domenica 24 aprile 2011

L'OMAGGIO ALLA LIBERTÀ

L'ARTICOLO 1 DELLA COSTITUZIONE
di ANGELO PANEBIANCO dal CORRIERE DELLA SERA del 22/04/2011

Una costituzione è fatta di principi e di regole che devono dare corpo ai quei principi. La dimensione simbolica di una carta costituzionale non è meno importante delle sue regole operative.

La questione dell'articolo 1 della Costituzione è tornata ora alla ribalta per l'iniziativa di un deputato del Pdl, Remigio Ceroni, che ne ha proposto una radicale revisione. L'iniziativa è figlia della situazione di conflitto politico feroce che stiamo oggi vivendo e seguirà, presumibilmente, la sorte di altre prese di posizione legate al clima del momento: finirà fortunatamente nel dimenticatoio.

Resterà però, al di là delle vicende contingenti, il problema rappresentato dalla formulazione del primo comma dell'articolo 1 il quale, come è noto, recita: «L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro». All'Assemblea costituente due esponenti della cultura politica liberale, Ugo La Malfa e Gaetano Martino, avevano proposto una diversa versione che richiamava i «diritti di libertà» come primo fondamento della Repubblica. Ma la maggioranza (democristiani, socialisti e comunisti) scelse diversamente. Come ha ricordato Michele Ainis nel suo editoriale di ieri sul Corriere, la proposta di sostituire la parola «lavoro» con la parola «libertà» ritorna periodicamente. È stata avanzata formalmente qualche anno fa dai radicali e spesso rilanciata da altri uomini di cultura liberale, come Mario Segni o Renato Brunetta.

Ainis afferma che sarebbe superfluo un simile intervento dal momento che la libertà, secondo lui, già albergherebbe, «come noce nel mallo», nella democrazia evocata nello stesso articolo 1. Dissento da Ainis e spiego perché. La libertà degli individui (e non, come scrive Ainis, del «popolo» che è soltanto una astrazione) non è affatto già contenuta nella parola democrazia. Questa assimilazione non funziona né dal punto di vista concettuale né da quello storico ed empirico. Sul piano concettuale, democrazia e libertà sono cose diverse (hanno anche una origine storica diversa). Tanto è vero che quando usiamo, per brevità, la parola «democrazia» siamo quasi sempre costretti a precisare che ci stiamo riferendo a una sua particolare versione, quella liberale appunto, la liberaldemocrazia, la versione che combina democrazia e libertà e non ad altre forme di democrazia (popolare, consigliare, eccetera). Né l'assimilazione regge sul piano empirico. Non solo è perfettamente concepibile una democrazia illiberale ma, per giunta, ne esistono in giro molti esemplari: l'attuale Federazione Russa è un esempio.

Ecco perché non si dà alcuna ridondanza se la Repubblica democratica viene fondata sulla libertà anziché sul lavoro. Ma non sono quisquilie, dirà qualcuno? Non abbiamo problemi più seri di cui occuparci? Se la dimensione simbolica di una costituzione è importante, allora quisquilie non sono. I liberali di questo Paese hanno sempre vissuto con grande disagio e come prova del proprio stato di esigua minoranza, il fatto che la nostra carta d'identità collettiva, anziché con un omaggio alla libertà, si aprisse con una formulazione che rivelava la lontananza di tanti membri della Assemblea costituente dai principi della tradizione liberale. Viste le numerose conversioni (verbali) al liberalismo a cui abbiamo assistito dopo la caduta del comunismo forse sarà il caso, quando se ne troverà il tempo, di porre termine a quel disagio.

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