CONGRESSO FEDERALE DL- LA MARGHERITA 2007
INTERVENTO DI TIZIANO TREU
23-04-2007
1. I congressi sono sempre momenti importanti e difficili. Dovrebbero essere momenti di verità. Soprattutto questo che, come quello dei DS, è un congresso costituente. Certo formalmente l’Assemblea costituente verrà dopo e sarà diversa, più ampia, il più aperta possibile a gente nuova. Ma già le scelte di questi giorni e dei prossimi mesi, incideranno sui tratti fondamentali del nuovo partito. Non è una contraddizione: il processo aperto della costituente non esclude la responsabilità specifica del nostro partito e del nostro congresso.
I momenti congressuali, e tanto più questo congresso, servono sia a fare bilanci dell’esistente e del passato sia a guardare alle prospettive. Dalla sincerità e dal coraggio in entrambi, bilancio e indicazione di prospettive, dipende l’utilità del nostro incontro e soprattutto il nostro futuro.
Non mi occuperò di bilanci retrospettivi ma di prospettive; non perchè il passato non serva; è importante per consolidare le radici; ma in questi mesi se ne è parlato troppo e male, più per dividerci - persino sui padri nobili del Pantheon e per parlare delle proprie identità passate, che per ricercarne insieme di nuove e comuni, utili per leggere i problemi di oggi e a farci capire da chi li vive. Non occorre essere “sondaggiologi” per sapere che I cittadini oggi guardano meno alle appartenenze ideologiche e più alla condizione di vita e alle questioni concrete da risolvere, che sono diverse da quelle di ieri.
2. Il futuro con cui dobbiamo misurarci è quello dei prossimi mesi in cui si svolgerà la fase costituente, ma deve essere anche quello più lontano di medio periodo; perchè il Partito democratico che stiamo costruendo non è un soggetto effimero nè un partito di transizione. Ha l’ambizione di segnare il destino del paese, di farlo uscire positivamente dalla attuale crisi di sistema, perchè di una crisi di sistema si tratta; di stabilizzare e semplificare il sistema politico, di superare la transizione iniziata nel 1992 e condurlo a un sistema compiuto di alternanza e di stabilità di governo.
I prossimi mesi – come sempre le fasi di decollo – sono critici: per il nostro processo costituente e per il governo che il partito democratico deve sostenere. Partito Democratico e governo sono legati a filo doppio. In questa fase dobbiamo dare segnali nuovi che correggano gli aspetti negativi delle nostre vicende recenti, litigiosità, miopie e protagonismi; le correzioni sono necessarie, anche scontando le deformazioni emerse dalla stampa, che noi stessi abbiamo talora contribuito ad avallare.
All’ interno della Margherita, dobbiamo ritrovare lo spirito di innovazione e la volontà di mescolanza vitale che ha fatto la forza del nostro partito in questi anni, brevi ma intensi. Dobbiamo vincere le tentazioni, purtroppo riemerse, a coltivare logiche correntizie e passatiste; ridare spazio alla fantasia progettuale che ha contribuito a dare contenuti nuovi al programma del centro sinistra e del governo e che è l’anima di ogni partito riformista.
Vogliamo impegnare le nostre energie, che sono consistenti, al centro e in periferia, nell’aggiornamento continuo dei nostri progetti politici e nella loro attuazione in sede di governo, che è un altro requisito del vero riformismo, invece di concentrarle in guerre di posizione interne. Meno nomi e più idee.
Questi impegni, di innovazione, di progettualità e di mescolanza, sono altrettanto necessari nei rapporti con i DS e con gli altri gruppi politici che vanno coinvolti nella costruzione del partito Democratico.
Se vogliamo costruire qualcosa di nuovo la priorità va data al confronto delle idee, piuttosto che ai litigi sugli organigrammi o sugli antenati (di cui il paese e nostri iscritti sono insofferenti). Serve un confronto senza preclusioni ideologiche e senza riproporre storici steccati come quelli fra laici e cattolici, che sarebbe suicida ricostituire; altro che innovazione, sarebbe tornare indietro di 50 anni. Serve una ricerca, anche in competizione fra noi, di contenuti nuovi di cui vogliamo riempire il Partito Democratico perchè non sia una scatola vuota.
