da Il Riformista del 11 febbraio 2009, pag. 2/3
di Stefano Cappellini
«Ha gli occhi aperti ma non vede, il suo volto è privo di espressione, gli arti immobili». Così era descritta Eluana in uno dei primi articoli pubblicati dalla stampa nazionale sul suo caso. Era il giugno del 2000 e la storia della ragazza che otto anni prima un incidente automobilistico aveva privato della vita vissuta era già accompagnata da un ricco dossier di corsi e ricorsi giudiziari. Ci sono voluti altri cinque anni perché la vicenda entrasse stabilmente nel dibattito pubblico nazionale, altri tre perché arrivasse a conclusione con la morte della ragazza. Migliaia di giorni sono trascorsi mentre Eluana restava «con gli occhi aperti, il volto privo di espressione...», mentre papà Beppino girava tribunali e corti d`appello, scriveva libri e rilasciava interviste. Migliaia di giorni che hanno visto esplodere altri casi, diversi da quello di Eluana nella forma ma analoghi nella sostanza, come quello di Piergiorgio Welby, che in un giorno di dicembre del 2006 ha smesso di restare attaccato alla macchina che lo teneva in vita e se ne è andato, non prima di aver scientemente trascinato il Palazzo in uno psicodramma di buoni e cattivi propositi, di accuse ipocrite e scomuniche postume. Di queste migliaia di giorni disponibili per legiferare, normare, mediare - in una parola: fare il proprio mestiere - la politica ha cercato di impiegare fattivamente gli ultimi cinque. Cinque contati. Da quando, cioè, il governo ha lasciato trapelare l`intenzione di intervenire con un decreto per salvare Eluana e poi, dopo uno scontro istituzionale senza precedenti col Quirinale, ha ripiegato su un disegno di legge da far approvare al Parlamento a tappe forzate. E spuntato un testo scritto ad hoc, da rimbalzare tra Camera e Senato in poco più di quarantotto ore. Ma la lentezza della politica italiana non si è smentita nemmeno stavolta, quando si illudeva di essersi fatta sprint. Eluana è morta prima che il Parlamento si pronunciasse. Senza lasciare nemmeno il tempo di chiedere ai veloci- sti dell`ultim`ora perché l`urgenza morale sbandierata, i drammi di coscienza - così potenti da smuovere una guerra tra palazzo Chigi e il Quirinale - non siano stati altrettanto forti da annullare il weekend dei parlamentari, visto che il tour de force parlamentare ha dovuto comunque interrompersi sabato e domenica. In fondo, anche quella di Eluana, è stata una urgenza all`italiana. Eppure di una legge sul fine vita, sul cosiddetto testamento biologico, si parla da anni. Da prima del caso Eluana. E fino a ieri le diverse opinioni su confini e merito del provvedimento, e sulla opportunità stessa di una legge, non erano una mera proiezione degli schieramenti politici. Ma la legge non si era fatta in questa legislatura, nemmeno nei tre mesi che sono trascorsi tra l`ultimo pronunciamento della giustizia su Eluana alla morte della ragazza. Non era stata fatta nella legislatura precedente, quando almeno in teoria la maggioranza di centrosinistra avrebbe potuto far approvare un testo ben diversamente orientato rispetto a quello che si discute ora in Parlamento. E nulla se ne fece nella legislatura ancora prima, quella in cui governava lo stesso premier di oggi, ma non ancora convertito alla primazia dei temi bioetici. Nel 2002, quasi sette anni fa, l`allora ministro della Salute Girolamo Sirchia rilasciò una intervista al Corriere della sera per caldeggiare il varo del testamento biologico. «Qui negli Stati Uniti lo chiamano living will», disse il professore che parlava all`Italia da un convegno negli Usa. Ma la politica è lenta. Non se ne fece nulla. Chi si ricorda oggi del disegno di legge Ripamonti-Del Pennino? In quegli anni si chiamava così una di quelle bozze che si sono succedute all`esame del Parlamento, tutte arenate, impastoiate, implose, e magari resuscitate - con un nuovo cognome appicicato - a ogni nuovo caso di cronaca, per placare l`ansia dell`opinione pubblica, o a ogni cambio di governo, per mostrare l`intenzione di fare. A metà gennaio, quando già si aspettava da un momento all`altro che Eluana lasciasse la Lombardia per andare a finire i suoi giorni in una clinica di Udine, la maggioranza non riu-
sciva a mettersi d`accordo su un testo da portare in commissione. E il Pd, in una surreale assemblea dei parlamentari, decideva di non decidere, sospendendo il voto al proprio interno sul progetto di legge scritto dal chirurgo Ignazio Marino. Un film già visto, da quelle parti. Sono tornati a mente i giorni in cui il governo Prodi inventava un acronimo al mese pur di non sfracellarsi sulla regolamentazione dei diritti delle coppie di fatto: Pacs, Dico, Cus. Un nuovo testo di legge per ogni semestre di ritardo. Ma la politica italiana è lenta. Arriva dopo. E non è nemmeno detto che arrivi. La morte di Eluana è già bastata a rallen- tare l`iter del ddl. Doveva essere legge già stasera. Lo sarà, se tutto va bene, tra un paio di settimane. Nel frattempo il calendario d`aula è già tornato alla gestione ordinaria. Ora si torna a parlare di Brunetta e del ddl sui fannulloni. Fra poco le urla «assassini, assassini» e la replica «sciacalli, sciacalli» svaporeranno dall`aula di palazzo Madama e dai titoli dei giornali. Il pericolo golpe svanirà. Nei corridoi si tornerà a sussurrare il nome del nuovo direttore generale della Rai e dei membri del cda. Perché la politica italiana è lenta, ma smaltita la sbornia emotiva sa come tornare a frullare i suoi deboli argomenti alla velocità della luce.
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