da La Repubblica del 13 gennaio 2009, pag. 26
di Joaquín Navarro-Valls
Oggi la retorica del disordine è divenuta realmente una nuova forma di
totalitarismo. Abbiamo tutti davanti agli occhi l'immagine di una
realtà sociale non più uniforme e omogenea, come si presentava fino a
qualche tempo fa, ma contornata da un insieme variegato di aspetti,
tendenze e interessi individuali in conflitto.
E' la vittoria di un principio anarchico non voluto, ma desiderato
inconsciamente e con perseveranza da tutti per lungo tempo. Basta
riflettere sul fatto che l'emancipazione è stata una delle spinte
dominanti dei movimenti rivoluzionari del XIXsecolo, per riconoscere
come una vittoria finale della sinistra quella cui assistiamo in
questo primo squarcio di millennio. Benedetto Croce ha parlato
profeticamente, quasi un secolo fa, dell'Europa come di un continente
lacerato dalla lotta tra libertà e autorità. Attualmente è facile
intravedere, anche da questo lato, la vittoria schiacciante degli
ideali della sinistra su tutti gli altri.
Nel panorama contemporaneo il mondo, e non solo l'Europa, è
rapidamente mutato. Anzi, si dovrebbe dire che l'eccezionalità del
passato è finita per sempre. Senza grandi rimpianti, a dire il vero.
La società odierna ha i pregi e i difetti opposti rispetto alla
precedente: manca d'ordine, laddove ce n'era fin troppo, e ha troppa
imprevedibilità, laddove non ce n'era quasi per niente. Anche per
questo,è urgente ripensare la categoria politica realmente al centro
di tutto il complesso sviluppo storico che stiamo vivendo, ossia
l'idea di sinistra.
La prima osservazione da fare al riguardo è il riconoscimento che la
visione del mondo progressista indubbiamente esce vincente dal
Novecento. Se mettiamo da parte la sconfitta della dittatura
sovietica, infatti, il modo di vivere è molto più di sinistra adesso
di quanto avrebbe potuto sperare un rivoluzionario della fine
dell'Ottocento: vi sono libertà, diritti, prerogative economiche
diffuse, un tempo inimmaginabili, e, sia pure forse più formalmente
che altro, non esistono discriminazioni celebrate pubblicamente e
imposte dallo Stato, almeno in Occidente. Se ciò non ci soddisfa molto
è perché riteniamo che tutto questo sia il volto ambiguo della
modernità, e non un lascito positivo della sinistra.
Se il disegno si è avverato, tuttavia, è perché l'attuale politica
internazionale, nonché la stessa diarchia destra e sinistra,
appartiene a quanto per natura è espressione del progresso e delle
riforme sociali. Per definire la sinistra si deve partire da qui,
ovvero dal fatto considerevole che conservatori e riformisti sono oggi
due movimenti figli di un'unica ideologia moderna, i quali si
contrappongono internamente, si fronteggiano disperatamente, e
positivamente salvaguardano insieme la democrazia da nuove e vecchie
fughe totalitarie, siano esse di natura reazionaria o rivoluzionaria.
Malgrado l'appartenenza reciproca al medesimo presupposto
individualistico, permane però un duplice modo d'intendere la libertà.
Una cosa è constatare l'agire dei singoli senza riuscire a coniugarlo
in alcun modo con una prospettiva comune; e altra cosa è pensare
l'agire di tutti come un processo mosso e diretto verso un fine
comune. È questa la vera grande discriminante che può separare oggi la
politica di sinistra delle altre opzioni.
Se, infatti, l'unico criterio che può guidare l'azione individuale è
soltanto la combinazione degli interessi esistenti, il compito della
politica non può essere altro da quello di amalgamare la molteplicità
delle azioni individuali all'interno di una mera gestione pragmatica
delle motivazioni. E questa è la vera convinzione che ispira la nuova
destra, praticamente dappertutto, ossia il pragmatismo e
l'utilitarismo libertario.
Se, al contrario, la combinazione degli interessi individuali deve
trovare un fine, uno scopo comune e generale, allora il ruolo della
politica non resta soltanto quello di indirizzare al meglio i fattori
stimolanti, ma diventa quello di introdurre e imprimere una forma
perfetta e complessiva alle azioni e agli interessi degli individui.
In questa direzione, appare evidente il marchio volontarista della
sinistra, nonché la sua disposizione essenzialmente etica e la sua
distanza di ogni forma di utilitarismo.
Rimane, perciò, molto importante ribadire con forza il portato etico
della sinistra rispetto al pragmatismo della destra - nonché il comune
orizzonte liberale delle due scelte -, distinguendolo da ogni forma
surrettizia di perbenismo. Da tempo ormai è riemersa una discussione
sulla celebre "questione morale", un'impostazione della sinistra
italiana i cui effetti sarebbero stati proprio la tendenza
giustizialista. In realtà, invece, l'ispirazione etica della sinistra
dovrebbe essere ben altra dall'infausto rigorismo.
Il punto è che l'esistenza della sinistra oggi, specialmente nei paesi
emergenti, s'identifica regolarmente con la consapevolezza della
comune espansione individuale delle libertà, oltre che con
l'attuazione di un'idea universale di umanità che deve crescere
all'interno delle diverse società, mediante il contributo necessario,
coraggioso e diretto dell'azione politica. Tommaso d'Aquino aveva
intuito benissimo questo fattore originale della politica, tanto che
all'inizio del De regimine principum aveva osservato che il bene
comune, vero fine dell'azione di governo, nasce non dal libero gioco
degli interessi individuali, ma dall'esistenza tangibile di
un'autorità comune. La sua definizione non si discosta quasi per
niente - e per questo l'ho menzionato qui - dalla descrizione che
Hegel fa della società civile e dello Stato nei Lineamenti di
filosofia del diritto. Quello che possiamo ricavare, in definitiva, da
questa inusitata convergenza d'interpretazioni è che fin quando la
sinistra rincorrerà vecchi miti utopistici, esistenti solo nella mente
dei loro teorizzatoci, il potere rimarrà in mano al pragmatismo e
all'utilitarismo della destra; mentre se riuscirà a scoprire
l'autentico motivo volontaristico ed etico dei suoi ideali, non potrà
non imporsi di nuovo come risorsa dinamica e positiva per i cittadini.
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