Credo che la domanda iniziale che si deve porre chi ha intenzione di partecipare all’attività politica sia: il perché facciamo politica e cosa ci aspettiamo dalla politica.
Intervento di Mario Spezia
22 settembre 2009
Credo che la domanda iniziale che si deve porre chi ha intenzione di partecipare all’attività politica sia: il perché facciamo politica e cosa ci aspettiamo dalla politica.
La qual cosa può anche sembrare inutile o banale ma racchiude dentro di sé, invece, le vere motivazioni che ci spingono all’impegno e, di conseguenza, sono propedeutiche a muovere la nostra azione.
Se riteniamo, infatti, che il primo obiettivo della politica sia il governo e la gestione del potere ( il comandare ad ogni costo, di “dorotea” memoria), di conseguenza tutta la nostra azione sarà rivolta alla creazione delle condizioni per meglio raggiungere quell’obbiettivo, trovando ogni occasione ed ogni compromesso a tal fine necessari od opportuni.
Se abbiamo un idea della politica quale strumento per esercitare l’egemonia di una parte, la nostra, sugli altri, allora dobbiamo, quotidianamente, creare le condizioni per saper dividere gli amici dai nemici e cercare di combattere e perseguire questi ultimi.
E, in questo caso, dobbiamo quotidianamente lottare per arrivare allo scopo, cercando di occupare, attraverso i nostri amici fidati (e solo loro) tutti i posti di potere di qualsiasi livello e grado perché solo con il controllo totale della situazione possiamo “imporre” il nostro credo e/o i nostri interessi.
Personalmente credo invece che dobbiamo fare politica perché abbiamo in mente e vogliamo perseguire un modello di società e vogliamo, tutti i giorni ed in tutte le occasioni ed in tutte le sedi, contribuire al raggiungimento di questo obbiettivo.
E l’altra domanda che ci dobbiamo porre è: perché vogliamo contribuire oggi alla definitiva nascita del Partito Democratico?
A questo proposito mi sembra importante premettere che anche (e soprattutto) a causa della legge elettorale maggioritaria nel nostro paese si contrappongono oggi due visioni opposte di modelli sociali:
1. quello rappresentato da una destra (NB sempre meno centro destra e sempre più destra) conservatrice, populista, plebiscitaria, individualista, anticostituzionale, contraria a regole chiare e a vantaggio di tutti (e solo propedeutiche ai propri interessi) che disciplinino, in modo equo e giusto, il contesto sociale nel suo complesso;
2. quello rappresentato da un centro sinistra fortemente ancorato ad un modello di società che fa della coesione sociale, della solidarietà, della responsabilità personale, dello sviluppo economico ed imprenditoriale accessibile a tutti, del rispetto delle regole, quale motore della giustizia, il proprio obbiettivo.
Questo modello elettorale (come in tutte le cose anche in politica le regole determinano il modo di agire, in questo caso le regole sono dettate dalla legge elettorale, oggi maggioritaria, e sempre più indirizzata alla semplificazione piuttosto che al ritorno al proporzionale) che spinge verso un modello bipolare, che con il tempo diventerà sempre più, bipartitico ci induce a proseguire sulla strada dell’incontro delle grandi identità culturali del ‘900: popolari, democratiche e riformiste (Cattolica, Liberale e Socialista) che hanno dato vita unanimemente alla Costituzione repubblicana ed al nostro modello di Stato, per ripartire dai principi fondamentali ed indissolubili (questo a me pare essere il vero motivo fondante del Partito Democratico).
Ma per arrivare al completamento del percorso bisogna superare la fase di dissolvimento della sinistra comunista acquisendo la consapevolezza che quello è un passato che non ritornerà più perché inequivocabilmente superato dalla storia; ribadendo il concetto che l’unità della sinistra non è un valore: il valore è la visione di una società libera, democratica, giusta, coesa, aperta a tutti: imprenditori, operai, liberi professionisti, studenti, pensionati; fatta di regole certe rispettate da tutti. Con un nuovo ruolo, ad esempio, dell’Ente Pubblico che sappia coniugare l’efficienza con l’indispensabile necessità di dare risposte a tutti – in modo rapido, professionale ed efficace – con un sistema delle regole che ridia certezze ai cittadini, regole certe e chiare anche per gli immigrati che si devono saper integrare (aiutati) in un nuovo (per loro) sistema sociale fatto di altre regole, altri usi, altri metodi, rispetto a quelli a cui erano abituati e che nella stragrande maggioranza dei casi erano molto diversi se non, addirittura, contrapposti ai nostri (temi generali quali: la democrazia, la partecipazione, la convivenza civile ma anche più banali e semplici quali:la pulizia, l’igiene, la cura della casa, il rispetto del vicino, ecc., sono per la maggior parte degli immigrati completamente sconosciuti).
