Stefano Ceccanti
Europa
18/9/09
Il voto alla commissione Barroso ha suscitato su questo quotidiano vari interrogativi, anche retrospettivi, sull’efficacia del ruolo della delegazione italiana nell’alleanza progressista costituita a inizio legislatura. Occorre evitare di misurare quella giusta scelta sul brevissimo periodo.
Se il Pd mantiene, anche nel dibattito congressuale, i profili di innovazione che lo caratterizzano rispetto alle identità della tradizionale sinistra europea, quella scelta di non giocare da soli, isolatamente, di stare in un crogiuolo, si rivelerà feconda per tutti. Non è una posizione volontaristica.
Voglio fare un esempio delle potenzialità che si aprono. Quando pensiamo alle arcaicità della vecchia sinistra, impastate di vie di fuga romantiche, minoritarie, pensiamo giustamente come primo caso nazionale a quello francese.
Ora una ventina di intellettuali d’Oltralpe culturalmente legati alla sinistra, ma con percorsi e posizioni molto diverse, hanno prodotto da qualche settimana un volume collettaneo De Gauche? (edito da Fayard) in cui trattano per singole voci le questioni a cui siamo chiamati a dare risposte nuove. Come capita in un lavoro di questo tipo, si possono trovare vari spunti, alcuni contraddittori.
Tuttavia ci sono almeno quattro indicazioni importanti e coerenti tra di loro che emergono e rivelano una sintonia profonda con lo sforzo del Pd.
Il filosofo Serge Audier, che scrive la voce “Liberalismo” (e già la scelta di una voce del genere è rilevante) smantella le resistenze alla cultura liberale, fino a poco tempo fa egemoni anche tra gli intellettuali del Ps. «L’antiliberalismo è la cosa più condivisa nel mondo, segnatamente a destra, dopo il XIX secolo», i liberali che hanno corretto il capitalismo come Keynes e Beveridge hanno fatto di più «per i poveri e il proletariato di Rosa Luxemburg, Ernesto Che Guevara e Arlette Laguiller messi insieme...
Il liberalismo come filosofia dei diritti fondamentali, dell’iniziativa individuale e della responsabilità, ma anche del pluralismo, dei contropoteri e della distinzione delle sfere di attività, è un pensiero portatore di elementi di emancipazione per l’individuo e la collettività».
Conclusione logica: «La missione storica della sinistra è stata e resta quella di coniugare uguaglianza e libertà, per promuovere le “libertà eguali” in un rinnovato “liberalsocialismo”» rispetto al quale richiama la lezione di Guido Calogero.
In secondo luogo il sociologo Guy Groux, che scrive di “Sindacati”, ne trae conseguenze precise rispetto al ruolo della legge. Essa, soprattutto in Francia, dove è il veicolo di un’impostazione statalista tradizionale, deve invece assumere, in particolare nel diritto del lavoro, una funzione «suppletiva o dispositiva» lasciando spazio al contratto, alla valorizzazione dell’autonomia delle parti sociali.
Più in generale, anche attraverso questa riscoperta del pluralismo, è messa in questione l’idea prometeica di una politica che da sola costruisce l’uomo nuovo, una visione che incideva non solo nella cultura di sinistra di matrice comunista.
Per questo, nel terzo intervento più significativo, l’economista Jean- Baptiste de Foucauld, che scrive di “Spiritualità” (anche qui una voce non prevedibile fino a poco fa) attacca come anacronistica la visione restrittiva e difensiva della laicità della dichiarazione dei principi del Ps del 2008. Per de Foucauld essa si muove «nel rispetto distante, non accettandone la funzione sociale, umana o culturale» e invita a superare le obiezioni al finanziamento pubblico dei luoghi di culto, in particolare delle moschee, che producono paradossalmente la dipendenza da stati stranieri fondamentalisti.
Proprio perché la politica «ha capacità di disumanità almeno uguali a quelle delle religioni » vi è un dovere di «vivere insieme », nella consapevolezza che né la fusione tra i due né una separazione totale e ostile aiutano la vita reale delle persone.
Quanto detto precedentemente, assemblare le culture valorizzando anche il liberalismo, valorizzare il pluralismo sociale e religioso, ha una puntuale ricaduta sul modello di partito. Per il sociologo Gerard Grundberg la leva del cambiamento è quella di andare oltre la semplice organizzazione degli iscritti (che secondo lui porta a valorizzare solo funzionari, amministratori locali e insegnanti) per affidare la scelta decisiva del candidato alle elezioni presidenziali all’insieme degli elettori simpatizzanti del Ps. Grundberg ha scritto qualche settimana prima che il Ps facesse questa scelta, sulla scia del Pd italiano. Come scrive Grundberg non c’è futuro per partiti progressisti che non accettino di interrogarsi simultaneamente «sulla maniera di allargare e diversificare il loro reclutamento e di conservare i loro iscritti». Le idee più innovative del Pd, spesso messe in questione in Italia, fanno decisamente strada. Per questo dobbiamo mantenere la tensione innovativa e non ragionare solo sul breve periodo.
Nessun commento:
Posta un commento