domenica 18 gennaio 2009

LA VIRTÙ NON PAGA E IL NORD SI ADEGUA...

da Libero del 15 gennaio 2009, pag. 1

di Oscar Giannino

Dice: la Capitale è la Capitale. Bene, allora facciamo comelei. Hanno proprio torto, i sindaci, gli amministratori e i parlamentari della Lega che ieri hanno pensato bene di aggiungere anche questo capitolo, al contenzioso in via di irrobustimento che il movimento di Bossi anima nei confronti del governo e del PdL?

Francamente, i sindaci della Lega hanno più ragione che torto. Di che cosa si tratta? Del fatto che nel decreto anticrisi appena votato è stata concessa alla Capitale l’esenzione dal patto di stabilità interno - le norme che regolano i limiti del ricorso al deficit e al debito pubblico perle amministrazioni locali - perle spese che il Comune di Roma sosterrà in una serie di capitoli, tra cui i trasporti. «È un’evidente autorizzazione morale per tutti i sindaci che hanno ben gestito i loro bilanci, erogando servizi di ottima qualità ai loro cittadini, a tenere lo stesso comportamento», ha causticamente dichiarato Flavio Tosi, il sindaco leghista di Veronacolpiù alto rateo di popolarità in tutta Italia. La lista degli amministratori e parlamentari leghisti che si riconoscono nella richiesta è lunghissima: Bitonci, Lanzarin, Montagnoli, Forcolin, Vanalli, Prevedini, Anelli, Gobbo, Galli, Shneck, Fontanini, Muraro, Fontana, Canoni, Provera, Capelli, Saita, Maggi, Giordano, Chiappori. Com’è evidente in questi casi, è una parola d’ordine del movimento. E una mobilitazione che avviene con il consenso del leader massimo. Umberto Bossi. Non si tratta di una polemica strumentale contro Gianni Alemanno, il sindaco di An che a Roma si è trovato ad ereditare la pesante eredità della giunta Veltroni, e che il primo mese appena eletto ha dovuto dichiarare che in alcune società controllate non c’era cassa neanche per pagare il primo stipendio. Alla Lega, non piace il fatto che anche per il governo di centrodestra ci siano figli e figliastri, situazioni di finanza pubblica in pesante rosso che vengono considerate e proclamate eccezionali e come tali meritorie di regole diverse, rispetto a quella generale della lesina. È accaduto più volte a favore di amministrazioni del Sud, dacché il governo Berlusconi è in carica. In più, l’eccezione attuale per Roma si aggiunge quando su Malpensa si abbatte la mannaia del ridimensionamento dei voli figlio del vecchio carrozzone Alitalia, e mentre centinaia di sindaci del Nord restano inascoltati, quando invocano una riforma strutturale che li veda compartecipi di almeno il 20% del gettito Irpef e dell’Iva che viene prodotto e raccolto localmente, ma che va allo Stato.

Non è mera protesta di una forza politica in vista delle europee. In effetti, i meccanismi che presiedono al rapporto tra finanza pubblica locale e casse dello Stato sono impregnati di contraddizioni. La risposta del governo è che proprio per questo l’esecutivo e l’intero centrodestra hanno all’ordine del giorno il federalismo fiscale, che alla Lega sta tanto a cuore. Ma nel frattempo che la riforma federalista si definisce meglio e si approva, e che passino poi gli anni previsti per i decreti attuativi da parte del ministero dell’Economia, la domanda dei sindaci nordisti è fondata: come possiamo tollerare che chi ha accumulato deficit si veda premiato con l’esenzione dalle sanzioni previste dal patto di stabilità, mentre chi non è stato virtuoso spenderà di più?

Sotto questo profilo, la risposta data sino a questo momento dal governo ha fatto qualche passo avanti, ma non risolutivo. Per esempio, i Comuni che nel triennio 2005/2007 non hanno mai sforato il patto, e hanno un basso livello di spese correnti e risorse sufficienti in cassa, si sono visti concessa la facoltà - prima era vietata pure quella - di pagare almeno gli stati di avanzamento lavori di opere già appaltate. Ma lo potranno fare solo per 112008: Poi è stata concessa la possibilità che non scattino le sanzioni stop alle assunzioni e all’indebitamento, taglio delle spese correnti e dei trasferimenti - quando il mancato rispetto del patto di stabilità sia dovuto a spese «relative a nuovi interventi infrastrutturali». Senonché queste uscite devono essere non solo autorizzate dall’Economia - non si può che essere d’accordo - ma anche coperte «anche ai fini della compensazione degli effetti finanziari in termini di fabbisogno e indebitamento netto». In parole povere, devono essere finanziate con risorse nuove. Di conseguenza, chi non ne ha anche se è stato virtuoso e non è andato in deficit negli anni precedenti, non potrà spendere per le infrastrutture. Nuovi investimenti solo con nuove risorse significa non liberare la massa dei residui passivi, cioè delle risorse che i Comuni hanno già impegnato per investimenti (e che quindi hanno teoricamente a disposizione) ma che non possono pagare proprio per non sforare il patto di stabilità. Si tratta di quasi 40 miliardi di euro di residui non impegnabili.

Io sto sempre dalla parte della lesina, e dei controlli da parte del Tesoro dell’occhiuto Tremonti. Ma non si può aspettare il completo iter del federalismo, prima di consentire ai sindaci virtuosi di poter fare ciò che si consente a chi invece è in rosso.

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