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Roma, 1 ott 2009
di Luca De Fusco
Negli ultimi mesi la Libia e il suo leader hanno avuto una copertura giornalistica senza precedenti, non solo in Italia, con una enfasi particolare sulla nuova collocazione internazionale del Paese che ormai, molti danno per scontato, è uscito dal novero dei “rogue states”, gli stati furfanti.
In Italia in particolare, l’opinione pubblica è stata bombardata da una campagna mediatica osannante l’iniziativa diplomatica del governo Berlusconi e il raggiungimento di un complesso accordo di cooperazione politica ed economica. Non stupisce l’euforia per la rifondata amicizia con un governo che sta seduto su riserve di 45 miliardi di barili di petrolio e oltre mille miliardi di metri cubi di gas i soli vapori dei quali sono in grado di sbloccare qualsiasi serratura ma anche di congelare le resistenze morali di austeri governi anglosassoni. Se gli italiani che seguono la cronaca stanno cercando di raccapezzarsi con la cifra che dovremo devolvere al governo della Libia nei prossimi vent’anni, molti negli Stati Uniti e in Gran Bretagna sono furibondi con la autorità scozzesi che hanno rilasciato e rimandato Tripoli, con deboli motivazioni di carattere clinico, il cittadino libico riconosciutosi colpevole della morte di 270 persone nell’incidente aereo PanAm caduto a Lockerbie( Scozia) nel 1988.
Il raggiunto accordo Italia-Libia (di “Amicizia, partenariato, cooperazione”) siglato nel 2008, prevede una donazione complessiva di cinque miliardi di dollari Usa ( 3,4 miliardi Euro circa ) rateizzati in vent’anni. Una cifra considerevole alla cui definizione si è pervenuti con metodi di calcolo quanto meno bizzarri grazie anche allo scarno dibattito parlamentare in Italia e, apparentemente, senza alcuna consultazione collegiale in sede di Unione Europea.
Il messaggio pervenuto all’opinione pubblica definisce la donazione come una compensazione per i crimini subiti dalla popolazione libica nel corso della colonizzazione italiana.
Fatti gravi , dai particolari raccapriccianti, di cui nessuno attualmente intende mettere in dubbio l’autenticità. Negoziati veri e propri erano già in corso con il governo Prodi e le consultazioni risalgono ai tempi di Aldo Moro.
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Gheddafi accolto da Berlusconi al suo arrivo a Roma
Non si fa riferimento però alla precedente compensazione di 4,8 miliardi di lire (circa 50 milioni di Euro attuali) erogata in seguito all’accordo del 1957 tra Italia e l’allora Regno di Libia che chiuse, par di capire dai documenti dell’epoca, ogni contenzioso tra i due Paesi. Né si fa riferimento alla confisca dei beni di cittadini italiani del 1970, all’epoca quantificati in centinaia di miliardi e, se rivalutati ai valori correnti, eccedenti di non poco il totale della donazione concordata.
A rigor di logica, poiché è da escludersi che alcuno dei residenti italiani possa essere ritenuto responsabile di crimini di guerra perpetrati contro la popolazione libica, le confische possono essere state concepite come ipoteca temporanea in attesa di indennizzo da parte del Paese responsabile dei danni, cioè l’Italia. Se invece sono state intese come acconto questo particolare doveva essere messo in risalto nel contesto del negoziato, e le relative detrazioni contabili applicate.
Va ricordato che nel ’57 la Libia era una monarchia e Re di Libia era Idriss I asceso al trono perché,
oltre che alleato degli inglesi in guerra, era da decenni a capo della confraternita politico religiosa dei Senussi che aveva condotto la lotta armata contro le forze italiane. E’ contrario alla logica, quindi, rifiutare l’accordo del ’57 poiché all’epoca la trattativa venne condotta con uno stato sovrano rappresentato da una persona, Re Idriss appunto, pienamente informata dei fatti e autorevole esponente degli insorti, in grande maggioranza Senussi come del resto le vittime.
A maggior ragione più autorevole di Gheddafi il quale essendo del 1942, negli anni ‘30 non era ancora nato, né risulta che provenga da famiglia attiva nella lotta armata.
