadini di Gossolengo,,
siamo qui ancora una volta, “affinchè il passare del tempo non attenui il ricordo e la considerazione per quell’esercito di volontari ai quali, quasi esclusivamente, fu affidato l’immane compito di provare a tutti gli italiani ed al mondo intero, che il nostro popolo sa ancora amare la Libertà sino a dare la sua vita per conquistarla e difenderla” (Enrico Mattei: 1946).
E’ questa un’esigenza antica che noi intendiamo rinnovare sistematicamente perché l’oblio di come fu raggiunta la Liberazione del 25 Aprile, oltre a rivestire un innaturale ed insopportabile silenzio sui sacrifici sopportati dal mondo Partigiano, potrebbe ancora oggi rappresentare un alto rischio per le istituzioni democratiche della nostra Italia. Potrebbe, nel contempo rendere vanificante il senso di quel formidabile vincente impegno militare dispiegato, sul suolo italiano, dagli eserciti del mondo libero a costo di immani sacrifici di fatica e di vite umane. A Loro la nostra perenne riconoscenza.
Dunque il 25 Aprile 1945 la vittoria, la liberazione dalle forze nazifasciste, l’inizio di un percorso che avrebbe portato alla Costituzione Repubblicana; poi, dal ’48, l’avvio di libere consultazioni elettorali.
Cari cittadini,
sarebbe veramente educativo, conveniente e consolante che la popolazione tutta, potesse trascorrere questa giornata nel condiviso ricordo di quell’epocale fatto che realizzò il sogno di generazioni di italiani: la conquista della Libertà.
Non solo una Nazione “libera” nel contesto europeo e mondiale, ma un popolo “libero” all’interno del suo Paese, ove darsi autonomamente la Legge Fondamentale sulla quale poggiare la garanzia dei suoi diritti e le regole per un’ alta civile convivenza.
Risponderebbe veramente alla migliore aspirazione del nostro animo, potere oggi ripercorrere mentalmente, con unità di giudizio ed intenti, i luoghi, gli avvenimenti, le popolazioni, la gente, gli eroi che hanno con il loro sacrificio permesso il raggiungimento che oggi celebriamo e che sentiamo come parte indissolubile della nostra memoria dei nostri affetti delle nostre speranze del nostro futuro.
E così riandare con il pensiero ai nostri militari che a Cefalonia si immolarono per contrastare le forze tedesche; a quei militari che reintegrati nel ricostituito Esercito Italiano combatterono con pari dignità, insieme agli alleati lungo gran parte dell’Italia; a quei 600mila nostri connazionali che finiti in Germania, risposero “no” all’offerta di unirsi alla Repubblica Sociale Italiana, pur sapendo quale sarebbe stato il loro tragico destino; alle innumerevoli stragi dei civili perpretate dai nazifascisti in tanti Comuni italiani; allo sterminio degli ebrei e di quello dei nostri politici nei campi di sterminio germanici: lasciate, al proposito, che per tutti ne ricordi di loro uno: Francesco Daveri, avvocato, piacentino capo del Comitato di Liberazione Nazionale di Piacenza e figura importante del CLN nazionale di cui fu, per un periodo, Ispettore militare per il Nord Emilia , n. 126.054 del più terribile dei campi secondari di Mauthausen nell'Alta Austria, quello di Gusen II, riservato ai prigionieri "gravemente compromessi e incorreggibili", un luogo per lo scavo di enormi gallerie destinate a rifugi antiaerei e collegato alle industrie belliche. Lì ogni pietra era macchiata di sangue italiano e, secondo i sopravvissuti, non si resisteva più di una settimana; Daveri resistette un mese: aveva perduto la vista, non aveva più forze: morì il 13 aprile 1945 all’età di 42 anni lasciando la moglie e quattro figli, dodici giorni prima della liberazione distrutto dalla fame, dalle percosse, dalla malattia: i sopravvissuti del gruppo degli 800 in cui era incluso Daveri furono 16, due su cento. Come aveva sempre fatto, aiutava i più deboli finché poteva, ritrovava nella preghiera con alcuni compagni la fioca speranza cristiana, impossibile nell'annientamento totale della persona e della personalità prodotto nel lager; piangeva ripetendo che non avrebbe più rivisto i suoi figli.
Ed infine riandare con il pensiero lungo la nostra pianura piacentina e poi sulle colline e montagne a scoprire gli innumerevoli Cippi e Marmi riportanti i nomi di quei partigiani che pagarono con la vita il loro impegno civile. Il ricordo non può non richiamare i cinque preti, fra cui Don Beotti ed il seminarista Subacchi trucidati dai nazisti in quel lembo della diocesi di Piacenza che fa parte della provincia di Parma.
Cari Cittadini,
sento il dovere di dirvi che non è così cioè che questa epopea non è ancora oggi accettata ed incondizionatamente partecipata e che quindi non siamo qui a celebrare una ricorrenza condivisa ed affermata nei cuori e nelle menti, ed è per questo che oggi, 25 aprile 2009, siamo qui per riaffermare con forza le motivazioni uniche ed originali che da un evento così drammatico come la guerra hanno poi saputo cementare una nazione attorno ai principi indissolubili della libertà, della democrazia, della giustizia così come mirabilmente disegnati nella nostra Costituzione Repubblicana.
E siamo qui anche oggi per riaffermare quei principi perchè ve ne è il bisogno e la necessità.