Un partito che deve, quindi, avere chiaro l'obiettivo della costruzione di una azione politica in grado di cambiare la società, aprire le menti e disegnare quel futuro nuovo e diverso che le problematiche di oggi ci impediscono, molte volte, di intravedere; un'azione perciò anche e sopratutto culturale che deve essere impostata attraverso un percorso a medio periodo che, in qualche modo, può essere in contrasto con le necessità di tutti i giorni e le aspettative degli amministratori locali angustiati dalla quotidianità.
E' per questo che diventa difficile pensare ad un "partito degli amministratori" così come qualcuno, ripetutamente, vuole richiamare.
Sempre di più, infatti, divergono le necessità quotidiane con la visione futura della società del domani. (Un esempio per tutti oggi di moda: l'apporto dei militari a garanzia della sicurezza delle città e dei cittadini; infatti se per un amministratore locale la cosa non può che fare piacere perché risolve un problema immediato e concede una tregua all'assillante richiesta in tale direzione espressa dai cittadini e dall'opinione pubblica, dall'altro lato è impensabile prefigurare per il futuro un simile compito da parte delle forze armate; perché se il problema esiste è ovvio che vada demandato alle forze di polizia in ciò opportunamente rinforzate - Appare quindi evidente che come può la politica ed un partito supportare un'azione che invece un amministratore locale ritiene opportuna?; e se l'amministratore locale è anche il rappresentante politico come fa a tenere divise e motivare le due posizioni, fra di loro, contrastanti?)
Un PD che deve anche ripartire dal superamento degli apparati per riscoprire il piacere della politica quale più alta espressione della partecipazione alla vita civile e sociale; un richiamo allo spirito di servizio ed alla responsabilità personale che non può non ripartire dai dirigenti che devono quindi dare esempio della gratuità e del disinteresse del proprio agire (la politica non come attività lavorativa ma come passione ed impegno gratuito al servizio della comunità).
Quello che sicuramente non ci si auspica è un ritorno al passato con la riedizione di una struttura “pesante” che ha caratterizzato gli aspetti più deleteri dell’azione dei partiti della prima repubblica; sempre più racchiusi su se stessi ed impegnati più al mantenimento ed alla sopravvivenza invece che aperti alle esigenze ed al confronto con una società in continuo e profondo cambiamento; a questo proposito ci preoccupa la proposta di Bersani di irrigidire e incanalare in un Albo, pubblico e certificato, i partecipanti alle primarie considerati, evidentemente, non bene accetti in quanto difficilmente “omologabili”con l’apparato; un Albo che priverebbe, in questa fase storica, il PD di quell’apporto di uomini e di idee libere e nuove che ne devono rappresentare, pur con tutti i rischi ed i limiti del caso, la linfa vitale.
Quindi un partito, quello Democratico, che può costituire l’unica possibilità reale e plausibile di costruzione del modello di società che abbiamo in mente ma che deve, in questa delicata fase di assemblaggio e di vera partenza, fare proprie e rappresentare le istanze ineludibili che abbiamo cercato di riassumere brevemente.
Istanze che mi paiono rappresentate in tutti i concetti fondamentali richiamati da Dario Franceschini che vuole giustamente sempre rimarcare quanto sia importante la difesa di concetti e di valori che, se anche non portano consensi immediati, diventano ineludibili per la costruzione della società del domani.
Pd non è una sigla per vincere le elezioni
Il Pd è invece un progetto di cambiamento
"Anche i tentativi più nobili della nostra storia, come l'Ulivo, sono nati solo per vincere le elezioni in base alla legge elettorale vigente. Il Pd non è una sigla per affrontare le elezioni, è invece è un progetto di cambiamento del paese che comincia con il Pd. Se così non fosse faremmo l'errore di quei grandi riformismi che si sono ridotti a inseguire la destra senza proporre, come ha fatto Obama, valori diversi da quelli della destra, che è l'unico modo che abbiamo per vincere. A me fare manutenzione non interessa nulla ed essere eletto per questo non serve. Serve una battaglia per il cambiamento del Paese perché la sconfitta della destra e' nelle mani del Pd". Lo ha detto Dario Franceschini parlando alle donne del Pd che sostengono la sua mozione congressuale.
