LO scontro tra lega e Tettamanzi
Massimo Franco
09 dicembre 2009
Le tensioni fra partiti e mondo cattolico segnalano una novità che travalica i singoli episodi. Non si tratta della diaspora politica. Quella è cominciata da anni, ormai: da prima ancora che finisse la Dc. La cesura è rappresentata dall’irrilevanza crescente dei politici che si presentano come «cristiani» nelle file della maggioranza e dell’opposizione; ma anche dalla difficoltà dei vescovi italiani e del Vaticano a pesare sulle scelte del governo e sugli equilibri di potere. È il risultato della parabola iniziatasi con la Seconda Repubblica; passata attraverso tentativi tormentati di equidistanza fra gli schieramenti; e conclusasi con una situazione nella quale il ceto politico cattolico in quanto tale, dovunque stia, tende ad essere sempre meno rappresentativo e a non sentirsi rappresentato: quasi sfrattato e senza casa. Si tratta di un’evoluzione che ha vissuto momenti traumatici e non sempre limpidi; ma che per paradosso può costituire un elemento di chiarezza.
Nel centrodestra, questa caduta di influenza è avvalorata da due fatti recenti. Il primo è stato l’aggressione a Dino Boffo, direttore di «Avvenire», che alla fine si è confermata solo un’operazione per intimidire la Chiesa. Il secondo è la polemica ruvida della Lega contro l’arcivescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi, accusato di «clericalismo di sinistra». Al di là delle differenze, i due episodi rivelano un centrodestra che si sente abbastanza forte da sostenere un braccio di ferro con il Vaticano ed i vescovi italiani. Pensa di poterlo fare in base ad un’analisi fredda dei rapporti di forza. Sa infatti che la Chiesa è divisa, e soprattutto che non orienta più come prima l’elettorato. Silvio Berlusconi e Umberto Bossi hanno identità e consensi in proprio: dal 1994 hanno vinto da soli. Un asse con le gerarchie cattoliche, se esiste, funziona soltanto fino a che non confligge con l’agenda non solo vaticana, ma governativa. E infatti, nel momento dello scontro Pdl e Lega non hanno esitato a far prevalere le loro priorità.
Nel centrosinistra, si chiude il cerchio di un allontanamento progressivo. La mini-scissione di Francesco Rutelli e l’uscita di singoli «cattolici a disagio » dilatano la sensazione di un Pd inospitale. In realtà, l’elezione del segretario Pierluigi Bersani non è la causa dell’irrilevanza degli ex popolari: sembra piuttosto la presa d’atto della loro scarsa incidenza. Si stanno dunque esaurendo un filone ed una presenza. E l’Udc, sulla quale il mondo cattolico nutre qualche dubbio, appare in grado magari di arginare, ma certo non di invertire il processo.
Questo, però, dovrebbe permettere alla Chiesa di riprendere possesso di spazi che le sono propri, senza essere frenata da malintesi collateralismi. Gli indizi di un ruolo ritrovato si intravedono in materia di immigrazione, politica della famiglia, rapporti fra etica e informazione, coesione nazionale. Anticipano una fase più appartata sul piano politico e meno ipotecata dal timore di turbare equilibri di governo sui quali Santa Sede e Cei possono influire meno del passato: sebbene forse se ne rendano conto solo ora.
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