Italia vittima innocente della finanza impazzita e delle idee liberali secondo il massimo ideologo del populismo italiano
La recente intervista di Cazzullo a Tremonti (20/5/2013) mi ha incuriosito, in particolare per tutto il discorso imbastito attorno alla famosa lettera di Draghi e Trichet del 5 agosto 2011.
Nell’intervista, tra le altre cose, Tremonti fa capire che “In Italia c’è stato allora un “dolce coup d’état”. Ne ha fatto parte la lettera inviata all’Italia da Trichet e Draghi, nel 2011, imponendo l’anticipo del pareggio di bilancio, dal 2014 concordato in Europa, al 2013”.
A queste pressioni ed alle dinamiche del contesto finanziario internazionale, il nostro fa risalire le colpe degli attuali mali italici, arrivando ad affermare che fino al 2010 l’Italia fosse come la Svizzera. Forse avrebbe dovuto dire che grazie al tanto bistrattato euro ed al sottostante trattato, l’Italia ha goduto per oltre un decennio di condizioni incredibilmente buone per prendere a prestito dei soldi.
Del fatto che il vantaggio sia stato speso per alimentare le storture del nostro paese piuttosto che correggerle, e che proprio per questo dal 2010 la situazione precipitò, nell’intervista non c’è traccia, come di una autocritica. Ma tant’è: un bel complotto (possibilmente internazionale) sistema le cose evitando seri esami di coscienza. Basta sapersi accontentare.
Ma voglio cogliere l’occasione per tornare alla lettera di Draghi e Trichet.
Poiché di quella lettera fui un estimatore, e lo rimango, ritengo necessario controbattere a qualche affermazioni del massimo ideologo del populismo italiano.
Per farlo è necessario tornare al contenuto della lettera nella sua interezza.
Mi fa perciò piacere ricordare che, nella lettera, Draghi e Trichet consigliavano di concentrare azione su:
- Misure per accrescere potenziale di crescita
- Riduzione spesa pubblica
- Ristrutturazione dell’amministrazione pubblica per migliorarne l’efficienza e la capacità di servizio alle imprese.
Come ebbi occasione di scrivere assieme all’amico Mario Saccone in un intervento del novembre 2011, “su l’agenda Draghi-Trichet, che è una agenda delle riforme e delle azioni che da tempo auspichiamo, non possiamo non esserci”.
Ora questa agenda è additata, da studiosi come il nostro, come la matrice della azione realizzata da Monti e che ha portato l’attuale aggravamento della crisi.
Purtroppo, per Tremonti e i tanti che cercano di scaricare le proprie responsabilità su volontà (se non complotti) esterne, le cose non stanno così.
Monti potè fare ciò che la maggioranza politica - che della coscienza di gruppi e classi e dei loro rapporti ne era l’espressione - consentì a lui di fare.
Se si esamina la lettera, troveremo che la stessa consigliava al governo italiano di arrivare al pareggio di bilancio nel 2013, arrivandoci con tagli di spesa. I tagli suggeriti erano sul sistema pensionistico, ma anche su tagli al personale e agli stipendi pubblici.
La lettera suggeriva - con una attenzione maggiore di quella di tanti politici nazionali alle problematiche di coesione sociale - di approntare un vero sistema di assicurazione contro la disoccupazione, e questo per compensare la maggiore flessibilità in uscita necessaria nei contratti di lavoro.
Si incoraggiava inoltre il Governo a “prendere immediatamente misure per garantire una revisione dell'amministrazione pubblica allo scopo di migliorare l'efficienza amministrativa e la capacità di assecondare le esigenze delle imprese”.
E’ sotto gli occhi di tutti come un solo intervento abbia avuto luogo, e questo sia stato quello sul sistema pensionistico. Nessuna significativa modernizzazione del welfare, nessun taglio di personale o stipendi pubblici, nessuno snellimento burocratico, anzi...
Le intenzioni sono in genere rimaste nella testa, qualche volta sono passate allo stato cartaceo, e quando qualcosa è stato approvato (tagli su aumenti magistrati e alti dirigenti pubblici) ci ha pensato la corte costituzionale a rendere inefficace i provvedimenti.
Alla fine sono rimaste le tasse, tante, di cui si è incolpata “astutamente” la BCE, ma che erano solo il frutto del blocco sociale consociativo che è al potere in questo paese. (1)
Monti, ingenuamente convinto che il problema italiano fosse la mancanza di buone teorie e validi leader, ha così scoperto che le decisioni di governo si formano sulla base dei rapporti di forza tra individui, gruppi e classi, non sulla base di idee forse di buonsenso ma astratte dai rapporti di forza reali nel parlamento e nella società.
Come finì la storia, oggi lo sappiamo.
Erano passati pochi mesi dall’insediamento di Monti, e la situazione era già chiaramente indirizzata verso lo stravolgimento della agenda Draghi - Trichet e quindi verso un fallimento dell’azione politica che si voleva liberale e riformatrice, come ebbi modo di puntualizzare in un intervento del 12/4/2012.
Purtroppo non bisogna essere dei geni per capire che l’assetto sociale e politico del Paese offriva solo deboli punti di leva, e senza poter contare su forti punti di appoggio esterni, l’azione di Monti sarebbe stata costretta nei limiti di quanto voluto o comunque accettato dal blocco sociale di forze che fa il consociativismo italiano. Per l’appunto ebbi a scrivere che “.. i governi tecnici si dimostrano solo governi di supplenza a forze politiche che non hanno il coraggio di mettere la faccia su misure impopolari, ma hanno la forza per imporne i contenuti. Inutile aspettarsi dai tecnici atti che la politica non vuole.”
Appunto quello che successe al governo Monti, cui toccò in più la beffa di trovarsi accusato (e condannato dal popolo elettore) come autore e non solo attore dell’ennesima occasione perduta di una politica liberale e non demagogica.
Carlo Annoni
(1) L'occasione forte, suggerisce l’amico Mario Saccone in una sua nota, era quella di porre mano ad un vero sistema di assicurazione contro la disoccupazione “per compensare la maggiore flessibilità in uscita necessaria nei contratti di lavoro”. Questo sarebbe stato di fatto un patto tra “produttori”, anche se non contrattato con le rappresentanze “istituzionali” dei lavoratori e delle aziende (sindacato e confindustria); un patto cioè tra lavoratori e imprenditori produttivi (entrambi), contro l'enorme lobby delle clientele e delle rendite di posizione (vere e proprie prebende da Ancien Regime) che predomina sia tra sindacati e partiti della sinistra che tra confindustria e partiti della destra. Da un lato c'è il corporativismo della PPAA e delle aziende decotte, dall'altro gli oligopoli (e non dimentichiamoci i monopoli) che strangolano l'economia, e ovunque enorme numero di clientes che rubano una ricchezza che non producono.
L'occasione era veramente unica. Anche perché un vero patto tra i produttori, non le vuote proposte di pacificazione tipo la dottrina sociale della Chiesa cattolica o il richiamo alle norme costituzionali, può essere solo un patto temporaneo. Un patto in cui i due veri protagonisti a diverso titolo della produzione e della distribuzione del reddito, si mettono temporaneamente d'accordo per liberare il campo dai parassiti che si ingrassano sulla ricchezza prodotta.
Chiamato in campo da entrambi gli schieramenti per mettere le cose a posto, Monti aveva a disposizione alcuni mesi in cui nessun avrebbe osato farlo cadere e in cui avrebbe potuto far partire le poche essenziali riforme necessarie per indirizzare il paese verso una uscita dalla crisi. Ma non lo ha fatto. [Lettera di M.Saccone 21/5/2013]
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