E’ noto che da quando, nel 1969, il tenente Gheddafi ( Trasmissioni Esercito) detronizzò Re Idriss e si insediò al potere con altri dieci colleghi la Libia assunse un atteggiamento rivendicativo nei confronti dei paesi occidentali e dell’Italia in particolare ma è altrettanto noto che l’Italia continuò a fare ottimi affari con lui vendendogli di tutto, armamenti inclusi.
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Berlusconi e Gheddafi durante la firma dell'accordo Italia-Libia
Il nuovo accordo di amicizia ecc. del 2008 nonostante la forma notarile contiene diverse definizioni vaghe e potenzialmente foriere di contenziosi. Si parla ( Art.8-6) di “esenzione da tasse”: quali tasse? Si parla ( Art. 10-a) di duecento “unità abitative”: monolocali o ville di lusso? Per chi? E così via…
E’ auspicabile che gli esperti di settore degli Esteri siano stati adeguatamente coinvolti ma non è chiaro chi abbia valutato le implicazioni economiche dell’accordo.
Si evince dal documento dell’accordo una genericità degli impegni reciproci oltre a una esposizione
accentuata della parte italiana alle variabili dei costi. Anche ammettendo che per una autostrada di circa 1000 km bastino i 3,4 miliardi di Euro, non si comprende come i pagamenti si concilino con le tranche annuali pari ciascuna ad un ventesimo della donazione. Ovviamente, se la costruzione si procrastinasse per vent’anni il contributo concordato verrebbe dissolto dall’inflazione, soprattutto agli sgradevoli tassi che vedremo tra non molto in arrivo da oltre Oceano.
Resta quindi da vedere se l’accordo sanerà per sempre le divergenze con il governo libico escludendo altre richieste di indennizzo e tensioni di qualsiasi tipo,
Di sicuro, per il momento, sta già creando problemi in campo italiano. Infatti il ministro Tremonti, alle prese con un deficit statale in espansione e sottoposto a pressioni da ogni parte, ha prontamente chiarito che non esiste alcuna disponibilità di fondi dal bilancio ordinario dello Stato per finanziare opere pubbliche in paesi terzi, come la già famosa autostrada litoranea da costruirsi da Tripoli a Bengasi e ha quindi varato una nuova imposta, l’addizionale sulle società petrolifere, IRES.
La donazione annua di 250 milioni di dollari per i prossimi vent’anni, secondo l’esplicita intenzione di Tremonti, verrà finanziata con i proventi IRES.
Non stupisce quindi che all’ENI, fatti i loro conti, non abbiano esitato a far ricorso contro il provvedimento fiscale presso l’Agenzia delle Entrate. Ma, è spontaneo chiedersi, non potevano le parti italiane coinvolte consultarsi prima, nelle fase negoziale o addirittura prima che essa iniziasse?
Qualcuno ha malevolmente affermato che ci siamo alleati con la Libia ma le cose, assicurano i collaboratori di Berlusconi, non stanno così. Forse, però, riferendosi al comma 2 dell’articolo 20 del trattato di amicizia ecc., che parla di cooperazione militare tra Libia e Italia anche a livello industriale oltre che operativo, esponenti libici hanno manifestato l’intenzione di entrare nel capitale di Finmeccanica. L’operazione avrebbe maggiori possibilità di andare in porto se non avesse Finmeccanica assorbito nei mesi scorsi la ditta Usa DRS perché l’amministrazione Obama potrebbe reagire in modo tale da influenzere le trattative.
Rapporti economici, questi, che si sarebbero potuti sviluppare anche indipendentemente dal trattato vista la vicinanza tra i due Paesi firmatari e la complementarità delle loro economie.
Di maggior risalto, anche perché non dovrebbe comportare dispendio di denaro pubblico, è
l’ingresso del fondo sovrano libico, Lia, in Unicredit con una quota del 5% del capitale. Questo presenta analogie con la partecipazione azionaria libica in FIAT al 10% (1976-86) e non è , oggi come allora, attribuibile a “politiche di amicizia” o cose del genere ma semplicemente ad una visione pragmatica dei rapporti internazionali da ambo le parti. La Libia deve alle esportazioni di petrolio il 95% delle sue entrate ed è quindi del tutto comprensibile che ritenga imperativo diversificare anche in altri settori.
Il giornale inglese “Guardian” ha riportato con dovizia di dettagli anche alcune operazioni finanziarie di natura particolare che aiutano ad inquadrare meglio la natura dei rapporti tra Berlusconi e Gheddafi e che sembrerebbero giustificare il termine “Libyan connection”.
