mercoledì 20 gennaio 2010

Ora il sogno è diventato bluff. E addio alle riforme...

Berlusconi ha avuto l'ultima chance storica di fare davvero qualcosa di liberale
di Carlo Lottieri
Da Liberal, 14 gennaio 2010

Ha davvero qualcosa di patetico la retromarcia sul tema delle tasse compiuta da Silvio Berlusconi, solo a distanza di pochi giorni dall'intervista rilasciata a la Repubblica, in cui il premier aveva ricordato il suo antico sogno della riforma a due aliquote Irpef: al 23 e al 33 per cento.

Ed è una tristezza che induce a pensare quanto continui a pesare, sulla nostra società, l'insieme degli interessi e delle clientele che generano la spesa pubblica e sono schierati a difesa dello status quo. Perché se il governo volesse ridurre le uscite e accantonare i progetti faraonici, non c'è dubbio che un ridimensionamento delle imposte sarebbe possibile. Ma ieri il premier ci ha detto chiaramente che tra la rivoluzione liberale e la difesa di questa Italia in declino e dei suoi vizi, egli sceglie la seconda strada.

Solo pochi giorni fa in un nostro intervento su questo giornale si era sostenuto come le preoccupazioni di Giulio Tremonti in merito alla tenuta dei conti pubblici (oggi rievocate da Berlusconi quale impedimento al taglio delle imposte) fossero serie e da tenere in giusta considerazione, ma non rappresentassero affatto un ostacolo insuperabile.

Si possono aiutare sia il bilancio pubblico che delle tasse coro l'economia produttiva italiana se insieme al taglio del prelievo fiscale si procede ad alcuni altri passi. Si era detto, in particolare, quanto sia urgente liberare lo Stato dal fardello degli enti pubblici, usando le risorse ottenute dalla cessione di Eni, Enel, Poste Italiane e tutto il resto per ridimensionare il debito pubblico e di conseguenza gli interessi da pagare. Evidentemente, i privilegi e le logiche privatissime di quanti amministrano il parastato hanno fatto premio sulla necessità di aiutare l'economia nel suo insieme.

Ma un tema che avevamo toccato era pure quello del federalismo fiscale, perché se quello delineato dal governo fosse davvero tale prospettando un sistema di imposte manovrabili e bilanci veramente locali, che entrano in concorrenza tra loro - sarebbe più che legittimo attendersi una razionalizzazione dei servizi, una riduzione delle uscite, un ridimensionamento degli oneri. Se però non sarà così e avremo solo un pericolosissimo "federalismo di spesa", con tasse decise da Roma e solo più soldi lasciati in periferia, dovremo certo attendersi un aumento dei gravami sul bilancio generale: e quindi un motivo in più per non tagliare le imposte. Si era anche sottolineata l'esigenza di cancellare quell'insieme di aiuti alle imprese che, per loro natura, seguono logiche discrezionali anche quando sono venduti come interventi di carattere "ecologico". Ed egualmente si può dire che una riduzione importante delle uscite verrebbe dalla rinuncia - da parte dei nostri ministri - a giocare a "Monopoli" con i soldi altrui, rinunciando a mettere le mani nelle tasche dei contribuenti. Insomma, se si mettessero in soffitta - come sarebbe giusto fare - il ponte sullo Stretto, la Tav, la Banca del Sud, il nucleare di Stato e ogni altra grande opera variamente keynesiana sarebbe possibile trovare risorse da lasciare a chi davvero produce ricchezza.

Con ogni probabilità, nel momento in cui ha rispolverato (dopo ben 16 anni!) il vecchio progetto di abbassare le imposte e realizzare il progetto che fu tremontiano delle due aliquote, Berlusconi ha avuto l'ultima chance storica di fare davvero qualcosa di liberale. La goffa smentita di sé delle scorse ore segna la definitiva fine non già del suo sogno, ma di quello cullato da quanti - tanti o pochi che fossero hanno pensato che egli potesse aiutare il Paese a muoversi verso una riduzione della sfera del potere pubblico. Si volta pagina.

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