venerdì 8 febbraio 2013

Intellettuali versus Realtà (di Davide Fiammenghi)

Intellettuali vs. realtà. Breve notarella ispirata dalla recente epurazione dell'area liberale del PD e dal prossimo, prevedibile fiasco elettorale di 'Fare per Fermare il declino'. 

Da Polibio a Gibbon, fino a Mancur Olson, molti hanno scritto sul declino di società e nazioni. Molte di queste analisi cadono nella c.d. “fallacia razionalistica”: la presunzione che basti comprendere un problema sul piano intellettuale per porvi rimedio. Si parte osservando che gli uomini perseguono il proprio interesse privato a scapito di quello pubblico, che le fazioni estraggono rendite di posizione strangolando l’economia, che il declino economico porta i demagoghi a sobillare le masse; poi, si osserva che il declino cesserebbe, se solo tali comportamenti venissero abbandonati a favore di altri, più virtuosi. È vero: solo che precisamente tali comportamenti, la loro pervasività e resistenza al cambiamento causano il declino; domandare che i comportamenti cambino significa presupporre l’intero problema. 

Intellettuali, scienziati sociali e giornalisti d’orientamento liberale sono ampiamente concordi sulle riforme necessarie al paese: piegare la Cgil, riformare il mercato del lavoro, tagliare la spesa, estromettere i partiti da banche e società municipalizzate, abolire i sussidi alle imprese etc. Ma è arduo credere che i militanti di partito usciranno dai cda delle municipalizzate grazie alla forza della persuasione; e che i sindacalisti accetteranno le riforme sulla base di qualche bella teoria accademica sul mercato del lavoro. Occorrerebbe una vasta coalizione d’interessi che si contrapponga agli interessi organizzati; personale politico scaltro; ampie risorse economiche; una certa dose di cinismo: ad esempio, guadagnare il consenso di alcuni gruppi promettendo loro che non saranno toccati dalle riforme, salvo poi decapitarli appena capiti l’occasione.

Spesso privi di doti carismatiche, accademici e intellettuali non raccolgono grandi consensi quando cercano di agire sulla politica; non avendo fatto carriera di partito, sono osteggiati dall'apparato; i loro bei disegni anti-statalisti sono visti come pericolose chimere da quadri e militanti, sempre desiderosi di estendere l’influenza del partito per ottenere nuove poltrone. Così, gli intellettuali, anche i più colti, oscillano tra la condanna moralistica di una realtà recalcitrante, il biasimo per i politici, accusati non a torto di essere ignoranti, e la sterile obiezione che, se solo si seguissero i loro insegnamenti, le cose andrebbero meglio. È invece chi sa solleticare le passioni popolari che riceve consenso, ma è raro che chi vellica gli istinti delle masse operi per il loro bene: ecco i Berlusconi, i Bossi, i Grillo, gli Ingroia, i Vendola. 

Max Weber aveva capito il punto meglio di altri quando osservava che la politica è retta da potenze demoniache e che quasi mai, in politica, il bene discende dal bene e il male dal male. Uomini e donne nobilmente ispirati possono incorrere in gravi fallimenti se non sono dotati di una forte ambizione, di cinismo e di altre qualità umane forse sgradevoli, ma necessarie nella lotta politica.
Davide Fiammenghi
davide.fiammenghi.7@facebook.com

1 commento:

  1. I due elementi su cui Cipolla punta attenzione sono il cosidetto "capitale umano" e il "capitale sociale". Entrambi sono stati dilapidati nel nostro paese e la crisi di sistema attuale è nient'altro che l'esito di questa dilapidazione. Ora le domande che mi pongo sono: come si ricostituiscono questi capitali? Come è avvenuto in passato che si sia prodotta una inversione di tendenza?

    RispondiElimina