giovedì 14 febbraio 2008

La politica della palude e lo Stato padrone

da Il Sole 24 Ore del 14 febbraio 2008, pag. 1

di Gianni Dragoni




Il richiamo del governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, all'importanza che le privatizzazioni passate han­no avuto nella riduzione del de­bito pubblico mette in risalto un fenomeno accentuatosi negli ul­timi due anni: la sostanziale paralisi nell'attività di dismissione di cespiti pubblici.



Alla politica le privatizzazio­ni avviate quindici anni fa non interessano più. Il primo scor­cio della campagna elettorale lo conferma. Non ne parlano né Walter Veltroni né Silvio Berlusconi, né gli altri leader politici, comprese le formazioni minori. «Nel corso del 2006 il ministe­ro dell'Economia e delle Finan­ze non ha condotto operazioni di cessione del capitale delle so­cietà direttamente detenute. È stata avviata la procedura per la cessione del pacchetto di con­trollo di Alitalia, che dovrebbe concludersi con la vendita dell'intera quota posseduta», sottolineava la relazione annua­le del governatore della Banca d'Italia, il 31 maggio 2007.



Non che da allora sia cambia­to molto. La gara per la privatizzazione della dissestata compa­gnia di bandiera si è chiusa in lu­glio con un nulla di fatto; Poi la procedura è stata riaperta su ba­si meno rigide. Il premier dimis­sionario Romano Prodi e il mi­nistro dell'Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, si stanno impegnando per completare la vendita affidando la Cenerento­la dei cieli al gruppo AirFrance-Klm. Un soggetto al quale si po­trà anche rimproverare di non essere italiano, ma non certo di non saper fare il difficile mestie­re del trasporto aereo. Tra mil­le ostacoli, l'operazione sem­bra avviata al traguardo, a me­no che il Tar non blocchi tutto accogliendo il ricorso di Air One, il concorrente escluso dal­la trattativa finale.



Ma che fatica. Sembra igno­rato, nelle polemiche sulle spo­glie dell'Alitalia, il fatto che ne­gli ultimi quindici anni la compagnia abbia accumulato per­dite di gestione per complessi­vi 4.530 milioni di euro e sia de­stinata al sicuro fallimento se non troverà entro pochi mesi, al massimo a giugno, un nuovo padrone disposto a ricapitaliz­zarla con almeno 750 milioni. L'ultimo aumento di capitale, un miliardo di euro nel dicem­bre 2005, di cui circa 490 milio­ni versati dal Tesoro, quindi dai contribuenti, è pressoché esaurito.



È lecito ora chiedersi se ci saranno altre mosse del Tesoro nel ricollocare le proprie azien­de. E pur vero che dopo la mas­siccia campagna vendite che ebbe inizio dopo quella sorta di spartiacque ideologico rap­presentato dalla crociera del Britannia il 2 giugno 1992, non c'è molto da vendere.



Fra il 1992 e il 2000, periodo che coincide quasi interamente con l'incarico di Draghi come direttore generale del ministe­ro del Tesoro, sono stati incas­sati dalle privatizzazioni circa 102 miliardi di euro, ha calcola­to R&S, società di Mediobanca. Sommando le dismissioni diret­te del Tesoro e quelle dell'Iri, si arriva intorno a 140 miliardi fi­no al 2005, secondo l'ultima rela­zione al Parlamento del ministe­ro dell'Economia.



È improbabile che lo Stato si privi del controllo di attività strategiche nell'energia, Eni ed Enel, di cui detiene il 20% diret­tamente (e un ulteriore 10% at­traverso la Cassa depositi e pre­stiti) 0 del 33,7% nell'industria della difesa, la Finmeccanica.



Difficile immaginare la privatizzazione di Fs o Anas, in , perdita, impervia la strada del­la privatizzazione Rai. Ma tra le attività privatizzabili ci sono i traghetti della Tirrenia, che ri­ceve ogni anno dai 130 ai 180 mi­lioni di sovvenzioni pubbliche.



C'è la Sace. C'è la Cassa de­positi e prestiti, scrigno che rac­chiude il 10% circa di Eni ed Enel, il 29,99% di Terna e una quota importante di STMicro-electronics. Poi le Poste, con­trollate al 65% dal Tesoro e al 35% da Cdp. Nella Cassa deve essere risolto il rebus del rap­porto con le fondazioni bancarie azioniste.



Poi c'è il dossier Fincantieri. La fragilità della maggioranza del Governo Prodi ne ha bloc­cato la quotazione e il progetto di crescita all'estero. C'era un piano per l'unione con la norve­gese Aker Yards, che creereb­be un campione europeo. Della paralisi ha approfittato la co­reana Stx, entrata con il, 39,2% nella public company scandi­nava. Ora in mezza Europa c'è allarme per l'invasione di Seul.



C'è un progetto di unione tra Fincantieri e Aker che, in un'operazione in cui sarebbe­ro coinvolti anche veicoli francesi e finlandesi, porte­rebbe a una riduzione della quota statale. Ma occorre un viatico dal Governo.


Infine, c'è ancora moltissi­mo da vendere nel «sociali­smo municipale», secondo la definizione di Sabino Cassese. Il potere di periferia ha resisti­to allo tsunami delle privatiz­zazioni e cerca di rafforzarsi. Lo dimostra il progetto di unificazione delle municipalizza­te di trasporto locale di Mila­no, Torino, Bergamo e Brescia, annunciato al Sole 24 Ore dal presidente di Atm Milano, Elio Catania.

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