domenica 1 novembre 2009

MERCATI GLOBALI / Il dollaro e la lezione di Twain

di Barry Eichengreen

il sole 24 ore
1/11/2009

Nella blogosfera impazzano le voci di un'imminente fine del dollaro come valuta internazionale. Il dollaro continua a perdere contro l'euro e le banche centrali avrebbero frenato le scorte di dollari a vantaggio di altre valute. Gli economisti non hanno difficoltà a spiegare a posteriori la debolezza del dollaro. Con le famiglie americane impegnate a risparmiare di più con l'obiettivo di rimettere in sesto i loro piani pensionistici, il paese deve esportare di più e per rendere i prodotti americani allettanti per i consumatori stranieri è necessario che il dollaro resti molto basso.
Oltretutto, l'insoddisfazione nei confronti dei sofisticati dispositivi che le istituzioni finanziarie americane si sono specializzate a creare e a diffondere coincide con più limitati flussi di capitali stranieri negli Stati Uniti. A loro volta acquisti inferiori di asset statunitensi dall'estero implicano una maggiore debolezza del dollaro. Facendo una proiezione del passato nel futuro, gli analisti prevedono che il dollaro calerà ancora.

In primis c'è da dire che si dovrebbe essere scettici nei confronti delle previsioni degli economisti, specialmente quelle che riguardano l'immediato futuro. I nostri modelli sono inutili per pronosticare i movimenti valutari nelle prossime settimane o nei prossimi mesi.
Io lo dovrei ben sapere: quando all'inizio del settembre 2007 esplose la crisi dei subprime, pubblicai su una rivista finanziaria un articolo che si intitolava "Why now is a good time to sell the dollar". In seguito, accadde che il dollaro si rafforzò sensibilmente quando gli investitori, alla disperata ricerca di liquidità, si indirizzarono verso i titoli del Tesoro statunitense. Poi il dollaro scese, ma risalì ancora dopo il fallimento di Bear Stearns e i problemi con Aig.
Su periodi di svariati anni, invece, i nostri modelli funzionano meglio. Su questi orizzonti temporali più ampi, l'enfasi sulla necessità da parte degli Stati Uniti di esportare di più e l'enfasi sulle maggiori difficoltà alle quali andrà incontro l'economia per attirare capitali stranieri sono corrette. Questi fattori costituiscono una buona premessa per attendersi una debolezza del dollaro.

La domanda da porsi è: debolezza nei confronti di che cosa? Non rispetto all'euro che è già caro ed è la valuta di un'economia con problemi bancari e strutturali più seri di quelli degli Stati Uniti. Non rispetto allo yen, che è la valuta di un'economia che si rifiuta di crescere.
Pertanto, perché il dollaro si svaluti ulteriormente lo dovrà fare nei confronti delle valute della Cina e di altri mercati emergenti. La loro ingerenza nelle ultime settimane dimostra una riluttanza a lasciare che ciò accada. Ma la scelta in fin dei conti si riduce a comperare dollari americani o comperare prodotti americani. E la prima opzione è una proposta perdente.
Sul lungo periodo, l'Opec passerà a dare un prezzo al petrolio utilizzando un paniere di valute. In effetti l'Opec vende il petrolio a Usa, Europa, Giappone e ai mercati emergenti e non ha molto senso che ne indichi il prezzo nella valuta di uno solo dei suoi clienti. Quanto alle banche centrali, quando decideranno quanto trattenere come riserva, di sicuro metteranno da parte meno nel paniere del dollaro.

Al di là di questo, il dollaro non andrà da nessuna parte. Non sarà sostituito né dall'euro né dallo yen, tenuto conto che sia Europa sia Giappone hanno i loro problemi. Il renminbi è in ascesa, ma non se ne profila l'arrivo prima del 2020, data entro la quale Shanghai sarà diventata un centro finanziario internazionale di prima categoria. Anche allora, presumibilmente, il renminbi condividerà la scena internazionale con il dollaro, senza sostituirsi a esso.
L'unica cosa che potrebbe accelerare la fine del dollaro come valuta internazionale sarebbe una sconsiderata e cattiva amministrazione negli Usa. Uno scenario spesso evocato è l'inflazione cronica, ma è poco plausibile. Una volta conclusosi il caso dei tassi di interesse pari a zero, la Fed sarà impaziente di tornare a confermare l'impegno verso la stabilità dei prezzi. Potrebbe palesarsi la tentazione di gonfiare il debito in mano agli stranieri, ma il fatto è che la maggior parte del debito statunitense è in mano agli americani stessi, che rappresenterebbero una forte parte dell'elettorato in grado di opporsi a tale politica.

L'altro scenario ipotizzabile è quello di un deficit di bilancio statunitense che continui a rimanere fuori controllo. Le previsioni di un default totale sono inverosimili. Un ingente indebitamento, però, significa tasse alte. La concomitanza di una politica fiscale poco regolamentata e di una politica monetaria molto rigida significherà alti tassi di interesse, investimenti pigri e una crescita lenta. A quel punto all'estero - ma tra gli americani stessi - ci si potrebbe benissimo stancare di una valuta di riferimento per l'economia che abbia queste caratteristiche.

Mark Twain una volta rispose alle voci che giravano sulla sua cattiva salute scrivendo: «Le notizie sulla mia morte sono alquanto esagerate». Avrebbe potuto parlare del dollaro. Per il momento, il paziente è stabile, malgrado i sintomi esteriori. Se però non farà di tutto per assumere uno stile di vita più sano, è indubbio che vi sarà ben motivo di preoccuparsi.

Copyright: Project Syndicate, 2009
(Traduzione di Anna Bissanti)

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