sabato 27 marzo 2021

Il destino dei Liberali?

Ho letto l'articolo di Alessandro De Nicola del 20/3/2021 su Repubblica, articolo in cui si propone un assemblement dei liberali italiani, di quelli che una volta si chiamavano i laici, di europeisti e quanto simile, e questo facendo occasione dell'iniziativa di un Comitato volto alla stesura di un "programma per l'Italia" presieduto dal Prof.Cottarelli.

Alcune considerazioni.

1. Mi sembra che manchi chiarezza su cosa dovrebbe fare questo "partito", perché dovrebbe farlo e perché dovrebbe riuscire a farlo. So che molti mi considerano noioso su questa mia richiesta che abitualmente rivolgo a chiunque proponga qualcosa, ma siamo tutti abbastanza adulti da aver sperimentato iniziative velleitarie, quando non palesemente truffaldine nei confronti dei propri aderenti. Il generico richiamo a dei padri fondatori non può essere sufficiente. Stimo de Nicola e sono certo della onestà intellettuale nel suo appello, ma ho solo la speranza che ci sia altrettanta onestà nel gruppo dirigente che verrà a costituirsi. Esiste poi un problema di capacità, e proprio le esperienze di SC e Fare stanno a  dimostrare come un gruppo dirigente politico non si produca a tavolino. Non sta a me, ma al gruppo promotore, il convincere i dispersi liberali a fidarsi di loro. Penso nessuno abbia voglia di fare il tassista (o, come si diceva anni fa, il cammello) per i tanti furbettini di cui pullula la politica italiana, ed il solo sospettare la situazione sia sufficiente a spegnere ogni ardore politico.

2. Bisogna poi capire come i federalisti alla Cattaneo ed i liberali alla Hayek, riescano a convivere con mazziniani e keynesiani. Paradossalmente questa convivenza sarebbe più facile nel caso di convergenza tra gruppi organizzati, dove quindi più chiara la dimensione tattica o strategica di una decisione, che nella convergenza tra singoli individui, dove qualsiasi decisione del "centro" rischia di essere sentita come strumentalizzazione. Purtroppo l'esperienza ci insegna come le aggregazioni politiche nell'era della "tarda" democrazia, siano ideali per opportunisti alla ricerca del taxi giusto a portarlo alla cadrega. 

3. Sinceramente trovo poco poco margine di convivenza per chi, come me, vede lo statalismo come il cancro che sta consumando questa società, e chi pensa sia soltanto un problema di competenti ed incompetenti, galantuomini o delinquenti o, di un programma. Che la tecnostruttura e la politica siano migliorabili negli uomini e nelle intenzioni, è naturale, ma il centro della diatriba politica non sta nel migliorare politici, burocrati o programmi, ma nel ridurre le aspettative nello stato e con esse ridurre il perimetro dello stato a livelli che consentano nuovamente agli individui di dirsi e sentirsi liberi, e di agire, intraprendere, in una ritrovata libertà. Il dispotismo burocratico che ci asfissia, è direttamente proporzionale all'interventismo statale. Sappiamo tutti bene come lo statalismo porti all'emergere dei peggiori al di là delle eventuali buone intenzioni dei suoi promotori, e quindi le nostre piccole forze debbono volgersi a limitare l'intervento dello stato, ma anche le sue dimensioni. La riduzione del perimetro dello stato, e la riduzione della distanza delle istituzioni politiche dalle comunità locali, sono oggi elementi dirimenti. L'europeismo e l'atlantismo stesso hanno senso solo in quanto potenzialmente favorevoli a  questa prospettiva di "governi più limitati in stati più piccoli". 

4. Il programmismo. Se trovo qualcosa di sterile ma anche fastidioso, questo è la  riduzione della politica alla scrittura di un bel programma su cui poi fare propaganda. Esercizio politicamente sterile, visto che parliamo di forze minoritarie e di consistenza minima, e utile solo per fingere dei comuni intenti: "io metto un paragrafo e te un altro e poi ci battiamo una pacca sulle spalle". Una forza minoritaria deve avere una focalizzazione, massimo due o tre priorità, e delle linee guida chiare cui ispirarsi.

Certo, questo mostrerebbe l'inconsistenza di tante iniziative di aggregazione politica, ma meglio che certe criticità si mostrino prima piuttosto che poi, quando negli esiti troveremo demoralizzazione, sfiducia e disimpegno.


Queste le mie considerazioni. Strettamente personali.

Non mi aspetto risposte dirette, ma cercherò di coglierle negli atti di questo costituendo "partito".

Carlo Annoni





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