sabato 4 settembre 2010

Tremonti: "L'emergenza è finita Patto con l'opposizione per l'economia"

di MASSIMO GIANNINI
Repubblica
4 settembre 2010

"QUESTO autunno avrebbe dovuto essere il terzo autunno atteso per il crollo dell'Italia. Non è così. Non sarà così. Non c'è bisogno di fare una Finanziaria "vecchio stile". Non c'è bisogno di fare una "manovra correttiva". I titoli di Stato finora sono stati collocati bene. Non ci sono elementi di rottura nelle strutture economiche, industriali e sociali del Paese. Non c'è dunque un'emergenza autunnale".

Giulio Tremonti si ripresenta così, alla ripresa di settembre. "Ma c'è bisogno di qualcosa di molto più impegnativo - aggiunge il ministro del Tesoro - e cioè re-ingegnerizzare il sistema economico italiano. Va fatto nel nostro interesse, va fatto perché lo chiede a tutti l'Europa". "Nessuna emergenza", è dunque la parola d'ordine. Almeno sull'economia. Perché dell'altra emergenza, quella politica, il ministro non vuole proprio parlare. "Alziamo e allarghiamo lo sguardo: quello che il ceto politico non vuol capire è che la nostra dimensione è l'Europa".

Ministro, partiamo proprio dall'Europa. Lunedì e martedì torna a riunirsi l'Ecofin. Che succederà a Bruxelles?

"Si dice che i popoli imparano la geografia con le guerre e capiscono l'economia con le crisi. È quello che sta succedendo in Europa. Lunedì e martedì a Bruxelles è convocato un Ecofin "straordinario", di nome e di fatto. Serve per scrivere il nuovo "Patto di Stabilità e di Crescita". Un atto che marcherà la fine delle politiche "national oriented", e con questo il principio di una vera e nuova politica economica europea comune, coordinata e collettiva, non più eclettica ed estemporanea, diversa stato per Stato. È logico: l'Europa è un continente, ha un'economia-mercato comune, ha una moneta comune, non può continuare con 27 diverse politiche economiche. Farlo era curioso prima della crisi, continuare è impossibile dopo la crisi. È suonato il gong sull'Europa: il passaggio "rivoluzionario", dal G7 al G20, drammaticamente evidenziato dalla crisi, ha segnato la fine di un'epoca. La fine della rendita coloniale europea: prima potevamo piazzare le nostre merci e i nostri titoli dove e come volevamo, adesso non possiamo più farlo".

Veniamo ai contenuti: come sarà il "nuovo" Patto?

"Ogni anno, da gennaio ad aprile, tutto ruoterà per tutti gli Stati intorno alla sessione di bilancio europea. Ed è così che cambieranno, e per tutti, le sedi e la forma della politica economica europea. Con la sessione di bilancio prenderà forma un "luogo" politico nuovo. Ogni Stato presenterà i suoi documenti, destinati ad essere discussi collettivamente da tutti gli altri Stati e coordinati dalla Commissione europea. In sintesi: una fondamentale devoluzione di potere, insieme "dal basso verso l'alto" e "dal diviso all'unito". La forma è economica, ma la sostanza è politica. Ed è ad altissima intensità politica. Nella forma è un passaggio procedurale, nella sostanza sarà un cambiamento costituzionale. Le linee fondamentali comuni su cui si svilupperà la politica europea sono marcate da due sigle: "SCP" e "NRP". "Stability and convergence program"e "National Reform Program". Le due politiche fondamentali della nuova Europa: stabilità delle finanze pubbliche, competitività del blocco continentale".

Tutto questo per l'Italia cosa significa? Abbiamo il terzo debito pubblico del mondo, e non accenna a diminuire.

"Il nostro Programma di Stabilità contiene la manovra di luglio ed è stato già approvato in Europa. Su questa base possiamo assumere che il nostro "SCP" è stato già impostato. Il problema che abbiamo è sull'altra politica, quella marcata dalla sigla "NRP". È su questa che dobbiamo e possiamo concentrarci. In una prospettiva temporale non istantanea, ma neppure lunghissima: da qui a gennaio-aprile del 2011".

Ma c'è chi continua a parlare di manovra aggiuntiva...

"Ipotesi lunare. Dopo la riforma della legge di bilancio e dopo la manovra di luglio, questo autunno la Finanziaria potrà e dovrà essere solo tabellare. E dunque molto diversa dalle vecchie Finanziarie. È piuttosto l'altra politica, non sulla stabilità ma sulla competitività, che va impostata. La stabilità è assolutamente necessaria, ma non è da sola sufficiente. Ed è appunto arrivato il tempo "europeo" per re-ingegnerizzare il nostro Paese in termini di competitività europea. Con una specifica preliminare: si possono seguire tutte le vie per lo sviluppo, tranne la via del deficit, che non causa sviluppo ma crisi".

Assumetevi una responsabilità. Se c'è un programma di riforme europee così vasto da portare avanti, coinvolgete tutte le forze in campo, invece di continuare a dividere le parti sociali e a demonizzare l'opposizione.

