giovedì 19 giugno 2014

Accentramento politico e accentramento amministrativo (estratti da "La Democrazia in America" di A.de Tocqueville)

Alcuni interessi sono comuni a tutte le parti della nazione, come, per esempio, la formazione di leggi generali e i rapporti del popolo con gli stranieri. Altri interessi sono particolari ad alcune parti della nazione, come, per esempio, i problemi dei singoli comuni.

 Concentrare in uno stesso luogo o in una stessa mano il potere di dirigere i primi, significa creare quello che chiameremo accentramento politico. Concentrare allo stesso modo il potere di dirigere i secondi, significa creare quello che chiameremo accentramento amministrativo.
Ci sono dei punti nei quali queste due specie di centralizzazione possono confondersi. Ma prendendo nel loro insieme gli oggetti che ricadono  più particolarmente nel dominio di ciascuna di esse, si riesce facilmente a distinguerle.
Si comprende facilmente che l’accentramento politico acquista una forza immensa quando si unisce a quello amministrativo. In questo modo si abituano gli uomini a fare una continua e completa astrazione dalla loro volontà, ad obbedire, non una volta sola e su un sol punto, ma sempre e in tutto. Non solo esso doma gli individui con la forza, ma li tiene anche con le loro abitudini; li isola e quindi li afferra uno per uno alla massa comune. Queste due specie di centralizzazione si prestano un mutuo soccorso, si attirano l’una con l’altra; ma non arriverei a dire che siano inseparabili
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A mio giudizio, non credo che una nazione possa vivere, e ancor meno prosperare,  senza un forte accentramento del potere politico. Ma penso che l’accentramento amministrativo non serva ad altro  che a snervare i popoli che vi si sottomettono, perché tende incessantemente a diminuire in loro lo spirito di cittadinanza. L’accentramento amministrativo riesce, è ben vero, a riunire in una data epoca e in un determinato luogo tutte le forze disponibili della nazione, ma nuoce alla riproduzione di queste forze. Esso fa trionfare la nazione il giorno della lotta, ma, a lungo andare, ne diminuisce la potenza. Esso può, certamente, concorrere mirabilmente alla grandezza passeggera di un uomo, ma non alla prosperità durevole di un popolo. Si faccia bene attenzione: quando si dice che uno Stato non può agire perché non ha centralizzazione, si parla quasi sempre, senza saperlo, di accentramento politico. 
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Certe iniziative interessano lo Stato intero e non si possono tuttavia eseguire, perché non vi è una amministrazione nazionale a dirigerle. Abbandonate alle cure dei comuni e delle contee, affidate a esecutori eletti e temporanei, essi non giungono mai in porto e non producono nulla di durevole.
I partigiani dell’accentramento in Europa sostengono che il potere di governo amministra meglio i comuni di quanto essi stessi potrebbero farlo da soli; questo può essere vero, quando il potere centrale sia illuminato e i comuni non lo siano affatto, quando quello sia attivo e gli altri inerti, quando esso abbia l’abitudine a agire ed essi ad obbedire. Si comprende anche che più l’accentramento aumenta, più questa tendenza s’accresce e più divengono salienti le capacità di una aprte e l’incapacità dell’altra.
Ma contesto che sia così quando il popolo è istruito, vigilante sui propri interessi e abituato a provvedervi da solo, come è in America.
Al contrario, sono persuaso  che in questo caso la forza collettiva dei cittadini sarà sempre più capace di produrre  il benessere sociale che l’autorità del governo.
Confesso che è difficile indicare, con sicurezza, il metodo per svegliare un popolo che sonnecchia, al fine di dargli quelle passioni e quella educazione che non ha; persuadere gli uomini che devono occuparsi dei loro affari è, lo so bene, un’ardua impresa. Spesso è meno difficile interessarli ai dettagli di etichetta di corte, che alla riparazione della casa comune.
Ma penso pure che, quando l’amministrazione centrale pretende di sostituire completamente il libero concorso dei primi interessati, si sbagli o voglia ingannarvi.
Un potere centrale, per quanto illuminato e sapiente, non può abbracciare da solo tutti i dettagli della vita di un gran popolo. Non lo può, perché una simile capacità eccede le forze umane. Quando, con le sue sole forze, vuol creare e far funzionare tanti e così disparati meccanismi, o si contenta di un risultato molto incompleto o si esaurisce in inutili sforzi.
L’accentramento riesce facilmente, è vero, a sottomettere le azioni esteriori dell’uomo a una certa uniformità, che si finisce con l’apprezzare per sé stessa, indipendentemente dalle cose cui si applica; come quei devoti che adorano la statua, dimenticando la divinità che rappresenta. L’accentramento riesce, senza fatica, a imprimere un andamento regolare agli affari di ordinaria amministrazione; a regolare spientemente i dettagli di una politica sociale; a reprimere i disordini lievi e i piccoli reati; a mantenere la società in uno status quo che non è, propriamente, né una decadenza, né un progresso; a conservare nel corpo sociale una specie di sonnolenza amministrativa, che gli amministratori hanno l’abitudine di chiamare ordine e tranquillità pubblica. In una parola esso eccelle nell’impedire, non nel fare. Quando si tratta di scuotere dal profondo la società o di imprimerle un cammino più rapido, la sua forza l’abbandona. Per poco che le sue misure abbiano bisogno del concorso degli individui, si resta sorpresi della debolezza di questa immensa macchina: essa si trova all’improvviso ridotta all’impotenza.
Capita allora, talvolta, che il potere centralizzato, ridotto alla disperazione, tenti di chiamare in aiuto i cittadini; ma sarà costretto a dir loro:  Agirete come vorrò io, e nella direzione che vorrò io.  Vi occuperete di questi dettagli, senza aspirare a dirigere l’insieme; voi lavorerete nelle tenebre, e giudicherete più tardi la mia opera dai suoi risultati. Ma. a simili condizioni, non si otterrà mai lo spontaneo concorso della volontà umana. Essa ha bisogno di essere libera nelle sue decisioni, e responsabile delle sue azioni. L’uomo è fatto in modo che preferisce rimanere fermo, piuttosto che procedere, senza indipendenza, verso una meta ignota.

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