domenica 21 febbraio 2010

La bolla della new economy Una beffa lunga 10 anni

Marco Lo Conte
20 feb 2010
da Il SOle 24 Ore

Decidete voi se è nata prima la volpe o il pollo. Se cioè a provocare la bolla speculativa sulla new economy siano stati più i conflitti di interesse e l'avidità di pochi, della vulnerabilità dei molti. Fatto sta che alla vigilia del decennale dai massimi storici del Nasdaq (il 10 marzo del 2000), quelle esagerazioni finanziarie sono un ricordo ancor oggi vivo e doloroso, almeno finanziariamente: perchè chi aveva sottoscritto quei titoli tecnologici, li ha tuttora in portafoglio, nella speranza pressochè vana di tornare a quei valori di carico. E anche perchè per molti versi la bolla hi-tech ha rappresentato solo la prova generale della ben più grave bolla immobiliare esplosa nel 2008. A causare quegli eventi, in ogni caso, ha concorso una pluralità di fattori: banche d'affari che puntavano ad arricchirsi muovendosi tra le maglie di regole poco rigorose; sull'onda (è bene ricordarlo) di una fase di sviluppo economico e tecnologico protratto negli Usa per tutti gli anni 90. Ma ha giocato anche la vulnerabilità di soggetti che approcciavano solo allora i mercati di rischio e che, orfani delle cedole dei titoli di Stato grazie alla convergenza italiana nell'euro, si mettevano avidi a caccia di rendimenti. Nonostante l'apparizione nel dibattito del termine «esuberanza irrazionale», lanciato nel 1996 da Alan Greenspan, l'allora superpotente presidente della Federale Reserve, additato ora tra i responsabili di quella e della successiva bolla immobiliare.

Il risultato? L'indice Nasdaq scese dal picco fino all'11 marzo del 2003, il 75% del proprio valore, l'S&P500 42,6%, il Dax il 71% e il Cac40 il 61,7%. In mezzo, ovviamente, gli attentati alle torri gemelle dell'11 settembre 2001. Le alterne fortune dei protagonisti di quegli eventi sono raccontate in queste pagine di «Plus24»; ad esse si aggiungono quelle di ciascun risparmiatore, che ha dovuto fare i conti con la soglia del proprio dolore finanziario, spesso per la prima volta in vita sua. A livello di sistema le famiglie italiane aumentarono la propria esposizione all'equity della metà: dal 19,1% del 1995 al 29,6% del 2000 (vedi grafico in pagina 6), per poi ridurre la quota di azioni fino al 24,5% del 2004 e dopo un rimbalzo, di nuovo giù fino al 20% del 2008. In questi frangenti il peggio lo diedero gli analisti e le loro previsioni: Abby Cohen di Goldman Sachs sbagliò per eccessiva prudenza nel 1999 e da allora non si tenne più, prevedendo rialzi continui fino a tutto il 2000. Per poi finire sotto inchiesta per aver consigliato azioni Enron un mese prima del suo fallimento. Pochi colsero al volo il rimbalzo della primavera del 2003 e nemmeno dopo il rally successivo gli indici azionari non sono più tornati ai livelli del 10/3/2000: inficiando quella regola che pareva aurea secondo cui in un decennio le azioni battono sempre i titoli di stato. Il Nasdaq è tuttora sotto del 56%, l'S&P500 del 21%, il Dax del 29 e il Cac40 da 42%. E Milano? A meno 56,8% dai massimi.

La storia è nota: si è ripetuta, come detto, e non era inedita. Accadde in Olanda per i tulipani tra il novembre 1637 e il maggio dell'anno dopo, poi nel 1720 con le società di navigazione dei mari del sud (vittima illustre Isaac Newton), idem con le ferrovie nel 1840; per non parlare poi della bolla di Wall Street del 1929 (con l'anteprima immobiliare della Florida nel 1926), o di quella giapponese degli anni 80. Dopo lo bolle, l'occasione che le scatenarono divennero consumo quotidiano: vale per il tulipani così come per internet: nell'ottobre scorso, il 6% delle aziende britanniche, quelle attive nell'hi tech, produceva 1,3 milioni di posti lavoro, il 54% del totale. Complice ovviamente le numerose fuoriuscite dalle investment bank

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