Dobbiamo ampliare gli spazi di partecipazione a questa opera comune: partecipare alla costruzione del nuovo soggetto, alla scelta dei leaders, alla formulazione delle proposte con gli strumenti che definiremo insieme, comprese le primarie. Allargare la partecipazione dei livelli decentrati, per costruire un partito federale. Questa è anche la strada maestra per sostenere l’azione di governo, che è affaticata, ma che è essenziale per consolidare la ripresa del paese.
Il governo va aiutato non a durare, ma ad attuare gli obiettivi delineati già nello scorso DPEF, bilanciando risanamento, sostegno allo sviluppo ed equità, fin dall’uso delle risorse liberate dalla crescita e dalla lotta all’evasione.
Molti obiettivi comuni ce li siamo già proposti. Non si parte da zero – penso alle proposte di riforma in tema di lavoro, di liberalizzazione, di ambiente, di politica industriale che abbiamo approfondito fra noi e con I Ds (nel quadro del programma dell’Unione). Ma anche questi temi vanno precisati e resi operativi, vincendo le resistenze e le timidezze presenti al nostro interno, che si vedono nei defatiganti iter parlamentari delle leggi. Su questo aspetto si tratta di seguire una regola tanto elementare quanto difficile da osservare: quella di praticare coerentemente gli obiettivi che ci siamo dati: in parole povere dir quel che si vuol fare e fare quello che si dice.
3. Gli impegni dei prossimi mesi sono decisivi per definire l’identikit del partito democratico e per l’azione di governo. Ma dobbiamo guardare anche più lontano, come dicevo, al profilo fondamentale del nuovo partito, ai suoi caratteri duraturi, al ruolo da protagonista che deve svolgere per il futuro del paese. Solo con uno sguardo lungo, con proposte non legate opportunisticamente alle contingenze del momento, si può costruire un partito non di transizione, ma di ‘sistema, cioè capace di sostenere un assetto stabile del nostro sistema politico e istituzionale.
Questo orizzonte lungo è necessario anche per far ripartire l’Italia; per rimettere il paese sulla via della crescita che è l’obiettivo primo da noi più volte ribadito. Consolidare la ripresa economica appena avviata dopo la stasi di questi anni del centro destra, richiede riforme profonde, perchè si devono correggere debolezze strutturali che affliggono da anni il nostro apparato produttivo; e occorre rimediare anche alle carenze del contesto che riduce la competitività dell’intero sistema, dalla carenza di infrastrutture, alle inefficienze della PA, alle illegalità diffuse.
L’impegno a ridare competitività al nostro paese è prioritario per un partito come il nostro perchè dalla competitività dell’intero sistema paese dipende, tanto più nel quadro di una dura competizione globale, la crescita economica necessaria a produrre le risorse da distribuire (lo si è visto già con il ‘tesoretto’ prodotto dal primo anno di governo).
Da essa dipendono anche le prospettive di crescita sociale e personale, perchè noi vogliamo una crescita funzionale allo sviluppo umano, individuale e collettivo. Vogliamo contrastare la prospettiva oscura, spesso evocata, secondo cui I nostri figli vivranno peggio dei loro padri, per la prima volta nella nostra storia. Per questo poniamo al primo posto la ripresa e il consolidamento dello sviluppo. Per ottenere risultati durevoli non bastano piccoli aggiustamenti o politiche posticce. Occorre cambiare aspetti fondamentali dell’attuale modello economico e sociale; perchè sono cambiati I ‘fondamentali’: non solo quelli economici e tecnologici – la competizione globale e le ICT – di cui parliamo molto, ma senza trarne le conseguenze, ma anche i cicli di vita umani, segnati dai fenomeni dell’invecchiamento e in Italia della denatalità e il deterioramento delle condizioni ambientali del pianeta.