"Guardi, alla sessione di bilancio europea tutti i paesi dovranno essere presenti con un documento proiettato sul prossimo decennio. Twenty-Twenty, cioè 2010-2020. Il software politico con cui scrivere quel documento dovrà essere "europeo" e non nazionale, perché la competitività o è coerente con la struttura del blocco continentale o non è. Lo spirito politico con cui scrivere il documento non potrà essere "di parte", ma del Paese. Non scritto solo in base alla logica politica di un governo, ma ispirato da una visione medio-lunga sul bene comune del Paese. I governi possono passare - non è il caso del governo Berlusconi, che è un unicum - ma i Paesi no. In Italia questo vuol dire - e i documenti europei lo chiedono - un ruolo molto intenso del Parlamento, e di tutti gli altri soggetti e forze economiche e sociali del Paese. Fuori dalla lotta politica e fuori dalla dialettica di parte, idee e proposte certo dovranno essere alla fine sintetizzate, ma prima dovranno essere sul più vasto catalogo possibile e nel più ampio dibattito possibile. E in questo il ruolo dell'opposizione potrà e dovrà essere positivo e costruttivo".

La colpa è anche vostra, visto che da mesi governate a colpi di fiducia...

"La mia e la nostra speranza è che la nostra "NRP" sia un documento e rifletta una politica di alto livello. Possiamo e dobbiamo farcela, tutti insieme".

Ora ci spieghi le proposte concrete che il governo metterà in campo, proprio sul tema cruciale della competitività.

"Di tutto questo, nei mesi scorsi e anche ad agosto, ho discusso a lungo con il presidente del Consiglio, cui compete la responsabilità finale della firma del nuovo Patto di Stabilità. Sulla competitività abbiamo messo a fuoco alcuni punti essenziali. Indicativamente, per ora sono otto: la competizione con i giganti; il costo delle regole; il Sud; il nucleare; il rapporto capitale-lavoro; il fisco; il federalismo fiscale; il capitale umano, cioè ricerca scientifica e istruzione tecnica. Non so se qui riusciamo a parlare di tutti. Mi prenoto per la prossima puntata. Primo punto: nel mondo G-20 la competizione è tra "giganti". Nell'arcipelago Europa, destinato a farsi blocco continentale, il sistema economico italiano ha una criticità fondamentale: abbiamo imprese troppo piccole. La maggior parte del nostro Pil è fatto da aziende straordinarie, ma miniaturizzate, con un numero di addetti che va da 10 a 50. La Germania compete con i giganti da gigante, con dieci grandi "kombinat" industriali. È questa la ragione del suo straordinario successo sull'export: dare una commessa a una grande industria da parte di un grande Paese è del tutto naturale. Nello stesso settore industriale, dare commesse a mille imprese è enormemente più costoso: da gigante a nano non ti siedi neanche al tavolo per parlare di cifre...".

Giustissimo. Resta da capire perché il governo Berlusconi non fa qualcosa di concreto, invece di uscire dalle tende beduine dicendo "abbiamo ottenuto lavori per un punto di Pil"...

"Sulla diplomazia commerciale andiamo piuttosto bene. Per decreto non puoi fondere tra loro le piccole e medie imprese: lo spirito d'impresa italiano è molto individuale. Tutti i governi hanno offerto incentivi per la aggregazione. Ma non hanno funzionato abbastanza. E tuttavia: è appena partito il "mega-fondo" pubblico-privato per il sostegno delle piccole e medie imprese. Nella manovra ci sono gli strumenti e gli incentivi per le "reti" di imprese, e su questo è atteso l'impegno reale di Confindustria. È sull'estero che si deve ancora fare molto, concentrando il nostro sostegno all'export. Secondo punto: la competizione non è solo tra giganti, ma tra giganti diseguali. Abbiamo in Europa troppe regole. Le regole utili sono un investimento, le altre sono un costo di sistema che non possiamo più permetterci. L'Europa ha già iniziato a invertire il suo ciclo "giuridico": "stop regulation, less regulation, better regulation". L'Italia deve fare lo stesso. Da noi domina il "tutto è vietato tranne ciò che è graziosamente permesso dallo Stato". Deve essere l'opposto: "tutto è libero tranne ciò che è vietato dalla legge". Il divieto deve essere l'eccezione e non la regola. Una "rivoluzione liberale" da introdurre nella nostra Costituzione".

La riforma dell'articolo 41, ammesso che sia davvero quello il problema della competitività, cosa di cui dubito fortemente, l'ha già annunciata più volte. Perché non presentate il disegno di legge, una volta per tutte?

