sabato 16 giugno 2012

Per i problemi del Nord non servono nuove (!!) facce, ma coscienza e autonomia delle classi sociali oggi spremute da Stato, corporazioni e oligopoli


Cari amici di Verso Nord,
ho aspettato un mese prima di trovare la giusta motivazione per inviare questo intervento. So che l’intervento troverà poco consenso, ma nella vita ho da tempo deciso che, non puntando al mestiere del politico, posso permettermi l’impopolarità.
Perchè impopolarità? semplicemente perchè entro nel merito di alcune recenti scelte strategiche dei vertici del movimento che come aderente al manifesto di Verso Nord non mi convincono affatto.
L’occasione è il recente intervento di Luca Cordero di Montezemolo (Corsera 21 maggio 2012) che, al di là di un tatticismo un pò esasperante ma evidentemente calcolato, impone qualche riflessione a chi, come noi, voglia interpretare gli interessi delle classi produttive, imprenditoriali e risparmiatrici del Nord.

Partiamo quindi dall’intervento, che per altro poco aggiunge a quanto già si sapeva: LCdM agita i temi (risaputi e tante volte ripetuti da tanti) di una auspicata rivoluzione liberale, di una (peraltro tante volte già ascoltata) richiesta di nuovi gruppi dirigenti, e prospetta una propria discesa in campo (non diretta ma tramite “suo” movimento). A completamento del discorso LCdM afferma poi che sia tempo di parlare di contenuti e non di contenitori.
Ora, visto che i contenuti agitati nel comunicato sono assai poco diversi da quelli ad esempio agitati 20 anni fa tra gli altri da SB (e mi fermo nel tempo visto che sono tematiche secolari della storia italica), bisognerebbe capire perchè il nuovo partito (il contenitore!) promosso da LCdM dovrebbe riuscire dove altri prima hanno fallito. Su questo tema sarebbe dovuto vertere l’intervento, ma su questo si tace, dicendo anzi che bisogna parlare dei contenuti.
Se fossi digiuno dalla politica e da quella italiana in particolare potrei anche credere nelle favole ma nelle mie condizioni accettare questo discorso sarebbe ingenuità o furbo calcolo.
Quindi penso che dovremmo provare a capire:

  • perchè anni di proclami liberali non abbiano avuto successo
  • perchè la “cosa” di LCdM dovrebbe invece riuscirci.

Anticipo le mie tesi su questi argomenti:

  1. i proclami liberali possono tradursi in risultati solo se le classi che hanno il massimo interesse dalle libertà economiche (e civili) sanno prendere la guida cosciente dei processi politici
  2. i proclami liberali in italia non si sono tradotti in fatti poichè agitati in modo strumentale da persone e gruppi riconducibili ad una classe di capitalisti complementare (e non alternativa e neppure indipendente) alla statocrazia dominante. Imprenditori (come SB) e banchieri/finanzieri che hanno sguazzato nel connubio torbido tra economia-finanza-politica sono gli ultimi candidati autorevoli a guidare una rivoluzione liberale.
  3. nell’attuale contesto (la globalizzazione economica e la crisi competitiva dell’Italia) è possibile che gli interessi delle classi economiche dominate e sfruttate da apparato statale e interessi economico-finanziari oligopolistici trovino momentanee e parziali sovrapposizioni con gli interessi di chi è parte integrante dell’establishment, ma l’unica garanzia per mettere in moto una vera rivoluzione liberale sta nella capacità di auto-organizzazione degli outsider, nella capacità di sviluppo di una coscienza e di gruppi dirigenti propri.

Partiamo allora con SB e cerchiamo di capire come e perchè i suoi proclami liberali siano rimasti “lettera morta”. Secondo SB il motivo fu la mancanza di potere effettivo che riscontrò una volta eletto. Se avesse ragione dubito che LCdM, che sicuramente come SB rappresenta interessi (e poteri) forti, riesca a disporre di un potere maggiore di quello che ha avuto (ed in parte ha) SB.  Secondo altri, SB è invece ricco di mezzi ma povero di capacità politiche e quindi la rivoluzione liberale è rimasta lettera morta a causa dei limiti dell’uomo. Anche qui non sono titolato nel confronto tra i due, ma se guardo ai risultati della storia professionale (e sportiva) dei due, non trovo motivi che confortino la tesi di questi ultimi.
Un’altra lettura consegna SB semplicemente alla storia criminale, ad una storia geneticamente e antropologicamente criminale, ma francamente se il confronto ha da essere tra uno cattivo e uno buono allora forse dovremmo cercare un santo. Non penso che LCdM voglia candidarsi a questo.
C’è infine una quarta lettura, che al di là delle (presunte) intenzioni e capacità porta all’analisi sugli interessi e sulle forze (sociali) in campo. SB ha in primo luogo rappresentato se stesso ed i propri interessi, aggregando strada facendo gli interessi di coloro che vivono direttamente (burocrazia) e indirettamente (operatori economici che come lui vivevano di mercati non aperti e liberalizzati) del potere politico. L’aggregazione degli altri interessi è sempre e solo stata strumentale, come lo dimostra la composizione del gruppo dirigente del centro-destra italiano.
Nell’equivoco che impresa significhi sempre mercato aperto e libertà, l’oligopolista e imprenditore “politico” SB riuscì ad accreditarsi come rappresentante di classi i cui interessi divergevano con quelli del capitalismo oligopolista e finanziario.
Questo è un errore che non va ripetuto. SB non poteva (e tanto meno voleva) realizzare alcuna rivoluzione liberale poichè semplicemente contraria ai suoi interessi (e a quelli dei poteri forti suoi alleati).  Ancora una volta le parole, i mitici “contenuti”, altro non sono stati che il mezzo per affermare un “contenitore” al potere. E l’affermazione del contenitore, e non dei contenuti, si è dimostrata l’essenza della politica. E allora non servono “nuovi” gruppi dirigenti ma gruppi dirigenti capaci di portare avanti interessi fino ad oggi subalterni e perdenti.
Simmetrico al caso SB fu l’esperienza del centro-sinistra, dove la lotta per la conquista del centro obbligò all’adozione di parole d’ordine liberali, sacrificate poi puntualmente agli interessi degli azionisti di riferimento del centro-sinistra (dipendenti pubblici, sindacati e gruppi finanziario-industriali “amici”).
Queste rapida e succinta analisi sull’esperienza berlusconiana e ulivista è coerente con le tesi sopra esposte. Si può approfondire il tema (e spero che altri più autorevoli di me lo facciano) ma la mia convinzione è che l’attenzione vera e massima oggi vada posta sulla costruzione del contenitore e non in una (spesso vuota e strumentale) enunciazione dei contenuti. Il “contenitore” dovrà poggiare su valori e idee forti e precisi, ma soprattutto su interessi chiari e trasparenti, e su processi “in chiaro” di costruzione del gruppo dirigente. E, se non fosse chiaro, gli interessi rappresentati devono essere quelli di chi o per scelta o per necessità oggi vive operando su mercati aperti e competitivi con il valore delle proprie competenze ed esperienze, quello che si direbbe merito. Costoro hanno l’interesse vero e duraturo ad una rivoluzione liberale; non certo gli imprenditori ed i finanzieri che nel connubio con la politica hanno fatto e mantengono le proprie fortune. E conseguentemente dalle classi sociali dominate dovranno emergere e crescere i quadri e dirigenti di un futuro movimento liberale e libertario.
Almeno, questa la mia idea ... in attesa che LCdM mi spieghi perchè lui e la sua “cosa” dovrebbero riuscirci contro tutte le esperienze del passato.

Carlo Annoni
16 giugno 2012

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