Gim Cassano (Presidente di Alleanza Lib-Lab) risponde ad un intervento di Cinzia Dato
20/1/2010
In un recente ed interessante intervento, intitolato “La democrazia non è uno spettacolo per il pubblico”, apparso tra l'altro sul sito “Spazio Lib-Lab” (vedi pag. http://www.spazioliblab.it/?p=1826 ), Cinzia Dato esprime un punto di vista molto problematico sullo stato della democrazia italiana e sulla sua capacità di affrontare riforme di portata costituzionale.
In sostanza, il suo ragionamento parte dal dubbio se sia o meno opportuno metter mano a riforme costituzionali in un momento in cui si ha il più che fondato sospetto (e, se è per questo, vi sono anche dichiarazioni del tutto esplicite in tal senso da parte della maggioranza e del suo capo tribù) che, più che di una ristrutturazione, si tratti di una demolizione.
Si badi bene che questo dubbio non deriva da una logica tesa a conservare rigidamente la forma di una Costituzione scritta in un periodo nel quale non esistevano TV, Internet, e quando le sfide ai principii di giustizia e di libertà erano ancora quelle di una società arcaica, in molte parti del Paese ancora precapitalista. Semmai, nasce dalla convinzione che, nell'attuale quadro politico, ma soprattutto culturale, il metter mano a pur se utili “riforme” della Carta vada ad aprire la porta allo snaturamento dell'impianto stesso della nostra Costituzione.
La grandezza di quella Costituzione (e di quegli uomini) fu nell'aver voluto e saputo affermare in termini generali, astratti in senso giuridico, così come le leggi devono essere astratte, ma con riferimenti precisi ai diversi aspetti del vivere civile, quei principii di libertà e giustizia in nome dei quali l'antifascismo aveva trovato la sua unità. Ed è stata proprio la generalità con la quale si seppe scrivere quei principii, a consentirne l'attualità e la capacità di operare anche in condizioni culturali, sociali, economiche ben diverse da quelle di un'Italia coperta dalle macerie della guerra.
L'altro aspetto sul quale la Costituzione della Repubblica ha mantenuta inalterata la sua attualità è quello dell'architettura istituzionale. Che si fonda, viste le precedenti esperienze, sul principio del bilanciamento dei poteri e sulle reciproche funzioni di controllo.
Il principio della pluralità, separazione e contrapposizione dei poteri, tipico delle democrazie anglosassoni, è stato recepito con grande estensione nella nostra Costituzione; in primo luogo per evitare la possibilità che l'esperienza fascista di asservimento dello Stato all'esecutivo avesse a ripetersi, e poi per ribadire i principii, non affrontati con chiarezza dallo Statuto Albertino, che chi rappresenta il Paese nella sua unità e nel suo insieme non governa, ma garantisce, e quello che chi giudica risponde alla legge e non allo Stato. Ma non solo per questo: era ben presente la volontà di evitare, in una Repubblica fondata sul concetto di popolo e della sua rappresentanza, il rischio che demagogia e populismo avessero ad affermarsi. E' inutile stare ad elencare i molteplici aspetti di architettura istituzionale nei quali quei principii trovano la loro applicazione; ma, alla radice di tutto, si ritrova il concetto della rappresentanza popolare, dalla quale tutto discende, non espressa in forma populistica e diretta ma, appunto, rappresentativa.
Proprio quello che oggi è a rischio; e lascia molto poco tranquilli il fatto che la messa in discussione di questo principio sia ampiamente penetrata anche nella minoranza parlamentare (appunto, minoranza e non opposizione). Si verrebbe così a ribaltare quanto fu scritto su “The Federalist” da Hamilton, Jay e Madison circa due secoli fa: “il mezzo per preservare la libertà non consiste nell'indebolire l'esecutivo, ma nel rafforzare il potere residuo del popolo contro l'esecutivo”.
Infatti, la tendenza appare chiara: si è operato e si opera invece che per “rafforzare il potere residuo del popolo”, per ridurlo tre volte a finzione: mettendo in discussione il ruolo della sede in cui esso si esercita, il Parlamento; avendo fatto sì che questo sia comunque un luogo di nominati da forze politiche; e comunque lasciando senza alcuna rappresentanza politica una larghissima fascia dei cittadini.
E' emersa così una impropria funzione istituzionale dei partiti politici, non governata da alcuna legge, non sottoposta ad alcun controllo (e neanche quello delle rispettive basi), che si arroga il diritto di stabilire da parte di chi e come vada costituita la premessa prima della democrazia rappresentativa, e cioè proprio la rappresentanza.
Per affermarla concretamente, il “Reform Act” del 1832 abolì i “borghi putridi” dalla rappresentanza alla Camera dei Comuni; nell'Italia di oggi, i partiti politici maggiori, nominando essi i rappresentanti, e grazie al combinato disposto delle soglie variabili in funzione dell'apparentamento di coalizione, stabiliscono se e come figure che siano espressione di un'idea, di una formazione politica, di un territorio, possano o meno esser presenti in Parlamento, sopprimendo la misura del grado di rappresentatività, che è il primo diritto-dovere dei cittadini-elettori, e che solo a loro spetta: l'unico criterio è quello dell'acquiescenza.
Nel dibattito che oggi viene condotto al riguardo, i partiti di minoranza agiscono sulla difensiva, quando non come complici: la loro massima ambizione, quando pure è presente, è quella assicurarsi la sopravvivenza, cercando di limitare i danni, adeguandosi ad un quadro di riferimento culturale che è quello della Destra. Per sua intrinseca natura, la democrazia è più esposta ai pericoli derivanti da chi la sostiene timidamente che dagli attacchi di chi apertamente la contesta. Ed una democrazia che non sia in grado di produrre una classe dirigente, senza che questa abbia a trasformarsi in casta, è destinata alla sconfitta.
Scrivere o modificare sostanzialmente una Carta Costituzionale richiede una forte tensione morale e culturale, quale vi fu negli anni in cui la Costituzione Italiana fu scritta. Oggi, vien da ridere (o da piangere) ad immaginare a quali concezioni possa ispirarsi, maggioranza e minoranza consenzienti, una modifica costituzionale portata avanti da forze politiche e rappresentanze parlamentari che contraddicono in se stesse l'essenza stessa della democrazia, autoriproducendosi per autoclonazione ed al di fuori di ogni possibilità di intervento degli iscritti o degli elettori.
La Costituzione della Repubblica, che l'attuale presidente del consiglio, autoproclamatosi capo del governo, ha definito come “comunista”, fu scritta sulle macerie e sulle lapidi della guerra, come risultato di una straordinaria tensione civile e morale, quale poi si manifestò nella discussione alla Costituente; una sua riscrittura oggi, non preceduta da un grande dibattito attraversante tutto il Paese, sarebbe destinata a registrare gli aspetti più deteriori di quella Costituzione materiale che in molti aspetti ha soppiantato quella scritta. E' quanto meno problematico l'immaginare che questo dibattito possa aver avvio negli attuali partiti politici (ed in particolare nei due maggiori). Occorre che dalle tante Associazioni, Circoli, movimenti di opinione, che rappresentano la parte più vitale e vivace del Paese, parta una discussione al riguardo, fondata sull'idea di democrazia e di società aperta.
Sarebbe ora di cominciare. Cinzia Dato ha gettato un sasso nello stagno: speriamo che altri ne seguano.
Gim Cassano (20-01-2010)
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