PIERO OSTELLINO
Intervista dal Giornale di Vicenza
18/4/09
Liberale puro, integrale. Liberale integralista, qualcuno gli rimprovera. Commentatore sui tempi lunghi della storia della filosofia e sulle cronache della democrazia. E scrittore schietto, ai limiti della spigolosità. Piero Ostellino è qualcosa di più di una "firma" del Corriere della Sera. Senza esagerare troppo, è il più attivo propagandista - non se ne offenda lui, non prendano male il termine i lettori - di un pensiero, quello liberale appunto, che in Italia sventolano in tanti, approfondiscono in pochi e quasi nessuno pratica.
Piaccia o non piaccia il filone, confrontarsi con questo pensiero dovrebbe essere un obbligo per la cultura politica nazionale che l'ha tenuto estraneo da sempre e che però lo incontra nelle sue espressioni all'estero. Si va verso il tempo concitato della campagna per l'Europarlamento. Aiutarsi conversando con Ostellino a capire meglio l'Europa che c'è - e di solito è più liberale dell'Italia - non è male in questa stagione. Vicenza ha l'occasione tra pochi giorni: il giornalista-saggista sarà mercoledì 22 aprile alle 18 in municipio per la presentazione del suo ultimo libro Lo Stato Canaglia, ospite del sindaco Achille Variati. Si confronterà con lui e con il presidente della Provincia Attilio Schneck in un dibattito promosso dal circolo Nessuno Escluso.
Per entrare subito in tema: perché lo Stato italiano descritto nel libro è "Stato Canaglia"?
Perché non è al servizio dei cittadini, ma mette i cittadini al suo servizio. Due esempi? Quando i Comuni, che sono Stato anch'essi, truccano i semafori rossi per ricavarci le multe e prendono più soldi da queste che dalle tasse. O quando un imprenditore ci deve mettere dieci anni a trasformare uno stabilimento dismesso in un'attività diversa.
Liberale è una parola che risuona poco nel lessico italiano. Qualcuno ricorda il Pli oppositore del vecchio centrosinistra negli anni '60-'70 e poi diventato "pentapartitico" negli anni bui di fine Prima Repubblica. Ma adesso pare che tutti siano diventati liberali.
È diventato un termine ambiguo, onnicomprensivo.
Per lei, invece?
Il vero liberale mette al centro l'individuo, non un organismo collettivo, e i suoi diritti naturali soggettivi.
Rischiando l'individualismo sfrenato?
No. Vale questo: l'individuo deve poter fare ciò che vuole, senza fare danno ad altri. E lo Stato deve avere poche e chiare leggi regolatrici.
La confusione dei ruoli ha permesso anche all'ex-ministro diessino Bersani di dirsi liberale, visto che certe riforme "di destra" doveva farle lui "da sinistra". Che cosa dovrebbe fare un "vero liberale" in Italia?
Da destra o da sinistra, quando è al potere, dovrebbe innanzitutto procedere a una radicale semplificazione legislativa.
La versione italiana del liberalismo sembra essere più quella della deregulation, ai confini del "via libera" all'arbitrio di chi può permetterselo, che quella della regolazione dei poteri. Si può sperare in un re-indirizzo?
Difficile in un paese che è stato poco liberale dall'Unità al fascismo. Che ha avuto il fascismo per vent'anni. Che nel dopoguerra si è dato come Costituzione il compromesso tra la resistenza democratica della Dc e la resistenza totalitaria del Pci. Lo Stato è metà corporativo e metà collettivista: cioè ha le caretteristiche di una società organicistica come la pensava Giovanni Gentile filosofo del fascismo. L'esempio perfetto è nelle Regioni "rosse" dove il dirigente delle cooperative è anche segretario di partito, assessore, presidente di banca, parlamentare.
C'è uno Stato che lei vede più liberale degli altri?
La Gran Bretagna lo è stata anche sotto il governo Blair laburista. Più liberali dell'Italia sono tutte le socialdemocrazia del Nord Europa. In parte gli Stati Uniti, vedremo con Obama...
Crisi globale e ritorna lo Stato, dappertutto, da Obama a Tremonti, invocato anche da certi nostri ex-campioni di liberal-liberismo...
Che sbagliavano se pensavano che l'idea liberale dell'economia sia il mercato lasciato a se stesso. Ci vogliono invece regole precise che evitino i cartelli, i trust, gli abusi. Quanto all'affidamento sullo Stato, c'è un grande equivoco: che affidandogli più poteri li si affidi a un grande ente morale e benefico che farà il bene del popolo. In realtà si dà più poteri a chi governa in un dato momento e li usa rispondendo ai propri fini politici o elettorali.
La prima forza politica del paese si intitola al Popolo della Libertà: da 1 a 10, quanto è liberale il partito di Berlusconi?
Diciamo 4. Che rispetto al 2 da dare alla sinistra è qualcosa... Ma non è un partito liberale, questo è chiaro: l'idea del partito liberale di massa è naufragata presto.
Il contraltare del Pdl - che lei forse classifica come forza complementare nello schema nello statalismo - è il Partito democratico.
Che non sa neanche cos'è il liberalismo.
Che cosa consiglierebbe a Franceschini e ai suoi per darsene un po'?
Dare retta ai riformisti che nel partito ci sono: Franco Debenedetti, Antonio Polito, Enrico Letta. Fare un vero partito di sinistra liberale che sottolinea l'elemento solidaristico, smettendola però con il welfare dell'aspirina per tutti o con l'idea delle tasse come redistribuzione del reddito
Liberale è anche la Lega Nord, naturalmente: Bossi e i suoi lo dicono sempre. Quanto lo è?
Mi pare eccessivo dire che la Lega è liberale... Diciamo che è vagamente liberale quando non la toccano nei suoi interessi locali. In questo caso diventa corporativa, cioè il contrario di liberale.
Oltre alla politica e all'economia, il liberalismo dovrebbe parlare anche all'etica. Quanto ne resta, in Italia, nel campo dei diritti e delle libertà personali, nella politica che decide bio-eticamente su fecondazione assistita e testamento biologico?
Risentiamo molto della nostra tradizione cattolica, per la quale lo Stato deve occuparsi anche dell'anima, della "mia anima". Lo Stato dovrebbe dettare la cornice normativa delle libertà non i contenuti: uno Stato etico che produce normative sui comportamenti è pericoloso. Già sentire il termine "bioetica" mi mette preoccupazione.
Il suo sottotitolo allo "Stato Canaglia" è: "Come la cattiva politica continua a soffocare l'Italia". L'impressione è che lei voglia in realtà dire: "...continuerà sempre a soffocare".
Ce la prendiamo con la politica, ma la crisi è soprattutto culturale. La politica è lo specchio della cultura di un paese: da noi è il frutto dell'orrendo pasticcio della Costituzione del 1948 e delle crisi della scuola, dell'università, dell'insufficienza del giornalismo. Bisogna aspettare che una nuova classe dirigente la riscriva, perché quella di oggi rischierebbe di fare peggio.
Quando? Intravvede sprazzi di speranza o ce la mettiamo via dicendoci "Non avremo mai buona politica"?
Il paese è quello che è: per i prossimi cinquant'anni niente.
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