Gianni Vernetti lascia il PD
7/11/2009
Credo che il Partito Democratico sia qualcosa di molto diverso da ciò che avevamo pensato.
I 4 milioni di voti persi fra il 2008 e il 2009 sono stati il primo campanello d’allarme, peraltro ampiamente sottovalutato.
Oggi il PD occupa uno spazio politico angusto, raccoglie non più di un quarto del voto degli italiani e non riesce ad essere convincente per settori enormi della nostra società: giovani, lavoro autonomo, piccola e media impresa, commercio e artigianato, partite IVA, ceti urbani produttivi.
Il voto della Margherita è praticamente sfumato.
Il PD ha consolidato in questi due anni le proprie posizioni negli insediamenti tradizionali della sinistra (pubblico impiego, lavoro dipendente, scuola….) , senza riuscire però ad aprire un dialogo con settori ampi della società.
Avremmo dovuto costruire un partito di centrosinistra, innovativo, plurale, competitivo e invece ci siamo in breve tempo trovati in Europa con i socialisti e in Italia sempre più “collaterali” alle antiche “cinghie di trasmissione” fra partito, corpi sociali ed interessi economici.
In più, il PD non ha uno schema credibile di alleanze.
La sinistra radicale è stata travolta dalla sua inaffidabilità quando ha avuto l’occasione di governare; l’alleanza con Di Pietro ha già ridotto la credibilità di un PD spesso costretto a rincorrere un’agenda politica giustizialista e populista; con l’UDC si fatica a trovare intese nazionali
Alla luce di ciò è sempre più urgente tentare dunque di costruire una nuova offerta politica innovativa, democratica, liberale e popolare in grado di recuperare tutti i voti persi che furono della Margherita e anche molto di più
C’è un grande disagio in entrambe le coalizioni e credo che i tempi siano maturi per riprendere un cammino innovativo, lavorando assiduamente per costruire un bipolarismo più maturo ed europeo di quello odierno.
Oggi le due coalizioni sono inadeguate.
Da un lato il populismo sempre più radicale di Berlusconi e l’asse di ferro con Bossi, dall’altro un centro sinistra che ha smarrito la via: in Europa appiattito sui socialisti dopo aver rotto i ponti con la famiglia liberaldemocratica, in Italia con il giustizialismo e il populismo di Di Pietro.
Compio questa scelta oggi insieme ad amici che stimo come Francesco Rutelli ed a tanti altri,.
Sei mesi fa avrei già voluto fare la stessa scelta all’indomani della forzatura sulla collocazione europea del partito.
Sono perfettamente consapevole che questa non era e non è una materia in grado di affascinare le grandi masse popolari, ma ritengo quella decisione un fatto estremamente grave.
In un mondo sempre più interdipendente e globalizzato e soprattutto dopo il via al Trattato di Lisbona, il sistema di relazioni internazionali di un grande partito, non è un fatto secondario ma determina le caratteristiche e l’identità del partito stesso.
Il PD aveva una grande occasione in Europa: dimostrare come fosse possibile unire le migliori e diverse storie del riformismo europeo, costruendo un ponte fra la famiglia socialista e quella liberaldemocratica.
Così non è stato e si è scelto a maggioranza di approdare acriticamente nella famiglia socialista.
Cedo che sia stato un gravissimo errore, ancor più oggi che i partiti socialisti in Europa stanno collezionando una serie costante di sconfitte.
La mia esperienza internazionale di questi anni mi dice, infine, che le vecchie famiglie della politica internazionale non sono più strumenti adeguati per rispondere alle nuove sfide globali.
E i più grandi partiti democratici del mondo, peraltro oggi tutti al governo (cito solo quello americano, quello giapponese e il partito del Congresso indiano) non fanno certo parte dell’Internazionale Socialista.
Anche per questi motivi ho deciso di lasciare PD.
E la mia non è certo una scelta di disimpegno o di rinuncia. Anzi.
C’è molto da fare per affermare nella politica italiana i valori e le idee democratiche, liberali e riformiste che hanno ispirato la mia azione in questi anni.
Nessun commento:
Posta un commento