di Andrea Cabassi
13 gennaio 2010
da Spazio Lib-Lab
In un momento così difficile disquisire di cose teoriche mi sembra quasi un lusso. Ma lusso non è perché le mie riflessioni si intrecciano con la realtà attuale, con gli eventi drammatici che sono accaduti in questi giorni, con il clima di decadenza morale e civile che si addensa, con nubi sempre più minacciose, sul nostro Paese.
E’ luogo comune sentire sempre più spesso voci che si domandano quale è la molla che è scattata ed ha spinto Roberto Saviano a scrivere “Gomorra”. La conseguenza della pubblicazione di quel libro è che Saviano ha sacrificato la sua giovinezza. “Chi glielo ha fatto fare?”si domandano cittadini comuni, anche insospettabili per i loro interessi culturali, oltre che i soliti benpensanti.
E’ luogo comune ascoltare discorsi di cittadini che considerano la politica come un morbo dal quale stare lontani e che considerano i partiti tutti uguali. Discorsi che hanno una base di verità e sui quali è indispensabile riflettere. Peccato che la maggior parte delle persone che argomenta in tal modo, alla fine, vota Berlusconi o la Lega!
Altro luogo comune: ho avuto la triste esperienza di ascoltare persone che si domandavano perché i fratelli Rosselli si fossero così esposti nella lotta al fascismo fino al punto di sacrificare la loro vita. O come è possibile che Giacomo Ulivi abbia sacrificato la sua esistenza a soli 17 anni. Cosa ne sapeva lui, così giovane, della lotta politica? E potrei continuare con questa vera e propria galleria degli orrori
Il discorso sottotraccia è: se tutti costoro si fossero dedicati alla vita privata avrebbero avuto una vita agiata e non avrebbero dato dispiaceri alle loro famiglie, alle loro madri.
Altro luogo comune: gli italiani sono brava gente. Luogo comune molto duro da sradicare. Per fortuna i libri di Angelo Del Boca sull’invasione italiana dell’Africa, sull’uso dei gas in Etiopia per sterminarne le popolazioni, sull’atteggiamento generalmente razzista degli italiani, sono lì, ben documentati, a dimostrare il contrario. Quell’Angelo Del Boca al quale Montanelli dovette chiedere scusa perché il giornalista toscano, reiteratamente, rifiutava di riconoscere che in Etiopia erano stati usati i gas. E peccato che la maggior parte degli italiani non legga libri, forse, pensando che a sfogliare una pagina si rischi di contrarre qualche morbo mortale.
Questa modalità di rapportarsi alla propria storia, di negare, di autoassolversi ( a volte di non assolversi nemmeno perché non ci si accorge neppure della gravità dei comportamenti assunti) sono una spia. Sono la spia di una mentalità tipicamente italica. Primun farsi gli affari propri. Prima di ogni cosa il mio particulare, i miei egoistici interessi, la mia famiglia,il familismo. Se “tengo famiglia” come faccio ad interessarmi del bene pubblico, non ne ho il tempo e può essere rischioso e nell’immediato cosa me ne viene in tasca? Ho altro da fare che non interessarmi di politica, della res-pubblica. Dimenticando di essere cittadini e dimenticando, o non conoscendo, la radice etimologica del termine “politica”. Mi sembra quasi superfluo ricordarlo qui. Politica deriva dal termine greco Polis. Polis è la città. Tutti i cittadini che fanno parte della polis partecipano attivamente alla sua vita politica. Anche quando, al mercato, si discute dell’aumento dei prezzi si fa politica. Si fa politica economica!
Contro questa mentalità si batté il Partito d’Azione sia durante la Resistenza sia dopo.
Nella storiografia e nella politologia la vulgata corrente è che il Partito d’Azione fosse un partito diviso e che si scisse per le varie anime che lo componevano provocandone la diaspora in altri e diversi lidi. Questo è sicuramente vero. Eppure vi è un’altra cosa che andrebbe tenuta in considerazione quando si analizza la storia del Partito d’Azione. Le correnti che lo rappresentavano erano attraversate tutte da un comune sentire che non si perse neppure con la diaspora. Questo comune sentire era la diagnosi spietata, ma assolutamente realistica, che veniva fatta sull’Italia e gli italiani. Diagnosi per la quale gli azionisti vennero accusati di essere dei moralisti, mentre, a mio parere, si trattava di una fortissima tensione etica. Di moralità.