Le politiche economiche e sociali del secolo scorso sono inadeguate perchè prescindono da questi fenomeni. La crescita allora si presentava lineare e poco problematica. Ora invece tutte le politiche, sia quelle delle imprese sia quelle pubbliche, devono fare I conti con questi tre rivolgimenti epocali; non possono limitarsi ai confini nazionali, ma devono aprirsi almeno e anzitutto all’Europa; devono interiorizzare il rapporto fra sviluppo, tecnologia ed ecologia; devono valorizzare il lavoro tenendo conto delle sue differenze, quelle di età e quelle di genere, e delle esigenze di flessibilità indotte dalla competizione e dalle innovazioni dei consumi e dei prodotti.
4. In questo senso servono cambiamenti profondi e di lungo periodo. Per questo noi insistiamo sulla necessità di investire di più e meglio sui vettori dell’innovazione: anzitutto la ricerca e il trasferimento tecnologico nel mondo delle imprese, l’educazione necessaria per mettere a frutto le opportunità della ricerca e delle tecnologie. Vogliamo attuare politiche di liberalizzazione per rompere le barriere all’innovazione costituite dai protezionismi e dalle rendite, e per liberare le risorse del lavoro e dell’impresa. Sappiamo che uno sviluppo durevole e sostenibile nella società della conoscenza della conoscenza può basarsi solo sulla innovazione nel mondo delle imprese e in quello della ricerca, sulla rottura dei protezionismi e sulla valorizzazione delle risorse intellettuali e personali, del lavoro e dell’imprenditoria. Abbiamo fatto i primi passi, ma non basta. Questa valorizzazione va promossa rimuovendo gli ostacoli strutturali che frenano le nostre organizzazioni, dalle imprese, alle pubbliche amministrazioni, alle università; ma anche cambiando la cultura che le governa, abbandonando quella protezionistica statica e quasi feudale, ancora diffusa, per sostituirla con la cultura del merito e della mobilità sociale.
Su questi punti occorre un salto di consapevolezza, perchè è necessario un salto di scala per rispondere a una sfida di portata pari a quella vinta nella ricostruzione postbellica del nostro paese: la sfida di ridare all’Italia fiducia e capacità competitiva in un mondo più vasto e più complesso di quello in cui avvenne la ricostruzione di 50 anni fa. Il partito democratico avrà successo se saprà alimentare questa consapevolezza del paese e tradurla in capacità di attuare gli obiettivi.
L’innovazione economica e tecnologica è essenziale. Praticarla è compito delle forze produttive; alle istituzioni spetta promuoverla, abbandonando prassi di incentivazione a pioggia o peggio clientelari, e liberandola da incrostazioni burocratiche e da protezionismi.
5. Ma l’innovazione non può limitarsi alla tecnica e all’economia, deve estendersi alle politiche sociali e alle pratiche istituzionali, se vuole essere utile al benessere comune. Non a caso abbiamo sostenuto che welfare e sviluppo sono legati, che uno sviluppo di qualità richiede un modello sociale nuovo più attento ai nuovi bisogni delle persone, e a creare opportunità per la crescita personale e collettiva. Qui le resistenze alle riforme necessarie, per modernizzare la previdenza, l’assistenza, il welfare familiare, sono radicate perchè toccano in profondità il vissuto di milioni di persone; sono interne alle organizzazioni sindacali e ai partiti, anche ai nostri, perchè la loro pratica e cultura è ancora ancorata a modelli del secolo scorso.
L’innovazione deve andare a fondo, qualcuno direbbe nell’anima e nelle strutture delle nostre istituzioni politiche e sociali. Deve riorientarne I valori guida, compresi quelli tradizionali come solidarietà ed eguaglianza. La solidarietà che sostiene il nostro welfare deve superare gli ambiti categoriali (e corporativi) spesso limitati ai gruppi forti, per diventare più inclusiva e universale. Gli istituti di welfare devono estendersi oltre I soggetti individuali tradizionali per considerare le famiglie e andare oltre l’ambito del lavoro subordinato per coprire I rischi del lavoro economicamente dipendente e dello stesso lavoro autonomo.
