venerdì 1 maggio 2009

Un dilemma di non facile soluzione

Il cattivo uso che i responsabili della politica monetaria hanno fatto e continuano a fare della loro indipendenza fa dubitare della validità di questa soluzione
di Antonio Martino


In precedenti articoli abbiamo sottolineato l’importanza della politica monetaria per la determinazione del livello di attività economica, reddito, prezzi e produzione. Anche se i non addetti ai lavori non vi prestano molta attenzione, le decisioni delle banche centrali hanno un’enorme rilevanza per le variabili economiche fondamentali nella vita di tutti i giorni. La consapevolezza della loro importanza aveva convinto Milton Friedman a parafrasare Clemenceau (che era convinto che la guerra fosse troppo importante per lasciarla ai generali) e sostenere che “la moneta è troppo importante per essere affidata ai banchieri centrali”.

Le conferme storiche di ciò sono innumerevoli e di vario senso: abbiamo menzionato le responsabilità della Fed, la banca centrale americana, nel trasformare una crisi finanziaria nella Grande Depressione degli anni Trenta, possiamo aggiungere che furono errori nella gestione monetaria a determinare l’iperinflazione tedesca seguita alla prima guerra mondiale, che creò le premesse per l’avvento del nazismo al potere, ma anche altri numerosissimi episodi di errori monetari causa di disastri economici più o meno gravi.

È questa la ragione fondamentale che ha spinto moltissimi paesi a rendere indipendente la loro banca centrale. Il più comune dei problemi determinati dalla politica monetaria è, infatti, quello che gli economisti chiamano “monetizzazione del debito”: un governo che, per aumentare la sua popolarità, vuole aumentare le spese pubbliche, ma non vuole correre il rischio di annullare le conseguenze benefiche di questa sua decisione aumentando le tasse per finanziarlo, si indebita vendendo titoli di Stato non al mercato ma alla banca centrale che li acquista immettendo liquidità sul mercato. L’aumento della quantità di moneta in circolazione finisce, prima o poi, per produrre inflazione. Tutti gli episodi di inflazione verificatisi dalla fine del sistema aureo, prevalente fino alla prima guerra mondiale, hanno avuto questa origine.

Per impedirli e mettere le autorità monetarie in condizione di rifiutarsi di acquistare (o vendere) titoli di Stato su pressioni del governo si è deciso che fosse necessario renderle indipendenti. È quanto è stato fatto, per esempio, negli Stati Uniti con la Fed ed in Europa con la Banca Centrale Europea, entrambe “indipendenti”. E’ questa indipendenza che aveva portato Einaudi a credere nella necessità di una moneta europea gestita da una banca centrale che, non dovendo soggiacere alle pretese dei governi nazionali, fosse in grado di rifiutarsi di finanziare le spese pubbliche “facendo gemere il torchio dei biglietti”, cioè creando moneta ed inflazione.

Ma perché il meccanismo funzioni non basta dichiarare l’indipendenza bisogna anche che le autorità monetarie si comportino in conseguenza. Non sempre questo accade. Negli USA, per esempio, è assai dubbio che le scelte infelici di Alan Greenspan prima e di Ben Bernanke adesso siano state decise in modo autonomo, in piena indipendenza. Il primo da presidente della Fed condusse per alcuni anni una politica monetaria espansiva, rifiutandosi di eliminare le bolle del mercato immobiliare e della Borsa, perché consapevole che sia il Congresso sia il presidente Bush non avrebbero gradito una politica monetaria foriera di rallentamento economico se non addirittura di recessione.

Il secondo, indubbiamente compiacendo l’amministrazione Obama, sta perseguendo una condotta monetaria forsennatamente espansiva: basti pensare che dall’inizio dell’autunno ad oggi le riserve bancarie negli Stati Uniti sono passate da 8 ad 800 miliardi di dollari, sono cioè centuplicate in sei mesi! Se ancora non si registrano aumenti dell’inflazione è solo per via della recessione da un lato e del normale ritardo degli effetti delle scelte di politica economica dall’altro. Ma, prima o poi, non appena il rallentamento dell’attività produttiva si sarà attenuato, l’inflazione inevitabilmente esploderà.

Come se non bastasse, il finanziamento monetario dell’enorme disavanzo pubblico assieme all’inevitabile aumento di tasse produrrà, con ogni probabilità, un simultaneo ristagno dell’attività produttiva. Gli Stati Uniti, se questa analisi fosse confermata, si avvierebbero ad un ritorno all’era di Jimmy Carter che era riuscito a determinare con la sua politica inflazione e disoccupazione superiori al dieci per cento e ristagno diffuso. L’attuale presidente corre cioè il rischio di superare con le sue scelte persino Carter, il più impopolare presidente democratico degli ultimi sessant’anni.

Il cattivo uso che i responsabili della politica monetaria hanno fatto e continuano a fare della loro indipendenza fa sorgere il quesito: ha senso continuare a sottrarre le autorità monetarie dal controllo democratico garantendo la loro indipendenza anche se non se ne avvalgono? Rinunziare alla loro indipendenza non dovrebbe scandalizzare nessuno, tanto meno gli americani, dato che nel loro paese persino alcuni magistrati sono sottoposti al controllo democratico, essendo elettivi.

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