sabato 11 aprile 2009

Abbandonando il gold standard, l’unico sistema che avesse funzionato, il mondo è passato da una crisi all’altra

Il Peccato Monetario dell’Occidente
di Gerardo Coco
da www.brunoleoni.it

Da quando l’oro non costituisce più la base dei sistemi monetari, cioè da quasi un secolo, è sempre sopravvissuta una minoranza di economisti che ne auspica il ritorno, convinta che le crisi economiche siano dovute all’abbandono di questo sistema. Dopo la conflagrazione dell’economie del 2008, i sostenitori dell’oro sono tornati a predicarne vigorosamente l’adozione per stabilizzare il sistema monetario e prevenire i cicli economici.

Il gold standard stabiliva un ordine economico basato sulla conversione in ogni momento delle banconote nel metallo secondo un rapporto di cambio fisso. Il senatore americano repubblicano, Ron Paul, è uno dei leader del movimento per il restauro di questo ordine. Altri politici, economisti, ed opinionisti auspicano addirittura l’abolizione della FED, la banca centrale americana, il cui dirigismo distruttivo, dicono, è strettamente legato all’assenza del sistema autoregolatore del sistema aureo. Che fondamento hanno queste posizioni radicali? Esse possono sembrare, se non addirittura sovversive, per lo meno stravaganti. Sia come sia, l’argomento merita un approfondimento perché la vicenda dell’oro può aiutare a far capire come gli interventismi nell’economia producano esattamente risultati opposti a quelli che si prefiggono.

Il gold standard e le sue parodie
Con il gold standard le diverse valute, dollaro, franco lira o marco erano solo “nomi” per identificare una certa quantità d’oro, essendo definite in termini di peso fisso del metallo. Il dollaro ad esempio era definito come 1/20 di oncia, la sterlina ¼ e così via. Questo significava che i tassi di cambio fra le valute erano fissi ed esprimevano un’identità, nello stesso modo di come un centimetro si identifica con 10 millimetri. Questo standard rendeva dunque equivalenti due diverse rappresentazioni di una stessa cosa: il denaro. La banconota fu l’innovazione per evitare il trasporto fisico dell’oro, come l’assegno, che non è denaro ma un mezzo di trasferimento del denaro. L’oro era il denaro “vero” che solo un processo storico millenario aveva potuto accreditare come tale. Per fungere da comune denominatore di tutti i beni, il denaro non può che essere una merce, ma di una caratteristica tutta particolare: essere richiesta come intermediario di tutti gli scambi. Il suo valore deve essere pertanto universalmente riconosciuto e stabile nel tempo.
L’uomo antico non sarebbe mai stato così sciocco da accettare in pagamento di beni o servizi, moneta cartacea, non ancorata a beni reali, anche se garantita dallo stato, perché gli stati, come è noto, inflazionano la moneta indebitandosi e restituendo alla scadenza, denaro svalutato. Anche sotto il regime aureo, comunque, i governi riuscirono a violare la regola aurea ritirando periodicamente le monete dalla circolazione e sostituendole con altre dello stesso valore facciale ma con titolo inferiore intascando la differenza di peso dell’oro per finanziare le spese statali e di corte, inflazionando la moneta e imbrogliando così il popolo. Tale fu “la politica monetaria” del tempo.

Ma, nonostante la moneta artificialmente sopravalutata dal governo eliminasse dalla circolazione quella artificialmente sottovaluta (questa è l’esatta formulazione della legge di Gresham), l’oro manteneva il suo potere d’acquisto e come affidabile strumento di pagamento e di stabilità monetaria, teneva sotto controllo l’inflazione ed assicurava l’equilibrio delle bilance dei pagamenti dei paesi che aderivano allo standard. Se in un paese si verificava l’inflazione, l’aumento dei prezzi faceva aumentare le importazioni dai paesi dove i prezzi erano più bassi. Ma il deficit che si verificava nel nella bilancia dei pagamenti del paese importatore doveva subito essere saldato in oro. Il deflusso del metallo riequilibrava i livelli di prezzi fra i paesi ed eliminava il deficit. Parimenti, la diminuzione del tasso di interesse a seguito di una troppo rapida espansione del credito faceva defluire immediatamente oro. Solo con il rialzo del tasso, l’oro riaffluiva, regolando così il credito. La selettività del credito non impedì il grandioso sviluppo economico e commerciale del XIX. La “qualità” del credito risiedeva nella solvibilità dei mutuanti e nelle capacità dei grandi banchieri che non erano “managers” pagati profumatamente, ma imprenditori che capitalizzavano le banche rischiando in proprio. Nel complesso, il gold standard significava disciplina negli scambi e rimase il miglior ordine monetario fino agli inizi del XX. Esso, infatti, funzionando secondo la necessità economica che è l’opposto dell’arbitrarietà degli attuali sistemi monetari interventisti, lasciava poco margine alle “manipolazioni”. Ed è per questo che i movimenti monetari rispecchiavano i movimenti reali, cioè i fondamentali dell’economia.
Ma il maggior pregio del sistema, il suo rigore, era anche il suo grave difetto che doveva condannarlo fatalmente all’eliminazione: poneva rigidi limiti all’espansione illimitata del credito e dunque alla spesa pubblica dei governi .