Devono assumere obiettivi non solo di protezione e inclusione sociale, ma di promozione delle opportunità dei singoli e della mobilità sociale, tanto avvilita nel nostro paese. La valorizzazione del mercato non è contraria all’eguaglianza neppure nel welfare: anzi spetta proprio alle politiche di welfare rendere compatibili questi valori.
6. L’innovazione politica è altrettanto decisiva e contribuisce a determinare quella nei settori economici e sociali. Spetta a noi valorizzare le grandi tradizioni politiche del passato, in particolare quella socialdemocratica e cattolico democratica, perchè siano non un freno ma un alimento all’innovazione. Questo è il compito specifico del partito democratico, che deve attrezzarsi per mettere insieme non gli apparati ma questi patrimoni storici trovando sintesi nuove. E’ un compito difficilissimo, mai attuato prima. Le difficoltà si vedono già dai confusi e litigiosi dibattiti di questi mesi ma imprescindibile. Sottolineo un punto che mi sembra essenziale. Un partito democratico che voglia essere nuovo deve innestare su queste tradizioni un di più di anima liberale. Questa è sempre stata presente, ma minoritaria nella storia politica, a differenza di quella di altri paesi. Nel partito democratico deve trovare un posto centrale. Una forte ispirazione liberale è decisiva per riequilibrare le politiche e per ribaricentrare lo stesso assetto dell’Unione, per contrastare le pulsioni massimaliste e le resistenze passatistiche senza cadere in tentazioni neocentriste.
Le innovazioni di cui ho parlato finora non sono indolori: tutti I cambiamenti sollevano paure e resistenze, tanto più in un’epoca come questa in cui economia, ambiente, vita personale e sociale sono investiti da un alto grado di turbolenza e di incertezza.
7. Per questo le politiche dell’innovazione devono essere accompagnate con politiche di stabilizzazione e di sicurezza, per le persone, per I gruppi e per le stesse istituzioni. Non sembri un paradosso; la stabilità la sicurezza sono necessarie per l’innovazione e per il cambiamento. Le resistenze al cambiamento sono dovute non solo a interessi egoistici e a stereotipi culturali, ma anche a comprensibili inquietudini circa I rischi del cambiamento e circa le conseguenze sulla vita delle persone.
Spetta alla politica e alle istituzioni – quindi al partito democratico e al governo – combattere le resistenze interessate e dare risposte alle inquietudini dei cittadini. Per questo dobbiamo costruire un sistema di sicurezze capace di dare risposte sui vari fronti di questa società del rischio e della incertezza: sicurezze per la vita personale e urbana, per le condizioni ambientali, sicurezze sul lavoro e stabilità ragionevole nell’occupazione, sicurezze di fronte ai rischi dell’esclusione e della disoccupazione, risposte ai bisogni delle famiglie, diversificati nei vari momenti della vita (dalla infanzia, all’età adulta, alla vecchiaia).
Anche qui dobbiamo formulare le risposte tenendo conto delle diversità dei rischi e dei bisogni. Dobbiamo rispondere meglio a quelli tradizionali, ma acutizzatisi, del lavoro subordinato, come abbiamo indicato con le nostre proposte sulle tutele del reddito (i cd. ammortizzatori) e sulla Carta dei diritti di tutti I lavori. Ma dobbiamo prestare più attenzione alle incertezze e ai rischi che circondano la vita delle imprese, specie le piccole, che sono investite da pressioni concorrenziali senza precedenti nel passato. Per questo la Margherita insiste sulla importanza di politiche dedicate alle imprese: politiche economiche e fiscali che le aiutino a superare le loro debolezze storiche – piccola dimensione, debole capitalizzazione, scarsa capacità di internazionalizzazione – ma anche politiche di sostegno nelle crisi aziendali, ad es. la estensione della CIG e degli ammortizzatori che servono a proteggere non solo i dipendenti ma lo stesso destino dei loro datori di lavoro. Rispondere a questi bisogni e prima ancora comprenderli con l’ascolto, è una condizione essenziale per interloquire utilmente con il mondo della piccola impresa e del lavoro autonomo, per vincere una diffidenza storica verso la nostra politica che allontana anche settori o gruppi che sarebbero bendisposti, e interessati ad accettarla. La Margherita ha impostato alcune proposte sul valore della piccola impresa, dell’artigianato, per il made in Italy, etc.; ma occorre sistematizzare l’ascolto e le risposte, perchè diventino tema e stile di governo.