Un fondo sovrano libico avrebbe rilevato una parte del capitale azionario della “Quinta Communications SA” costituita dal 1989 in Francia da Berlusconi e dall’imprenditore franco-tunisino Tarek ben Hammar che ha come obiettivo la produzione di film destinati al mercato arabo.
E’ stata la stessa Mediaset a diffondere la notizia dal suo sito anche se adesso sembra restia a fornire altri dettagli. Annunciata dal 2008, poi lestamente negata, una compartecipazione Berlusconi, Tarek, Gheddafi anche in Nessma TV, una emittente privata tunisina, sul cui schermo il Capo del Governo italiano è comparso in coincidenza della sua visita ufficiale a Tunisi, quest’anno, esibendosi in uno dei suoi show promozionali in cui gli va riconosciuto un innegabile talento ( immediatamente finito su YouTube). Intanto l’opposizione, in Italia, era troppo intenta a guardarsi l’ombelico per gridare allo scandalo offerto da un capo di governo che sottrae tempo alla funzioni pubbliche per dedicarsi alla promozione dei suoi affari personali facendo affermazioni diametralmente opposte alla proprie tesi di governo in particolare sulla politica nei confronti degli immigrati.
Altro punto critico sollevato dalla iniziative di Berlusconi e soprattutto dalle modalità da esso scelte è quello degli indennizzi per i precedenti del nostro passato coloniale. Non ci sono prove certe del fatto che Berlusconi conosca la storia del colonialismo europeo meglio delle maniere “politicamente corrette” nelle relazioni internazionali e questo è un problema grave di cui il Paese potrebbe pagare le conseguenze.
Nel Nord Africa, l’Italia è stata seconda solo alla Francia, padrona in Algeria fino al ’62, nell’impiego di violenza repressiva nei confronti delle popolazioni locali. Ma va tenuto presente che diversi altri paesi europei ora influenti membri UE, dall’Inghilterra, alla Spagna, al Portogallo, all’Olanda ecc. hanno parecchie macchie analoghe nel loro passato estese a tutti i continenti. Sarebbe stato quindi opportuno e corretto consultarsi preventivamente con gli omologhi in sede di Unione Europea prime di siglare un accordo che parla esplicitamente di “risarcimenti”.
Quanto, per esempio, dovrebbe risarcire la Francia all’Algeria per i suoi 132 anni di presenza coloniale? E il Belgio al Congo ex-belga?
Ma anche noi potremmo essere chiamati a saldare i conti con le altre ex-colonie.
Quanto spetterebbe all’Eritrea per le migliaia di giovani, anche adolescenti, reclutati dal nostro Regio Esercito e portati a morire in insensate campagne coloniali? E per i civili etiopici bruciati per rappresaglia dopo il fallito attentato a Graziani? Non è tanto necessario fornire risposte immediate quanto tenere presente che la questione dei risarcimenti, finora esercizio teorico da consesso terzomondista, è diventata attualità politica. Spostare un filo nella complessa rete dei rapporti internazionali può avere ripercussioni imprevedibili soprattutto per chi sembra avere più dimestichezza con i nomi dei calciatori che con la Storia. Il cinismo dimostrato di recente da Bossi, Maroni e dallo stesso Berlusconi nei confronti degli eritrei e somali fuggitivi morti annegati nel canale di Sicilia non esorcizza di certo altre richieste di risarcimenti. E anche nel caso di compensazioni per danni di guerra già pagati, come nel caso dell’Etiopia, il caso Libia potrebbe costituire un precedente. In fondo, neanche il magnanimo Negus Haile Salassie che perdonò i soldati-operai italiani e con cui era stato raggiunto un accordo, è più sul trono. Qualcuno potrebbe obiettare che né l’Eritrea né l’Etiopia hanno gas e petrolio. Per il momento nulla di consistente, certo, ma la regione circostante ne è ricca……
Un particolare che sfugge spesso anche a persone bene informate è la peculiare posizione di Gheddafi in Libia di cui egli non è né presidente, né sovrano, né titolare di alcuna carica governativa, almeno dal ‘79. Una guida spirituale, un Grande Leader senza il cui volere non si muove foglia e che si lascerà dietro, certamente tra meno di vent’anni, un paese corrotto e male amministrato.
Un argomento che merita un discorso a parte.
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