da Corriere della Sera del 3 ottobre 2007, pag. 1
di Dario Di Vico
Dopo i fischi di Mirafiori, Guglielmo Epifani ha trovato la capacità di scartare. Chiamando alla mobilitazione per ridurre il peso del fisco sul lavoro dipendente, il segretario della Cgil ha dato la risposta più convincente ai suoi numerosi critici che allignano dentro la Fiom e nella sinistra politica. Epifani ha implicitamente affermato che lottare contro la pressione fiscale non è di destra né di sinistra ma è un'esigenza primaria per pensare di rappresentare il lavoro dipendente dei tempi moderni. E che, invece di attardarsi a chiedere l'abolizione della legge Biagi e contrastare questo o quel comma del protocollo sul welfare, un sindacato che non si rassegni al proprio inevitabile declino deve far sua la battaglia per un fisco più equo.
Oggi l'Irpef è diventata una tassa che colpisce de facto il solo lavoro dipendente: all'incirca l'80% del suo gettito proviene dal prelievo sugli stipendi di operai, impiegati e dirigenti. Il grosso della pressione — secondo alcune stime oltre il 50% — da noi finisce per abbattersi su una ristretta platea di contribuenti che ogni anno dal 1˚ gennaio al 20 giugno lavora per rimpinguare l'erario e solo con l'arrivo dell'estate comincia a guadagnare per sé e la propria famiglia. Si tratta di un'assurdità che non può non avere riflessi sulla tenuta del patto di cittadinanza che lega istituzioni ed elettori. Altro che antipolitica! Fa bene, dunque, il sindacato a mobilitarsi (anche se, per evitare le inevitabili delusioni, è bene che definisca un percorso realistico).
Un primo suggerimento è quasi obbligato e riguarda la defiscalizzazione degli straordinari. Citare Sarkozy non è la più originale delle trovate ma l'esperimento avviato dal governo francese («lavorare di più per guadagnare di più») va seguito con grande interesse. Copiare le cose buone non è disdicevole.
Si potrebbe iniziare applicando un'aliquota più mite sulla retribuzione che deriva dalle ore lavorate in più e poi si potrebbe estendere la misura a tutto il salario «da produttività », quella parte della paga legata a rendimenti ed obiettivi liberamente negoziati. La Uil di Luigi Angeletti sostiene, ad esempio, che l'intera contrattazione salariale di secondo livello dovrebbe godere di agevolazioni fiscali e un passaggio del protocollo sul welfare va in questa direzione.
Ci possono essere, dunque, delle strade laterali da percorrere per evitare di tosare ulteriormente il lavoro dipendente ma un giorno o l'altro si dovrà avere il coraggio di ragionare sulla via maestra, la riduzione delle aliquote Irpef. E' possibile che a un reddito di 28 mila euro sia applicato un prelievo pari al 38%? Ritoccare significativamente l'Irpef però costa molto e si tratta comunque di una scelta che nell'immediato appare in contraddizione con la decisione adottata in Finanziaria di ridurre l'Ici su spinta indiretta di Silvio Berlusconi e diretta di Francesco Rutelli. Che fare dunque? E' possibile abbassare la pressione fiscale su operai, impiegati e dirigenti solo impostando un piano pluriennale che spalmi i costi su più esercizi e che nello stesso tempo però sia capace di produrre risultati tangibili in busta paga. Misure una tantum come quella adottata lo scorso anno dal governo Prodi hanno il limite di non lasciar traccia e somigliare a una mancia.
Si obietterà che operazioni così ambiziose hanno bisogno di avere in cabina di regia governi che abbiano davanti a sé un'intera legislatura e non pare essere questa la circostanza che vive il Paese. Ma ridurre la pressione fiscale sui cittadini è un obiettivo bipartisan. Tutti gli studi elettorali dimostrano che il voto dei lavoratori dipendenti non è monopolio di una coalizione.
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