8. Vi propongo una ultima sottolineatura. Ho volutamente avvicinato le necessità di innovazione e di sicurezza per il mondo del lavoro come per quello delle imprese. Non è un avvicinamento di comodo o generico; come dire che siamo tutti nella stessa barca. Oggi come non mai le sfide sono comuni anche per questi mondi – e vanno affrontate con un di più di azione comune. Anche qui per motivi non contingenti ma fondamentali e durevoli; per il fatto che nel mondo attuale, globalizzato e tecnologico, è cresciuta l’interdipendenza fra le scelte personali e collettive, fra quelle dei vari paesi, vicini e meno vicini, e quindi anche fra imprese e lavoro. Fra questi due mondi c’è un legame specifico legato non solo al contesto di competizione globale ma alle caratteristiche della economia post fordista. Nella logica fordista la partecipazione rappresenta un corpo estraneo ed è ostacolata anche in paesi meno segnati del nostro da contrapposizioni ideologiche. Nella nuova economia il coinvolgimento del lavoro nell’impresa è richiesto dalle accresciute esigenze di qualità, dal contenuto di conoscenza sempre più presente nei sistemi produttivi e quindi dalla urgenza di mobilitare le conoscenze diffuse dei lavoratori scolarizzati.
Ho sentito richiamare questi motivi, con inusitata sincerità non solo fra gli studiosi di relazioni industriali ma nel mondo delle piccole imprese e della cooperazione. Si riconosce la necessità che essi siano raccolti dalle parti perchè gli esiti di queste esigenze partecipative non si determinano autonomamente. Le pratiche partecipative vanno attivate dalle imprese e dal lavoro, ma vanno facilitate dalle istituzioni e dalla politica.
Si richiedono politiche convergenti, perchè le politiche per la buona occupazione non possono essere separate da buone politiche per l’impresa e da regole giuste per il mercato. Non basta praticare la concertazione periodica, pure necessaria; occorre costruire una cultura e una pratica continua di partecipazione. Il modello partecipativo così ostracizzato in Italia va riproposto alla nostra politica perchè è uno strumento utile per ottenere gli obiettivi che ci proponiamo: per l’innovazione, per la stabilità e per la sicurezza .
I temi che ho qui indicato per titoli richiedono specificazioni e approfondimenti continui; è un lavoro da fare in modo organico, con energie dedicate, nel Partito Democratico per costruire una linea politica condivisa e utile al paese. Gli approfondimenti vanno definiti e confrontati con gli altri attori e con le forze sociali che vogliamo coinvolgere.
Ma voglio sottolineare un messaggio centrale che deve unificare queste proposte, per renderle percepibili: innovazione e sicurezza, sicurezza per l’innovazione sono due linee guida che devono ispirare le nostre scelte nell’economia, nel sociale e nelle istituzioni politiche. Sono linee guida che rispondono a domande fondamentali provenienti dal paese. Il partito democratico deve farsi interprete di queste domande. deve essere esso stesso fattore di sicurezza e di cambiamento. Ciò significa che deve realizzare questo obiettivo al suo interno, con regole nuove, con partecipazione più ampia, con stabilità e unità di orizzonti, costruendo convergenze su obiettivi concreti e superando una cultura divisoria che ha troppo influenzato la nostra politica. Passate le colonne di Ercole questo è il lavoro politico dei prossimi mesi, da cui dipenderà la vera novità del nuovo partito.
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