Se tutte le valute erano convertibili in oro come era possibile inflazionarle senza perdere il metallo? Come era possibile finanziare le guerre?

Il primo conflitto mondiale sospese infatti il gold standard e cominciò l’era delle inflazioni valutarie, delle svalutazioni competitive, del disordine dei sistemi monetari, dei blocchi, dei controlli, delle barriere tariffarie, in una parola, del protezionismo. L’era del gold standard volgeva alla fine e cominciava l’era delle sue parodie sotto un nuovo nome: Il Gold Exchange Standard. In pratica, si voleva sempre l’oro, ma anche l’inflazione, la botte piena e la moglie ubriaca. Agli inizi degli anni ’30 il nuovo sistema rinforzò l’interventismo statale e il centralismo delle banche nella gestione delle economie. E così indipendentemente dai socialismi, nazionalismi e totalitarismi la “politicizzazione” del denaro fu portata a compimento da parte di tutti i governi, così a Mosca come a Berlino, a Parigi come Roma a Washington come a Tokio. A Bretton Woods, nel 1944, fu inscenata l’ultima parodia del gold standard, la peggiore di tutte.

Una finestra sull’oro
Il dollaro fu, per così dire, “tinto di giallo” denominandolo Gold Dollar Standard. Bretton Woods stabiliva un sistema di parità fisse tra il dollaro e le altre valute dei paesi industrializzati e la convertibilità del dollaro in oro al prezzo, sottovalutato, di 35 dollari all’oncia. In pratica il dollaro era la principale valuta di riserva, moneta richiesta in tutti i pagamenti internazionali. Le altre valute erano legate indirettamente all’oro e le banche centrali per mantenere la parità dovevano comprare e vendere dollari ma potevano richiedere alla Federal Reserve la loro conversione in oro. Poiché il dollaro veniva trattato alla stessa stregua dell’oro iniziò la “dollarizzazione” delle economie. Lo scopo dell’accordo di Bretton Wood era di assicurare stabilità delle valute e quella economica mondiale. Come tutti gli accordi per “governare” e “coordinare” portava in sé i germi della propria distruzione. L’economia, infatti si vendica sempre di chi si illude di violare le sue eterne leggi. Bretton Woods non faceva alcun riferimento al mercato, caratteristica del sistema aureo, ma al dollaro artificialmente imposto, in luogo dell’oro, dalle autorità monetarie come valuta di riserva. Un dollaro artificialmente alto e quindi con un potere d’acquisto sopravalutato permetteva agli USA di acquistare all’estero beni e servizi più di quanto il suo valore di mercato avrebbe permesso. Viceversa i partners commerciali degli USA con monete sottovalutate acquistavano di meno di quanto il loro potere d’acquisto tenuto artificialmente basso dal vincolo della parità, avrebbe permesso. Essi erano obbligati ad acquistare dollari sopravalutati per comprare merci più costose! È in questo modo che gli USA “esportarono” inflazione nei paesi partners mentre le loro banche centrali, per non rompere l’argine della parità assorbivano dollari sopravalutati gonfiando la propria massa monetaria. All’inizio degli anni ’60, negli USA, per sostenere “la Grande Società” (come tutti i grandi slogans, dal New Deal alla Nuova Frontiera, fino alla Speranza obamiana, anche questo, significava aumento di spesa pubblica e deficit colossale) e per finanziare la guerra del Vietnam, si scatenò l’inflazione e il prezzo dell’oro sul mercato libero superò i 35 dollari fissati a Bretton Woods, rivelando la nuda realtà: il dollaro non era “oro”, ma una valuta che si poteva inflazionare a piacimento. È a questo punto che i paesi europei cominciarono a chiedere la conversione delle proprie valute nel metallo provocando una forte emorragia nelle immense riserve auree americane. Nell’agosto del 1971 il Presidente Nixon chiuse pertanto la gold window dichiarando il dollaro inconvertibile. Nel dicembre del 1971 il dollar standard, cioè la dollarizzazione del mondo mascherata da gold standard, fu così eliminato, sostituito dai cambi flessibili ed il caos dominò il sistema finanziario globale. Mai si era visto un accordo concertato così folle.

Il peccato monetario dell’occidente
La fine del dollar standard doveva trasformare profondamente la struttura finanziaria di tutte le economie. L’economista francese e consigliere economico del presidente De Gaulle, Jaques Rueff, che, come sostenitore del gold standard, aveva pronosticato già da molto tempo la deriva delle economie occidentali nel libro Il Peccato Monetario dell’Occidente, pubblicato nel 1971 riassumendo le sue riflessioni, prevedeva l’inizio dell’era dell’espansione artificiale ed illimitata del credito che avrebbe portato diritto ai roghi periodici dei sistemi economici. Scriveva: Abbandonando il gold standard, l’unico sistema che avesse funzionato, il mondo sarebbe passato da una crisi all’altra, dalle deflazioni alle inflazioni, dai boom ai crolli economici.

