di Renato Mannheimer
25 gennaio 2010
Corriere della Sera
Le prossime elezioni regionali saranno particolarmente importanti nel determinare gli sviluppi dello scenario politico del Paese. Il loro esito servirà a ridelineare i livelli di consenso tra le varie formazioni politiche, con un conseguente rafforzamento o meno della coalizione di Governo.
Sin qui, i sondaggi suggeriscono una conferma o una crescita del seguito per il centrodestra. Anche se, nelle recenti esperienze passate, le regionali hanno per lo più punito l'esecutivo in carica: il risultato ci dirà se questo trend sarà smentito. Trattandosi poi dell'ultima volta in cui siamo chiamati alle urne prima di un lungo periodo di tregua elettorale (e di auspicabile attenuazione, quindi, della continua campagna elettorale che caratterizza oggi il dibattito tra i partiti), i risultati delle amministrative saranno decisivi anche nella formazione delle priorità programmatiche e di riforma per l'azione di governo e dell'atteggiamento che verrà assunto dall'opposizione. Una delle regioni su cui si è più accentrato il dibattito in queste settimane è costituita dal Lazio.
Sia perché la vicenda Marrazzo ha colpito ed emozionato non poco, sia perché le due principali contendenti, Bonino e Polverini, sono figure di grande rilievo, che godono di ampio seguito, al di là dei confini della regione. Lo scontro che avverrà nel Lazio riveste di conseguenza, più di quanto accada per altri contesti, valenze e significati simbolici di carattere generale, tale da renderlo significativo e rilevante sul piano nazionale. Per questo, può rivestire un certo interesse stimare ciò che accadrebbe se, anziché il Lazio, il confronto tra Bonino e Polverini riguardasse tutto il Paese e, di conseguenza, tutti noi fossimo chiamati a scegliere tra le due candidate. Il risultato emerso da un sondaggio condotto al riguardo — che domandava appunto a tutti gli italiani la loro scelta tra le due leader— è quello di una sostanziale parità, con un lievissimo vantaggio per la Polverini. Entrambe le candidate appaiono largamente sostenute dagli elettori degli schieramenti politici di riferimento, con, però, alcune aree di dubbio, se non di dissenso. La Polverini verrebbe votata, a livello nazionale, dal 77% della base del Pdl, ma «solo» dal 67% di quella della Lega (ove quasi il 17% dichiara che si orienterebbe invece verso il sostegno alla Bonino).
La candidata radicale ottiene tra gli elettori del Pd il 72% dei voti, con una quota non piccola (quasi il 20%) che afferma invece che, pur non votando per la Polverini, si rifugerebbe nell'astensione o nel voto nullo. È anche significativo il fatto che gli elettori dell'Udc si dividano praticamente a metà, con un maggior sostegno, comunque, per la Polverini. Nell'insieme, questi risultati riproducono in buona misura lo scenario attuale dell'intero Paese. Fortemente connotato dal confronto tra i due grandi aggregati rappresentati dagli opposti orientamenti politici. Con la presenza, però, di ampie zone di incertezza (e dunque di possibile mobilità di voto) all'interno di ciascuno. Si tratta di segmenti di elettori meno convinti e, in certe situazioni, disponibili financo a prendere in considerazione il voto per il candidato dello schieramento avversario. Sono meno presenti quando è in campo Berlusconi (o qualche altro leader nazionale), ma subito emergenti se si tratta di altri candidati. In questo stesso quadro va spiegata l'esistenza, nei risultati di questo come di molti altri sondaggi, di un altissimo numero di rispondenti indecisi o astenuti potenziali: si tratta, in questo caso, di quasi un quarto degli intervistati. È un indice abbastanza efficace del generale livello di perplessità — se non di disorientamento— presente nel Paese, anche in vista della scelta da prendere in occasione di queste elezioni.
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