Sembra oggi difficile parlare di politica al di fuori del paradigma statuale: lo Stato, la peculiare istituzione politica europea dell’età moderna e contemporanea è diventato ormai l’unico modo di pensare la politica in tutto il mondo. Si tratta di un sistema a sovranità locale, ma a vocazione universale che ha catturato le nostre menti da oltre quattro secoli.
Lo Stato, infatti, non è la naturale risposta che ogni comunità umana produce di fronte al problema dell’ordine politico e del potere: ne è solo la soluzione vincente, europea e moderna. In breve, il tipo di ordinamento in cui viviamo non è il prodotto della ragione universale applicata alla politica, ma il risultato, occasionale, di una serie di congiunture storiche e filosofiche.
Per quanto possa apparire un fatto istituzionale “universale”, lo Stato è il frutto di uno sviluppo storico accidentale e assai recente. Il suo predominio potrebbe risultare per di più meno solido di quanto non appaia.
Studiare la storia delle pensiero politico, allora, e segnatamente in relazione ai grandi mutamenti istituzionali, non ha soltanto il fine di comprendere l’origine delle idee e delle dottrine che influenzano quotidianamente il nostro mondo, ma anche di aprire una finestra sulla crisi della moderna statualità.
Se il termine “modernità” ha politicamente senso solo in relazione allo Stato, discuterne i fondamenti e conoscerne i labirinti concettuali, potrebbe rivelarsi non solo utile, ma necessario.
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