Nessun boom economico è gratis
Mentre il pendolo del dibattito oscilla dal lato dello stato, un volume pubblicato da Ibl Libri, la collana del liberista Istituto Bruno Leoni, cerca di riportare l'attenzione sull'altro lato della perenne oscillazione
di Marco Ferrante
Da Il Riformista, 12 aprile 2009
Il tema del ritorno dello stato si candida a diventare il principale argomento di dibattito in una stagione editoriale che si prea-annuncia lunga. I giornali lo danno per scontato, perchè Stati Uniti e Regno Unito hanno nazionalizzato le banche, mentre da noi, per ora, non è accaduto ancora nulla in quella direzione. E i libri cominciano a esplorare la questione.
Per esempio, i due principali editori italiani hanno in uscita nei prossimi giorni due titoli: Costruire una cattedrale, Mondadori, 132 pagine, 16,50, libro di Enrico Letta, il cui capitolo centrale è intitolato "più stato non meno mercato"; e Rapaci. Il disastroso ritorno dello stato nell'economia italiana, Rizzoli, 270 pagine, 19,50 euro, di Sergio Rizzo.
Così mentre il pendolo del dibattito oscilla dal lato dello stato, un volume pubblicato da Ibl Libri, la collana del liberista Istituto Bruno Leoni, cerca di riportare l'attenzione sull'altro lato della perenne oscillazione, il mercato. Il libro dal titolo La crisi ha ucciso il libero mercato?, curato e prefato da Alberto Mingardi, ospita sei contributi di Vernon Smith, Kevin Dowd, Stan Liebovitz, Gerald O'Driscoll, Pascal Salin e Lawrence White più due saggi in appendice di Ludwig von Mises e Friedrich von Hayek. La tesi è sostanzialmente la seguente. La crisi non ha ucciso il mercato. Essa è nata fuori dal mercato in una scelta di politica economica, maturata nelle scelte politiche di una parte dell'Occidente, e per fronteggiarla sono stati effettuate decisioni anch'esse politiche discutibili e finora inefficaci.
Come spiega Mingardi nella prefazione per cogliere le dimensioni e l'assoluta specificità della crisi bisogna osservarne tre elementi diversi: «Il primo è il fallimento dei modelli. Il secondo è la politica monetaria. Il terzo è l'azzardo morale». La crisi, cioè, ci dice che i nostri modelli sono troppo semplici per cogliere la complessità della realtà economica globale. Ci dice anche che le politiche monetarie espansive - cioè la creazione di credito - possono dare origine a reazioni sbagliate da parte del mercato. Siccome la politica monetaria è una scelta pubblica, l'idea del think tank liberista è che crei un'alterazione del funzionamento del mercato.
La crisi ci dice, infine, che la causa specifica da cui tutto è partito nei comportamenti degli attori è l'azzardo morale: cioé la diminuzione della prudenza nei comportamenti, causata da un eccesso di sicurezza. E' quello che è successo sul mercato immobiliare, quando le banche hanno cominciato a vendere i loro subprime. La certezza di una copertura assicurativa ha spinto le banche a continuare sulla loro strada, accendere mutui sull'intero valore di un bene senza il corrispettivo di una quota di risparmio. Ed è questo l'aspetto dal quale dovrebbe partire una riflessione comune sulla crisi, da parte liberale in economia e non liberale.
Vernon Smith, premio Nobel per l'Economia nel 2002, in un illuminante saggio d'apertura, spiega che la causa principale della crisi da subprime siamo in realtà noi stessi, noi cittadini occidentali, noi americani - nel suo caso. Che cosa è successo, dice Smith? Che nel mercato immobiliare si è verificata «un'orgia dei consumi, e non un boom degli investimenti». Nel secolo scorso, per settant'anni gli Stati Uniti hanno incentivato programmi di agevolazione dell'acquisto di case, con la creazione nel 1938 di Fannie Mae e nel 1970 di Freddie Mac, due istituti di garanzia che aumentavano la propensione all'azzardo morale degli operatori. La bolla che oggi è scoppiata cominciò nel 1997, con il Tax Relief Act che consentiva l'esenzione totale delle imposte fino a un massimo di 500.000 dollari per chi avesse rivenduto una casa dopo almeno due anni dall'acquisto. Questa esenzione scatenò la corsa speculativa.
«Durante questa bolla tutti - acquirenti, venditori, banche, compagnie d'assicurazione, il governo - erano convinti che i prezzi avrebbero continuato a salire. Questo, a sua volta, fece nascere la convinzione che il versamento di un esiguo acconto per l'acquisto di un'abitazione riducesse il rischio futuro per tutti i soggetti coinvolti. Abbiamo così assistito allo spettacolo di giovani che mettevano su casa e di persone con mezzi modesti che pensavano di poter realizzare in breve tempo il sogno di poter possedere la casa in cui abitavano, il tutto senza mettere prima da parte dei risparmi».
Morale, la democrazia finanziaria resta un obiettivo necessario per una politica della libertà e del progresso. Ma nessuno ce la può dare gratis.
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