giovedì 22 ottobre 2009

LA RELIGIONE E LA SCUOLA

di Enzo Palumbo
Presidente del Consiglio Nazionale del PLI

C’è chi invoca l’eliminazione tout court dell’insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica, e, da ultimo, c’è invece chi vorrebbe affiancarle l’alternativo insegnamento della religione islamica.

Ovviamente, la gara resta aperta anche per altri insegnamenti religiosi!

A me invece sembra che la soluzione liberale del rapporto tra scuola e religione sia semplicissima, quasi banale: nella scuola pubblica andrebbe insegnata la storia delle religioni (tutte); nelle scuole private, fermi gli insegnamenti curriculari per le altre discipline, ognuno potrebbe insegnare la religione che gli pare e come gli pare, salvo il limite della sicurezza e dell'ordine pubblico.

Chi sostiene la tesi abolizionista, ricorda che i circa 25.000 insegnanti di religione della scuola pubblica costano intorno ad 800 mln di Euro l’anno ed incidono per circa il 2% della spesa complessiva destinata alla Scuola.

Si tratta indubbiamente di un costo notevole che, in un bilancio soggetto a tagli generalizzati e crescenti com’è oggi quello della scuola pubblica, potrebbe essere meglio indirizzato.

Tuttavia, l’abolizione tout court dell’insegnamento della religione confligge con la normativa in materia (art. 9.2 del nuovo Concordato e art. 5.a del relativo protocollo Addizionale), che è di rango costituzionale e quindi difficilmente modificabile.

Rammento in proposito che, allorché la legge di ratifica del nuovo Concordato venne portata all’esame del Parlamento, i liberali espressero tutta la loro contrarietà, ed io stesso ebbi l’onore di intervenire in Senato evidenziando che, se il Concordato del 1929, stipulato dalla Santa Sede con un regime dittatoriale come quello fascista, poteva al limite svolgere la funzione di assicurare (in qualche modo) la libertà della Chiesa, il Concordato del 1984 appariva assolutamente ingiustificato, posto che la Repubblica italiana è fondata su una Costituzione assolutamente garantista in tema di libertà religiosa.

Quella contrarietà si espresse nella forma dell’astensione, che era il massimo consentito dal “galateo istituzionale” di allora per marcare la distanza dal Governo proponente, del quale i liberali erano pure parte integrante.

Contrari al regime concordatario, i liberali sono anche contrari, in linea di principio, all’insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica ed invece favorevoli all’insegnamento della storia delle religioni, da affidare agli insegnanti di storia e/o filosofia.

E tuttavia, il quadro normativo appare ormai consolidato, nel senso che eventuali ulteriori modifiche, se non concordate con la Santa Sede, dovrebbero passare attraverso una legge costituzionale, impraticabile nel quadro politico attuale ed in quello ragionevolmente prevedibile per il futuro prossimo.

In questa situazione, il Governo Berlusconi del 2001-2006 ci ha messo del suo ed ha fatto ciò che neppure la DC della c.d. Prima Repubblica aveva mai osato, facendo approvare la legge n. 186 del 2003 che ha immesso in ruolo gli insegnanti di religione cattolica, indicati dalle diocesi vescovili, che hanno addirittura la facoltà di revocarli.

Questa operazione legislativa –che non era prevista nell’Accordo del 1984 ratificato nel 1985, e che, sotto il profilo dello stato giuridico, appare ormai irreversibile per effetto dei diritti acquisiti dai circa 25.000 insegnanti di religione immessi nei ruoli organici della scuola pubblica tra il 2004 ed il 2007 – è forse l’unico ambito in cui si potrebbe intervenire, sensibilizzando in via amministrativa gli insegnanti verso un metodo di insegnamento che privilegi gli aspetti storici in cui è nato e si è sviluppato (prima) il cristianesimo e (poi) il cattolicesimo ed il confronto con la storia delle altre più diffuse religioni, in particolare quelle monoteistiche, ma non solo.

Questo accorgimento, se pure fosse sgradito alle diocesi più tradizionaliste, potrebbe tuttavia inserirsi ragionevolmente nel varco che esponenti cattolici di rilievo (da ultimo, il cardinale Bagnasco) hanno di recente aperto, allorché hanno sostenuto che, in ogni caso, l’insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica non è di natura “catechistica”.

Ed allora, se si esclude la catechesi, che è tipica dell’indottrinamento religioso tradizionale, il passo verso una visione storicistica del Cristianesimo, dalla sua nascita e sino ai nostri giorni, non appare precluso in via di principio.

Ovviamente, questo non significa rinunziare alla questione di principio della laicità dell’istituzione scolastica, che è una battaglia a lungo termine, che potrà avere successo solo quando sarà maturata anche nella Chiesa una diversa e più moderna concezione del suo rapporto con lo Stato.

E tuttavia – convinto come sono che il meglio è nemico del bene e che la politica è l’arte del possibile nella situazione data – quella suggerita potrebbe essere, allo stato, l'unica strada percorribile, se non ci si vuole fermare alle affermazioni di principio (siano esse abolizioniste o pluraliste), destinate a lasciare le cose come stanno.

Non mi convince per altro la tesi – da ultimo emersa ad iniziativa della Fondazione “finiana” Fare Futuro, e che ha trovato l’adesione della Fondazione “dalemiana” Italiani Europei – secondo cui sarebbe opportuno inserire nella scuola l’alternativo insegnamento della religione islamica.

Riconosco che tale tesi muove da ragionevoli motivazioni di opportunità sociale, che suggeriscono di non lasciare l’indottrinamento religioso islamico ad improvvisati e forse pericolosi predicatori radicali; e riconosco anche che essa possa apparire più costituzionalmente orientata di quanto non sia la posizione di chi vorrebbe invece perpetuare l’esclusiva sin qui riconosciuta alla religione cattolica.

E tuttavia, a me sembra che, in tal caso ed al di là delle migliori intenzioni, la situazione, piuttosto che migliorare, finirebbe per peggiorare ulteriormente, perché ad un insegnamento di tipo confessionale (nella specie, cattolico) se ne affiancherebbe un altro (in ipotesi, islamico), spalancando la porta a naturali ed a quel punto inevitabili rivendicazioni settoriali da parte di altri riti religiosi.

Insomma, nella scuola pubblica avremmo il massimo di confessionalismo ed il minimo di laicità, che è esattamente il contrario di ciò che ci vorrebbe.

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