mercoledì 21 ottobre 2009

TREMONTI E IL POSTO FISSO

Ennesima boutade di una destra populistica e demagogica, o altro?
Di fronte a questo ennesimo segnale una riflessione va fatta.

Carlo Annoni

La scoperta tremontiana del "posto fisso" è solo l'ultima tappa di una destra che sembra aver fatto, del dare fiato alle paure e speranze degli Italiani, il proprio mantra.
Questo anche quando, come nel caso del posto fisso, si tratti di pura nostalgia di un tempo che fu breve ed oggi è irripetibile.
Ma così è: Tremonti, il candidato leader di una destra sociale e populista, ripete ciò che tanti Italiani si vogliono sentir dire.
Così, a fronte di una globalizzazione che sta sfasciando parti intere dell'economia e della società italiane, la risposta viene affidata alla demagogia.
Forse perchè i fatti parlano di una destra, al governo da innumerevoli anni, che non ha saputo con il proprio governo essere da stimolo, da supporto e tanto meno da guida per attrezzare gli individui e le imprese ad affrontare la sfida della globalizzazione.
D'altra parte, se destra e sinistra parlano di modernizzazioni salvo praticare demogagia e nostalgia, non ci si può stupire dell'immobilismo italiano che sta condannando questo paese, statistiche alla mano, al declino ed all'impoverimento.
La sfida della globalizzazione avrebbe dovuto vedere il Paese impostare un welfare universale, forse per alcuni "garantiti" meno valido dell'attuale, ma complessivamente più equo ed efficace.
La sfida della globalizzazione avrebbe dovuto porre l'istruzione come prima priorità di un Paese che vede le proprie scuole in fondo alle classifiche internazionali.
La sfida della globalizzazione avrebbe dovuto vederci impostare un federalismo serio (e non a parole) e avrebbe dovuto vederci impostare uno snellimento dello Stato e della burocrazia.
Eccoci invece a sentire parlare di "cattivi" (nel senso morale e non professionale) finanzieri e banchieri, di cattivi imprenditori evasori, di cattivi imprenditori che licenziano o peggio ancora non assumono, di capitalisti che "perfidamente" cercano di spostare capitali e investimenti dove più possono rendere.
Forse è solo che fare moralismo costa poco e con le casse vuote dello Stato si fa quel che si può... ma non vorremmo che fosse anche una sottile manovra per indebolire quella parte della società rappresentata da imprenditori grandi e piccoli nelle loro pressanti richieste di modernizzazione del Paese.
A fronte di un sindacato, diviso e, purtroppo, abbastanza screditato, la relativa forza degli imprenditori può essere vista con fastidio da chi sembra soffrire condizionamenti e contrappesi.
Ecco allora che additare, pur sottilmente e indirettamente, imprenditori e capitalisti al pubblico disprezzo, può leggersi come parte di una strategia politica che, basandosi su demagogia e populismo, ha la sua coerenza con una volontà autocratica sempre più evidente nella gran parte dei leader di questa destra.
Ai liberali che ancora si rassegnano a dare il proprio consenso a Berlusconi e Tremonti, forse questi segnali dovrebbero suggerire alcune riflessioni.

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