sabato 27 novembre 2010

La guerra civile degli anti-Cav

di Stefano Cappellini
26 novembre 2010
da Il Riformista
Come s’è fatta dura la vita dei professionisti dell’antiberlusconismo, dei duri e puri dell’opposizione, degli apostoli del Verbo o del verbale, che spesso è la stessa cosa. Un tempo potevano spendere tempo ed energie solo per attaccare la sinistra di Palazzo e deplorare l’esistenza del Pd. Ogni giorno era buono per ricordare la Bicamerale, la mancata legge sul conflitto di interessi, l’inciucio col Cavaliere. Quale inciucio? Vabbè, uno a scelta, un inciucio è come il «magna magna» dei politici, c’è sempre.
Altri tempi. Ora i professionisti dell’antiberlusconismo hanno cominciato a farsi la guerra. Tutti contro tutti. Saviano sta sul piedistallo. Travaglio gli rinfaccia che i suoi resoconti «saprebbe farli qualunque cronista» (come se invece trascrivere le ordinanze dei gip fosse difficile, ma forse nel suo caso pesa pure il difficile rapporto con Fabio Fazio, da cui non si sentì difeso a sufficienza dopo il caso Schifani a Che tempo che fa). Grillo suggerisce che Saviano è colluso («Non fa nomi e il suo spettacolo lo produce Endemol. Berlusconi gode come un riccio»), non vuole altri guru in circolazione: sono tutti e due in tour, in fondo. Vendola difende lo scrittore e sempre Grillo gli dà di «politico vecchio». “Nichi”, abituato a fare il nuovo, replica tacciandolo di «integralista». Di Pietro, per ora, latita. Con De Magistris se l’è già suonate qualche tempo fa. Ci si è messo pure Vauro, che ieri ad Annozero, davanti a un divertito Michele Santoro, ha sparato una vignetta velenosissima contro l’autore di Gomorra: «Interminabili monologhi di Saviano», con lo scrittore sommerso da una nuvolona di di bla bla bla e la battuta: «Logomorrea».
Si capisce bene come la vasta clientela dei duri e puri sia in pieno psicodramma. Comitive di amici che si sfasciano. Gruppi di Facebook che si scindono. Chat di adepti che da giorni si scambiano incredule domande: ma hai letto cosa ha detto Grillo? Ma sai che pure Travaglio? E giù discussioni e litigate, anatemi e scomuniche.
C hi sta con l’uno e chi con l’altro. Invasati che si rimpallano accuse con argomentazioni folliniane («Siete la polizza d’assicurazione del Cavaliere»). Accorati e solitari appelli per un ritorno alla “responsabilità” collettiva: «Il problema è il Pd!». Una vera lite in famiglia. Tanto che pure Beatrice Borromeo, autrice del pezzo sul Fatto in cui si raccontava di come Grillo avesse preso a ceffoni Saviano durante il suo spettacolo teatrale, e per questo sommersa di proteste sul suo blog, è finita sul banco degli imputati.
«Cara Beatrice Borromeo - le scrive un lettore - i danni che hai fatto con questo articolo sono incalcolabili. Hai solo animato un indegno tutti contro tutti. Che è l’ultima cosa che serve». Censura, ci voleva. Borromeo è commovente. Si giustifica professionalmente («Chiedere a noi giornalisti di omettere delle notizie non è accettabile»), poi prova a districarsi come quei bambini cui viene chiesto se vogliono più bene alla mamma o al papà (deve essere una sensazione comune a molti): «I vari Di Pietro, Grillo, Travaglio, Santoro, Vauro, De Magistris, Saviano, Vendola, Gabanelli, cioè quelli che una larga parte di pubblico (tra cui molti lettori del Fatto) considerano “i buoni”, sono diversissimi tra loro. In comune hanno solo due aspetti: sono dei professionisti e sono onesti. Sarebbe più semplice se facessero squadra. Ma non penso sia giusto». Se i “buoni” sono percepiti come «interscambiabili» - conclude Borromeo - è «perché sono l’unica opposizione che questo Paese conosce». Parola d’ordine: torniamo a prendercela con Bersani e siamo tutti più sereni.
Ciò che la contessina non aggiunge è che per molti dei “buoni” la priorità non è - non può essere - mandare a casa Berlusconi. Trattandosi di giornalisti, comici, teatranti, scrittori, il loro obiettivo è vendere più libri, più copie del giornale, più dvd, fare più share, staccare più biglietti a teatro. Più in generale. Ma soprattutto, negli ultimi tempi, più dei rivali. La concorrenza, nel settore dell’antiberlusconismo duro e puro, si è fatta agguerrita. Le quote di mercato si riducono. E bisogna contenderle al vicino, all’ex’amico, a quello che due settimane era ospite d’onore del tuo programma. Per i politici-politici non è molto diverso: l’obiettivo principale è sottrarre voti al Pd. Di Pietro ci campa allegramente da tre anni.
Certo è che, se i “buoni” continuano così, arriverà il giorno in cui il più oscuro e compromesso tra i peones del Pd, uno con un decrepito curriculum da funzionario di partito, uno col marchio del vecchio burocrate stampato in faccia, potrà legittimamente salire su un palco qualunque di una piazza Navona qualunque e lanciare morettianamente il suo urlo di disperazione: «Mi spiace dirlo, ma noi con questa opposizione non vinceremo mai».

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