Il peccato monetario dell’occidente è la scissione fatale tra oro e denaro che rendeva ora possibile la “fabbrica del credito”, la creazione della moneta dal nulla, destabilizzante perchè senza più riferimento all’economia reale. L’enorme aumento delle riserve che il deficit USA aveva costretto ad accumulare nelle banche dei paesi industrializzati durante gli anni ’50 e ’60, allargò la loro base monetaria e contemporaneamente quella del credito e della liquidità con effetti inquinanti. L’inflazione creditizia produsse un nuovo fenomeno che si credeva impossibile: la stagflazione, cioè la contemporanea coesistenza di inflazione e disoccupazione. Questa nuova esperienza determinò negli ’70 una svolta fondamentale nella politica delle Banche Centrali, basata su nuove parole d’ordine: gestione della base monetaria, manovra dei tassi di interesse e stimoli economici per la stabilizzazione delle economie. Ma doveva accadere esattamente l’opposto rivelandosi le banche centrali la fonte primaria dell’instabilità macroeconomica.

Con il gold standard lo stock di moneta circolante di un paese era vincolato alla riserva aurea e pertanto anche il credito poteva espandersi solo in funzione delle vere necessità economiche impedendo azioni tossiche, pena, come abbiamo visto, la perdita dell’oro. Esso era allo stesso tempo la misura ed il supporto del credito che non poteva che essere genuino perché rigorosamente determinato, al pari di qualsiasi bene utile e scarso, dalla domanda e dall’offerta e non dalle previsioni dei “governatori”. Ora, il denaro non essendo più ancorato ad alcun bene reale, poteva essere illimitatamente riprodotto come se, illusoriamente, potesse creare beni e servizi illimitati. Ma l’essenza del denaro, il potere d’acquisto, non può essere mai creato artificialmente da un sistema creditizio, ma da un sistema produttivo sano da cui solo può originare. Né il sistema produttivo può essere stimolato da tassi di interesse artificiali ma da quel tasso di interesse determinato dalla domanda ed offerta di risparmio di cui le banche dovrebbero essere gli intermediari. Ma per i governatori dell’economia non è importante “ciò che è”, ma ciò, che di volta in volta, “deve essere”.

Così si espresse sull’oro l’ex governatore della banca centrale americana, Alan Greenspan in un famoso articolo intitolato “Oro e libertà economica”:

Nel regime di gold standard la quantità di credito di cui una economia ha bisogno è determinata dalle risorse reali esistenti poiché ogni credito accordato rappresenta, in ultima analisi, la controparte di qualche bene tangibile….
..Al di fuori del gold standard non esiste possibilità di proteggere i propri risparmi dalla confisca dell’inflazione. Non c’è nessuna protezione per il loro valore. Se esistesse, il governo l’avrebbe abolita come ha fatto con l’oro.

Successivamente, Greenspan doveva rinnegare questa posizione perché altrimenti non avrebbe fatto carriera come Chairman della Federal Reserve. E, ironia del destino, doveva diventare uno degli affossatori dell’economia americana finanziando la bolla speculativa più impressionante della storia.

Alla fine, quando tutto è stato detto, si può capire, ora, come, sia l’istanza del ritorno al regime aureo classico, sia la petizione per l’abolizione della FED per arrestarne abusi e manipolazioni monetarie, non siano poi così peregrine.
Resta da considerare se tali proposte siano, nella società attuale, realistiche. Solo una iperinflazione (che sembra la strada intrapresa dall’amministrazione Obama) cioè l’azzeramento del valore del dollaro e la conseguente distruzione della economia, le renderebbero percorribili. Ma, forse, basterebbe riformare in modo serio la Banca Centrale, ipotesi che, scandalosamente, non è stata neppure ipotizzata dalla nuova amministrazione americana.

Conclusione
L’opzione aurea rimarrà relegata nelle retrovie del dibattito economico per il semplice motivo che l’ordine politico e sociale non vuole conformarsi alla intransigente ragione economica. Inutile protestare contro l’interventismo.
A conquistare le menti sarà sempre l’economia che “pretende” di essere politica o ideologica. Con un avvertimento: chi ignora le leggi di gravità economiche e vuole invece estrarle da schemi di pensiero che appartengono assolutamente a tutt’altro mondo di quello della conoscenza della causa e dell’effetto, della ragione e della conseguenza e vuole convincere tutti “su ciò che deve essere” e non “su ciò che è”, si schianterà fatalmente contro gli scogli dei fatti.
Ma questa, purtroppo è già la cronaca dei nostri giorni.

Nessun commento:

Posta un commento