Perché riaffermare oggi quei principi vuol dire:
difendere la libera partecipazione di ogni cittadino alla vita politica anche attraverso partiti che non siano di esclusiva proprietà del proprio leader e che, siano quindi governati al proprio interno con chiare regole democratiche;
vuol dire difendere l’istruzione quale elemento determinante nella
crescita della persona e nel suo completo disgregarsi anche al
servizio della comunità;
vuol dire difendere la libertà di stampa e di critica, a qualunque costo, e vuol dire difendere il principio della pluralità delle libere opinioni soprattutto nelle televisioni che oggi rappresentano, più della carta stampata, il mezzo di pressione verso l’opinione pubblica più forte ed ascoltato;
vuol dire opporsi a tutti quei meccanismi elettorali che di fatto esautorano i cittadini dalla scelta diretta dei propri rappresentanti negli organi istituzionali;
vuol dire difendere il lavoro e l’occupazione quale elemento portante del nostro sistema sociale e difendere il diritto ad avere notizie vere sul reale stato del nostro Paese in questo momento di crisi mondiale;
vuol dire difendere il principio di sussidiarietà e di decentramento
istituzionale nel Paese oggi fortemente messi in discussione dal
continuo impoverimento delle risorse degli Enti Locali;
vuol dire difendere per ogni genere di scelta il concetto di giustizia
sociale che presuppone l’applicazione di regole uguali in circostanze
uguali e per situazioni analoghe;
vuol dire, come scriveva Felice Fortunato Ziliani, “Resistere alla menzogna, resistere al tornaconto e all’egoismo per arricchire il dono più grande che abbiamo avuto nascendo: la libertà”.
In definitiva riaffermare oggi i principi ed i valori che hanno gettato le basi per la ricostruzione del nostro Paese, partendo dalla lotta di Liberazione, è indispensabile anche per contrastare in modo serio e puntuale la preoccupante crescita di una nuova cultura di destra che con forza, sta riemergendo in Europa ed in Italia.
Una cultura che fa della semplificazione del sistema Istituzionale e politico, in quanto ostacolo alla soluzione dei problemi reali della gente, il punto iniziale di un processo che si prefigge lo scopo, come nel nostro Paese, di giungere ad un sistema Presidenziale sbrigativo e concreto in cui i Parlamentari, i Consiglieri Provinciali, Comunali e tutta quella miriade di persone che a vario titolo partecipano alla vita politica sono inutili orpelli di un modello di società ormai superato.
Una cultura, di destra, che nelle difficoltà reali di un sistema troppo piegato alla burocrazia e al pubblico, si sta facendo pericolosamente strada.
Ma noi siamo qui anche oggi, 25 Aprile 2009, proprio per riaffermare, come è scritto nella nostra Carta Costituzionale con i caratteri indelebili del sangue dei Martiri della Libertà, che non vi è giustizia senza Libertà e non vi è Libertà senza Democrazia.
Come anche ci ha dimostrato l’evolversi della terribile crisi economica mondiale, non vi è alternativa reale alla democrazia, non esiste la possibilità che un capitalismo senza regole, un sistema governato da pochi, possa tranquillamente portare, nel medio-lungo periodo, risultati positivi.
Ed allora viviamo la ricorrenza di questa data come un momento in cui riscoprire, anche personalmente ognuno di noi, il senso più profondo dell’appartenenza a questa nostra Patria, a questa nostra Nazione così mirabilmente disegnata e ricostruita partendo dalla Costituzione Repubblicana.
E Vi invito a viverla insieme a me con le parole e lo spirito con cui Felice Fortunato Ziliani, uno degli ultimi comandanti partigiani scomparso lo scorso Novembre per decenni Presidente dell’associazione provinciale dei Partigiani Cristiani e segretario nazionale, ed alla cui memoria ieri è stata conferita una medaglia d’oro da parte della Provincia, ha concluso il Suo intervento all’ultimo convegno da Lui stesso organizzato l’8 ottobre 2005, in occasione dell’anno del 60° Anniversario della Liberazione, in memoria dei sacerdoti diocesani Martiri della Libertà.
Conclusione che preludeva la lettura, come Sua abitudine in tutte le occasioni pubbliche, della Preghiera del Ribelle scritta dalla Medaglia d’oro Teresio Olivelli (di cui è in corso il processo di beatificazione), frasi che riassumono il Suo stile di vita e la Sua esistenza:
I Sacerdoti che stiamo onorando ci ricordano che ciascun uomo ha le sue responsabilità e ciascuno ha un compito cui attendere.
Ci ricordano ancora che ciascuno di noi ha un dovere rispetto alla società e ciascuno ne deve rispondere perchè nessun’altro farà mai quello che solo noi possiamo fare.
Ci ricordano che non ci sarà mai vera pace fino a quando l’uomo non avrà trovato la pace in se stesso.
Ci ricordano, col sacrificio del loro sangue, che non c’è cosa più grande di quella di saper dare la propria vita per gli altri.
Queste povere cose ma solo esse, potranno finalmente scacciare le nubi che ci sovrastano. Teresio Olivelli che è stato il compagno di viaggio della nostra ribellione armata e di quella che ci siamo sforzati di coltivare durante la nostra vita, ci insegna a pregare così, certi che i nostri Sacerdoti dal cielo si uniranno alla nostra preghiera.
E con queste belle frasi che ricordano ad ognuno di noi l’importanza ed il significato profondo della responsabilità personale, permettetemi di mandare un ultimo saluto al partigiano Griso (nome di battaglia di Ziliani) che insieme a mio padre, partigiano combattente e ferito anch’egli, mi inculcò l’amore per la nostra patria.
Anche a nome loro viva la Resistenza, viva l’Italia.
Mario Spezia
Vice presidente Provincia di Piacenza
Presidente provinciale Associazione Nazionale Partigiani cristiani
Gossolengo, 26 aprile 2009
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