"Lo faremo. Ci stiamo lavorando a Palazzo Chigi. Non sottovaluti l'impatto di un cambiamento di questo tipo. Ma ci sono mille altre cose da fare sulle regole. Le opere pubbliche costano il doppio si fanno se va bene nel doppio del tempo, per via delle cosiddette "riserve" e delle "opere compensative". Porre un limite invalicabile a queste pratiche riporterà costi e tempi delle opere pubbliche a dimensioni economiche e temporali europee. Non solo: un'altra piccola "rivoluzione" può essere introdotta nel processo civile, altro enorme fattore di blocco dell'economia. Con la Finanziaria 2008 abbiamo introdotto il "processo telematico", superando le regole di un processo che ancora viaggiava su faldoni cartacei e sui "camminatori" per le notifiche. Non ha ancora funzionato. Un po' come avere una Ferrari e tenerla in garage o metterla in un ingorgo di traffico. Creare con incentivi una corsia agevolata per il processo telematico potrebbe essere una piccola-grande riforma".

Ministro, se è tutto qui quello che avete da offrire al Paese per la ripresa d'autunno c'è da preoccuparsi...

"Abbiamo altre leve da muovere. Punto terzo: il Sud. La questione meridionale non è la somma delle questioni regionali. È qualcosa di più e di diverso, è una questione nazionale su cui va fatta una politica nazionale e non più solo regionale. Una "regia" che concentri gli enormi fondi ancora disponibili su obiettivi strategici e fondamentali. L'Italia è ancora un Paese duale, ma non può e non deve diventare un paese diviso. Quarto punto: il nucleare. La mancanza del nucleare la paghiamo sul Pil: gli unici ad importare tutta l'energia. Quinto punto: il fisco: il cantiere della riforma fiscale l'avevamo aperto in gennaio, poi è venuta la Grecia. Adesso può essere riaperto...".

Questa è una notizia. Riaprite il cantiere della riforma fiscale? E per fare cosa?

"Allargare e semplificare la base imponibile, ridurre le aliquote, concentrare il "favor" fiscale su tre voci essenziali: famiglia, lavoro, ricerca".

Ma avete annunciato un'infinità di volte che ridurrete la pressione fiscale, che invece aumenta. Perché non mantenete la promessa?

"Con il terzo debito pubblico del mondo, e con uno Stato sociale grande e generoso, la pressione fiscale si può ridurre soprattutto aumentando il Pil e riducendo l'evasione. Oggettivamente lo stiamo facendo. Ci aiuterà il sesto punto del nostro piano, che è il federalismo fiscale, e che va avanti".

Il vero tema, che il governo finge di non vedere, è però quello del lavoro. Stiamo vivendo lo scontro sulla Fiat, da Melfi a Pomigliano. E stiamo vivendo soprattutto il dramma della disoccupazione giovanile, che in Italia non ha riscontri con il resto d'Europa.

"Il conflitto capitale-lavoro non c'è nella dimensione d'impresa dominante: con alcune decine di addetti. Si manifesta salendo di scala. A luglio, lavorando sulla manovra con Angeletti, Sacconi, Marcegaglia e Bonanni, usavamo la formula "contratti alla tedesca". Convinti allora, almeno io, che questo era il modello competitivo giusto. E con riserva di sviluppare in questa logica i contratti di produttività. Come ci racconta da un anno il governatore tedesco Axel Weber, lo straordinario successo della competitività tedesca si spiega così: la ricerca del miglior rapporto possibile tra capitale-lavoro, impresa per impresa".

Come può crescere un Paese che non finanzia la ricerca? Perché continuate a non fare nulla in questo campo?

"Su questo si deve fare oggettivamente molto di più. Sappiamo bene che servono i soldi. Pensi comunque che inventariando i fondi per il Sud sono venuti fuori circa 5 miliardi destinati alla ricerca, ma non utilizzati. L'istruzione tecnica è la grande assente nel nostro sistema educativo, che si è troppo allontanato dal mondo produttivo".

Tutto giusto, tutto avviato. Ma allora mi spiega perché il presidente della Repubblica due giorni fa ha denunciato l'assenza di una seria politica industriale in questo Paese? Cosa risponde a Napolitano?

"Più che di "politica industriale" forse si deve parlare di competitività, come ho cercato di spiegare finora. Competitività che non può essere disegnata in un Paese solo o da un governo solo, ma che deve essere disegnata attraverso un dibattito e raccogliendo contributi, i più ampi possibili, in funzione del nostro "NRP", cioè del paradigma europeo. C'è ancora tempo, ma non possiamo perdere tempo".

Perché da quattro mesi manca il ministro dello Sviluppo? Perché manca il presidente della Consob?

"Penso che saranno nominati presto. Ma per tornare al paradigma europeo della competitività, c'è bisogno di tutto e di tutti. Non di un singolo ministro, ma di tutto il governo. E non solo del governo, ma del Parlamento. E di tutte le forze sociali, economiche e ideali del Paese. Vede, troppe volte in questi mesi in Italia si è rappresentata l'Italia come "La torre di Babele" di Bruegel il Vecchio. Non è così. Io ne sono certo: l'Italia è stata, è e sarà diversa e migliore".

1 commento:

  1. "Più che di "politica industriale" forse si deve parlare di competitività.."
    Concordo... una intervista su cui discutere e non poco.
    Soprattutto nel centro-sinistra

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