martedì 21 giugno 2011

Lib-Lab, il Pd non scioglie il nodo

Un po’ più laburisti, un po’ meno liberali? Il partito di Bersani dopo la conferenza sul lavoro.

di Rudy Francesco Calvo
da Europa
21 giugno 2011



Della conferenza nazionale sul lavoro organizzata dal Pd a Genova rimane, almeno in quella parte di opinione pubblica che ne è stata informata, soprattutto lo strascico del confronto tra il documento predisposto da Stefano Fassina e approvato all’unanimità dai delegati e quello che porta la prima firma di Pietro Ichino, sul quale la platea non è stata chiamata a esprimersi per volere degli stessi proponenti.
Perché la fase politica (quella interna al Pd e quella più generale) suggerisce a tutti di evitare conte para-congressuali. La stessa soluzione, con ogni probabilità, sarà adottata venerdì prossimo in occasione della direzione che preparerà la conferenza sul partito annunciata per l’autunno.
È difficile, però, eludere il tema posto sabato scorso dall’editoriale sul Corriere della sera di Dario Di Vico: il Pd viaggia inesorabilmente verso una linea laburista? Considerazioni, quelle dell’editorialista, che lo stesso Ichino giudica «nient’affatto peregrine» e che hanno indotto Walter Veltroni e Sergio Chiamparino a confermare il loro sostegno al documento del giuslavorista.
Con loro anche altri esponenti dem, non solo appartenenti alla minoranza di MoDem: fra tutti, è stato Franco Marini a Genova a richiamare l’attenzione sulla proposta del contratto unico, come «integrazione» al documento della segreteria. «Bisogna conciliare i diritti e le tutele per i lavoratori e gli strumenti per far crescere la produttività delle imprese – afferma Achille Passoni – un partito riformista deve muoversi in questa direzione. Il Pd a Genova ha iniziato a farlo, nuove idee possono contribuire innestandosi su questo impianto di fondo».
Idee che però sono state accolte, come ha denunciato lo stesso Ichino, con «accenti di fastidio» che richiamano episodi che hanno contraddistinto anche la vita interna del Pd nel recente passato (lo stesso Fassina, ad esempio, è stato protagonista sia del documento dei cosiddetti “giovani turchi” che ha fatto da contraltare alla lettera che ha segnato la nascita di MoDem, sia di un lungo articolo che si contrapponeva al discorso di Veltroni al Lingotto lo scorso gennaio).
«Di questo passo non si va da nessuna parte – scuote la testa Enzo Bianco, presidente dei Liberal Pd – corriamo il rischio di rappresentare una posizione residuale. Questo partito non è nato per limitarsi a difendere l’esistente, ma per cambiarlo. E per questo non possiamo trovare le risposte nelle ideologie del secolo scorso».
Se per Fassina, insomma, «nell’ultimo quarto di secolo c’è stato un pensiero unico (quello liberale, ndr) e ha penetrato troppo il Pd», Bianco è certo che «il documento Ichino forse sarebbe stato ampiamente minoritario tra i delegati di Genova, ma potrebbe essere maggioritario nel paese». L’esigenza di conciliare le due linee interne al partito è avvertita da Pier Luigi Bersani, l’ex ministro delle lenzuolate, che non a caso proprio dal palco di Genova ha rassicurato: «Non ho cambiato idea sulle liberalizzazioni». Anche perché il tema incrocia direttamente la possibilità di costruire un’ampia alternativa di governo.
La parole più dure nei confronti della scelta dem di abbandonare la riflessione sul contratto unico sono venute infatti dal Terzo polo. «Il Pd è chiamato a una scelta – sostiene l’udc Gian Luca Galletti – fra la possibile azione di governo e la sterile demagogia della conservazione dei diritti per chi è già garantito». Ancora più duro il capogruppo finiano Benedetto Della Vedova: «Sui temi del mercato del lavoro e del welfare, il Pd pare abbandonare le proposte più modernizzatrici e pragmatiche, come quelle di Ichino, in favore di soluzioni conservatrici e purtroppo demagogiche».

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