Panebianco conferma la validità del progetto di Franceschini
Un commento di Ceccanti all’editoriale di oggi (11 settembre 2009) sul Corriere della Sera
"L'intervento di oggi di Angelo Panebianco sul Corriere della Sera, al di là delle prese di posizione sulle singole questioni, conferma la giustezza della mozione Franceschini. Anzitutto il voler perseguire con maggiore coerenza la linea della 'vocazione maggioritaria’, anziché tornare alle logiche delle coalizioni eterogenee modello Unione, spesso rimpiante da molti dei sostenitori della mozione Bersani. Panebianco individua poi correttamente le differenti impostazioni culturali tra le due mozioni: mentre Franceschini punta su un grande partito di centrosinistra capace di convincere direttamente molti elettori che oggi votano per il centrodestra, larga parte della mozione Bersani, in primis D'Alema, è vittima di una continuità minoritaria con una parte della sinistra italiana e ritiene quindi necessario delegare a partiti centristi la vittoria elettorale, concedendo persino la Presidenza del Consiglio. Ci sarebbe così, come sempre, una doppia verità: un partito più ristretto per soddisfare gli iscritti più tradizionali, ma poi la massima spregiudicatezza nel costruire alleanze per vincere le elezioni, fatalmente destinate però a esplodere una volta al Governo. Nei prossimi giorni dobbiamo riuscire a far emergere più chiaramente queste differenze strategiche". Lo dichiara Stefano Ceccanti, senatore Pd.
Condivisibile l’allarme del Corsera sul progetto di D’Alema
Per Salvatore Vassallo luci ed ombre nell’editoriale di Angelo Panebianco.
"Luci ed ombre nell`editoriale di Angelo Panebianco apparso oggi sul Corriere. Quel che scrive è in fatti in larga misura condivisibile e i dati gli danno ragione. Gli equilibri elettorali sono, anche in Italia, mutevoli a sufficienza da giustificare l`ambizione del PD di sfidare l'attuale maggioranza per imprimere una chiara direzione di marcia ai governi di cui dovesse far parte in futuro. A tempo debito potrà valutare quali alleati sono utili e disponibili, ma non ha bisogno di ripiegare, come sostengono D`Alema e Bersani, verso una politica delle alleanze stile Prima Repubblica, riflesso di una stagione nella quale "il principale partito della sinistra" (come continuano a concepire il PD) non poteva aspirare a guidare il governo se non sotto la tutela di partiti espressione "autentica" del "mondo cattolico" e della "borghesia industriale". La vocazione maggioritaria non ha mai voluto dire autosufficienza. Vuol solo dire che le alleanze non si costruiscono ex ante, a prescindere.
Panebianco sembra sottovalutare però che gli elettori si muovono sia perché‚ sono attratti da una proposta adeguata sia perché‚ sono respinti dalla alternativa disponibile. Sono due dinamiche parte del medesimo gioco. È dubbio peraltro che le elezioni del 2008 abbiano decretato l`inadeguatezza della proposta avanzata allora da Veltroni in un momento non favorevole al centrosinistra. È certo invece che un forte rilancio del progetto originario, in presenza dell`attuale crisi di leadership del centrodestra, riaprirebbe una chance per il PD che i tatticismi di D`Alema rischiano di far sprecare al PD e più in generale alla politica italiana". Lo ha dichiarato Salvatore Vassallo, parlamentare del Partito Democratico.
Dalla lettera di Franceschini agli iscritti
Non tornare indietro rispetto alla scelta di un partito radicato nel
territorio, con un Circolo in ogni comune e in ogni quartiere. Un partito
aperto, che unisce la straordinaria forza dei nostri iscritti e dei nostri
militanti alle energie di tanti elettori pronti a lavorare con loro per un
progetto in cui credono.
Non tornare indietro rispetto all’idea di un partito ricco di diversità come
tutti i grandi partiti nel mondo. Abbiamo scelto noi di chiudere una lunga
stagione di divisioni per far nascere il Pd, la casa di tutti i
progressisti: laici, cattolici, di sinistra, ambientalisti, liberal,
socialisti. E così deve restare il Pd: il partito in cui quelle diversità
sono la ricchezza che permette di costruire la sintesi e la linea comune.
Piacenza 22 settembre 2009
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