Gli azionisti avevano ben presente che la loro diagnosi era, prima che politica, psicologica ed antropologica. Gli italiani, per una serie di complesse cause storiche e di indole, erano un popolo volto a non impegnarsi nella cosa pubblica, erano un popolo che aveva sostituito all’etica, l’astuzia, il farsi furbi. Era un popolo che delegava a chi li comandava ogni decisone e non si assumeva responsabilità individuali. Era un popolo che passava, disinvoltamente, da un padrone all’altro, sempre dalla parte del vincitore. Un popolo senza virtù civiche, un popolo senza quella religione civile a cui ha fatto riferimento il teologo Vito Mancuso nei suoi scritti. Anche se ridondante, in questo contesto, mi pare utile ripetere quanto affermava Piero Gobetti: i tanti vizi e le poche virtù degli italiani derivavano, secondo il politico torinese, da una mancata riforma religiosa come la riforma protestante. Va detto, per inciso, che fu a causa del contesto precedentemente descritto che Risorgimento e Resistenza ebbero come protagoniste delle minoranze. Minoranze attive, ma pur sempre minoranze.
Gli azionisti ritennero prioritaria l’analisi pre/politica e il discorso dell’integrazione politica più che l’antagonismo fra i partiti, soprattutto nelle prime fasi della democrazia post resistenziale. Si trattava, insomma, di mettere al primo posto “La rigenerazione morale” degli italiani che veniva prima di qualsiasi analisi socio-economica .
Quanto quest’analisi sia attuale lo dice la situazione politica in cui ci dibattiamo.
Il berlusconismo, forse più di Berlusconi stesso, come fenomeno trasversale alle varie forze politiche, sociali, economiche, ha prodotto macerie, rovine morali, ha devastato quest’Italia, ne ha lacerato il tessuto connettivo.
Come il fascismo fu l’autobiografia di una nazione, il berlusconismo è l’autobiografia della nostra nazione nel XXI secolo. Ha accentuato tutti di difetti già visti, con lungimiranza, da Gobetti e dagli azionisti. E’ noto come Gobetti arrivasse al punto di fare, paradossalmente, l’elogio della ghigliottina per verificare fino a quanto la corda poteva essere tirata per provocare negli italiani una ribellione alla situazione di degenerazione morale che stava vivendo l’Italia.
Berlusconi , i berlusconiani, il berlusconismo sono riusciti nel capolavoro di rendere i vizi degli italiani virtù: è una virtù non pagare le tasse, aggirare le leggi, farne ad personam, non rispettare l’altro, dedicarsi al puro egoismo, accumulare capitali non importa come, l’importante è che non ci siano vincoli etici, considerare la cultura culturame da combattere e irridere. Le televisioni e i loro palinsesti, in poco più di vent’anni, sono riusciti nell’operazione di ottenebrare la residua e fragilissima coscienza civile degli italiani.
Rovine, macerie, devastazione.
Ci vorranno almeno 50anni perché l’Italia, ormai giunta al capolinea come nazione per le suddette ragioni, possa riprendersi e tornare ad essere un paese civile. Ci vorranno 50 anni perché i sudditi di Berlusconi ritornino ad essere cittadini.
Allora, se la mia analisi è giusta, bisogna porsi nella stessa ottica del Partito d’Azione e porsi il problema della “rigenerazione morale degli italiani”. A costo di essere elitari, illuministi, giacobini. Porsi il problema del pre/politico o dell’impolitico per usare un’espressione cara al politologo e filosofo Roberto Esposito.
Il problema da porsi è se esistano o no delle strategie da adottare per una rigenerazione morale degli italiani, per ripristinate, o trovare ex novo, una virtù civica, quella religione civile di cui Vito Mancuso ha denunciato la mancanza, come ho accennato più sopra.
Al di là delle alchimie politiche, delle schermaglie sulle alleanze ciò viene prima dell’economia e delle tattiche da utilizzare per costruirei vari schieramenti possibili.
Non so indicare concretamente quali strade intraprendere. Sarebbe necessario modificare la trasmissione della cultura nelle scuole, incentivare la lettura, modificare i palinsesti delle televisioni. Ma mi rendo conto che questa sarebbe una vera e propria rivoluzione. Pongo il problema come elemento di dibattito e di discussione.
Quando sempre meno persone si chiederanno perché Saviano ha rischiato in proprio e lo apprezzeranno, quando sempre più gente avrà compreso e conoscerà il sacrificio di Piero Gobetti, quello di Gramsci, quello dei fratelli Rosselli, quello di Giacomo Ulivi, quando sempre più persone si interesseranno del bene pubblico non mettendo più al primo posto l’egoismo, quando sempre più cittadini saranno schifati dalla programmazioni delle televisioni pubbliche e private, si porranno il problema di conquistare alla legalità larghe zone del nostro territorio e porsi il problema dell’integrazione dell’Altro; allora e solo allora ritorneremo ad essere una nazione. Una nazione civile . Arriverà mai quel giorno? O saremo costretti a vedere estinguersi definitivamente questo nostro Paese?
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