lunedì 4 luglio 2011

Destra e sinistra senza bussola: il bivio è altrove

di Alessandro De Nicola
da Il Sole 24 Ore
3 luglio 2011

«Fare il bagno nella vasca è di destra, far la doccia invece è di sinistra/un pacchetto di Marlboro è di destra, di contrabbando è di sinistra». Giorgio Gaber aveva capito quasi 20 anni fa che la distinzione tra destra e sinistra era diventata un'occasione per una canzone ironica, ma non una seria classificazione politologica.




In questi mesi, invece, il dibattito sul tema si è un po' ravvivato: prima a causa della scissione di Fini dal Pdl in nome di una diversa idea della destra, poi con il duetto televisivo dello stesso presidente della Camera e di Pierluigi Bersani, ospiti di Fazio & Saviano, sui valori della destra e della sinistra. L'uscita di un libro-quiz, "Sei di Destra o di Sinistra?", curato da Diego Galvagni ( di cui si è parlato recentemente anche a Radio 24), e soprattutto uno dei temi della maturità 2011 sullo stesso argomento, hanno poi confermato la rinnovata attenzione.
Alcuni si smarcano dalle caselle, proponendo una contrapposizione tra conservazione e innovazione o tra federalismo e centralismo. Specie per chi si "sente" di sinistra, il senso di appartenenza è una componente fondamentale della propria identità. Ma in realtà stiamo parlando di categorie politiche significative? A mio parere no. Destra e sinistra si riferiscono a collocazioni parlamentari che nulla ci dicono rispetto alle politiche concrete proposte dai partiti. Nel XIX secolo, i Whig del premier britannico Gladstone erano la sinistra rispetto ai Tory; oggi, con il loro liberismo integrale, sarebbero a destra. Fascismo e comunismo, rilevò Hayek, avevano molto più in comune tra di loro, grazie alla condivisa concezione di uno Stato onnipotente, di quanto singolarmente avessero con il liberalismo di Churcill.

Ed è difficile dargli torto: il discrimine fondamentale, fin dai tempi di Platone e Aristotele, è tra liberali e statalisti (o socialisti), tra individualisti e collettivisti. I primi privilegiano la scelta individuale, la libertà, la proprietà e la riduzione al minimo delle funzioni dello Stato, visto come extrema ratio quando non sono possibili altre forme di cooperazione volontaria; i secondi pensano che lo Stato o i suoi reggenti (i re-filosofi o il partito) debbano orientare la vita dei singoli, proteggerli dagli errori, salvaguardare il benessere, indirizzando il popolo verso fini collettivi.
Naturalmente abbondano le posizioni intermedie, ma libertà e uguaglianza, Stato e individuo rimangono i poli fondamentali. E sono poli la cui presenza sentiamo ogni giorno. Per un liberale lo Stato non organizza il sistema pensionistico: ciascuno deve essere libero di scegliersi la propria forma di previdenza che lo remunererà in vecchiaia attraverso la capitalizzazione dei suoi risparmi. Tutt'al più, lo Stato nella sua veste di "giudice" regolerà e vigilerà sui fondi-pensione e assisterà, alla stregua di una sorta di assicurazione collettiva, chi non è in grado di prendersi cura di sé.
Lo statalista si lancia in complicati calcoli di età pensionabile, mantiene differenze tra uomini e donne per mera convenienza elettorale, obbliga gli individui a farsi assistere dal fondo pensione che il ministero ritiene più idoneo – si chiami esso Inps o Cassa dei dottori commercialisti –, assegna privilegi assurdi a categorie particolari (siano essi parlamentari o certi dipendenti pubblici) e, se è a corto di soldi, blocca la rivalutazione delle pensioni da un certo importo in su scelto in modo discrezionale. Non è la storia di questi giorni? Il liberale pensa che le imprese siano private ed in libera concorrenza, il moderno statalista vuole "campioni nazionali" e abbondante proprietà pubblica: le privatizzazioni servono solo, obtorto collo, a far cassa.
Una variante che oggi va per la maggiore è quella del socialismo corporativo. Alcune corporazioni o gruppi di interesse ben organizzati disegnano norme che proteggono il loro "particulare" a discapito della libertà di tutti, lasciando allo Stato il compito di assicurarne l'attuazione. Come possiamo definire i regimi che regolano gli ordini professionali o i privilegi delle varie caste, dai politici ai magistrati? Liberalismo o socialismo, stato o mercato, la scelta è semplice e netta e la classe politica italiana, con le dovute cautele tipiche del moderatismo nostrano, sembra averla fatta da tempo. Indovinate voi che cosa hanno preferito.

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