mercoledì 22 giugno 2011

A proposito di PSC e consumo del suolo

Intervento di U.Fantigrossi e D.Ferrari Cesena
22 giugno 2011



CaroDirettore,

Ci sono cose del passato che anche gli amanti della storia e della memoria rivedono, quando si
ripresentano, con disagio se non con noia o, talvolta, disgusto. Si tratta delle mentalità vecchie,
sorpassate, che non hanno più senso nel mondo d’oggi, e ancor meno in quello di domani, e che
però ogni tanto ci ritroviamo tra i piedi quando invece pensavamo di averle per sempre archiviate.
Cose di cui non si ha nessuna nostalgia ma che ritornano a galla, evocate da chi ha un preciso
interesse a rievocarle, oppure che sopravvivono in relativa oscurità ma influenzano ancora
potentemente il pensiero e soprattutto l’azione di esponenti della nostra classe dirigente, ben
nota per l’acutezza della sua “vision”. Un esempio chiarissimo di queste mentalità è quello del
cosiddetto “modello di sviluppo” del mondo, dell’Europa, dell’Italia, e addirittura del territorio
piacentino. Il modello tardo ottocentesco che riduceva tutti i molteplici tipi di sviluppo a quello
economico, considerato come l’unico vero fattore della felicità degli individui e dei popoli, e che
per molto del Novecento ha tenuto banco, con effetti “misti” (a essere molto benevoli), non
certamente soltanto positivi, visto come è ridotto il mondo nel 2011, è ancora vivo e vegeto tra
noi, nonostante tutte le discussioni e le proposte che caratterizzano la direzione che sembra avere
ormai definitivamente preso la nostra civiltà: quella del rallentamento, del ritorno alla saggezza,
del ripudio del PIL come unico dio, del contenimento del consumismo e degli sprechi di risorse,
della confutazione dell’equazione qualitàdellavita = soldi, della rivalutazione della natura, e così
via. Questo esiziale modello, che ci ha dato un po’ di cosiddetto “benessere” chiedendoci in
cambio l’anima, si annida ancora nei PSC (piani di sviluppo comunali) che i Comuni della provincia
di Piacenza, per limitarci al caso locale, stanno approvando uno dopo l’altro: i piani finora
presentati prevedono quantità di nuove costruzioni assolutamente stravaganti, capaci di ospitare
abitanti e attività industriali o commerciali in quantità veramente esorbitanti rispetto alle
modestissime crescite attese, e in presenza di grandi numeri di costruzioni consimili già esistenti
ma disperatamente vuote. Come spiegare questi “sviluppi” futuri se non come progetti speculativi
di privati, con la complicità di alcuni amministratori, che non sanno dire di no ai loro amici, parenti,
o semplicemente concittadini, progetti non basati su un’effettiva domanda proveniente dal
mercato? Purtroppo, i costi per la collettività di questi piani sono immensi: basta pensare al
consumo di suolo, un fenomeno macroscopico che ormai molti deprecano, ma solo a parole; e alle
continue inondazioni, che anche in questi ultimi giorni hanno provocato danni molto gravi in
numerosi luoghi della provincia e che qualcuno comincia timidamente ad attribuire alla causa vera
ma finora mai citata o soltanto sussurrata: la cementificazione selvaggia. E, a proposito di
consumo di suolo, ci capita di leggere, nel 2011!, frasi come queste: “…senza questo “consumo” la
nostra provincia non potrebbe sostenere il cospicuo numero di abitanti e tanto meno il livello di
vita. Non dobbiamo dimenticare che 100 mq di capannone producono mediamente ricchezza
come 250.000 mq di terreno agricolo.” (Giuseppe Parenti, Potenziare le infrastrutture per le sfide
della globalizzazione, Libertà 8 giugno 2011, p. 53) Certamente, i conti su cui si basa questa
affermazione non tengono conto dei costi, semi-nascosti ma reali, della costruzione di un nuovo
capannone (quando si dovrebbero invece usare tutti quelli vuoti prima di pensare a costruirne dei
nuovi), costi che gravano su tutti i cittadini, e in particolare sugli abitanti della zona.
Occorrerebbe inoltre specificare bene che fine farà la ricchezza aggiuntiva eventualmente
prodotta. Infatti è evidente che un conto sono le costruzioni destinate ad ospitare attività
produttive (sempre che ve ne sia ancora bisogno, stante deindustrializzazione in atto) e altro sono le infrastrutture viabilistiche. Realizzare un’autostrada a tre corsie (sei complessive) da
Castelsangiovanni a Fiorenzuola, avrebbe un impatto devastante sulla fascia al piede delle colline
piacentine, che mantiene caratteri di alta qualità sia dal punto di vista del paesaggio che
dell’agricoltura, caratteri in grado di assicurare lo sviluppo di nuove attività. Di contro nessun
vantaggio ne avrebbe l’economia locale nel suo complesso, perché nessun nuovo posto di lavoro
stabile verrebbe creato. L’unico vantaggio sarebbero i guadagni stratosferici delle aziende
chiamate a costruirla. Basterebbe ammetterlo sinceramente e tutto sarebbe più chiaro e nessun
amministratore avrebbe più il coraggio di mettere questa proposta all’ordine del giorno.

Umberto Fantigrossi

Domenico Ferrari Cesena

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