Sergio Romano
Corriere della Sera
15 maggio 2011
Per consolare il lettore, dopo alcuni spettacoli offerti dalla classe politica negli scorsi giorni, posso dire soltanto che non ricordo elezioni locali a cui non sia stata attribuita una valenza politica.
Predichiamo bene cercando di ricordare a noi stessi che i candidati andrebbero scelti sulla base delle loro capacità amministrative e organizzative. Ma razzoliamo male lasciandoci influenzare da criteri di lealtà e appartenenza. Nulla di nuovo quindi. Anche questa volta l'assordante rumore della politica ha soffocato qualsiasi confronto di idee e di progetti. Ma due circostanze hanno reso l'atmosfera più surriscaldata e l'aria più irrespirabile.
La prima è il clima politico del Paese. Le elezioni hanno coinciso con una delle fasi più litigiose della politica nazionale. Non è facile votare spassionatamente per un sindaco o un consiglio municipale quando la maggioranza e l'opposizione si comportano come se fossero in guerra e sembrano andare continuamente a caccia di temi su cui alzare il volume e dividere maggiormente il Paese. Parafrasando Indro Montanelli non dovremmo, per conservare un po' di buon senso e di equilibrio, turarci il naso ma tapparci le orecchie.
La seconda circostanza, direttamente collegata alla prima, è la decisione del presidente del Consiglio di trasformare queste elezioni in un referendum sulla sua persona. In linea di principio, nulla da eccepire. Tutte le divergenze, da quelle sulla riforma giudiziaria a quelle sulla composizione della maggioranza, ruotano intorno alla personalità e ai casi di Silvio Berlusconi. Tutti i progetti di legge vengono letti e scrutati alla luce degli effetti che potrebbero avere sul presidente del Consiglio. Persino le condizioni della economia sono buone o pessime a seconda delle simpatie politiche di chi le giudica. Se la materia del contendere è Berlusconi non sorprende che un uomo battagliero e coraggioso (due caratteristiche che gli vanno riconosciute) abbia colto l'occasione per mettere se stesso al centro della scena politica e chiedere un voto popolare di fiducia. L'opposizione, dal canto suo, non poteva che accettare la sfida e giocare la partita con le stesse regole dell'avversario. Il risultato, tuttavia, è una campagna elettorale in cui i temi della contrapposizione politica hanno offuscato quelli della buona amministrazione e in cui sono state fatte promesse che sarebbe stato meglio non fare. Non ci è stato chiesto di giudicare se un programma era meglio dell'altro. Ci è stato chiesto di dire col voto se siamo berlusconiani o antiberlusconiani.
Dovremmo evitare che questo accada là dove vi sarà un secondo turno. Vi saranno allora due candidati. Non chiediamo a ciascuno di essi che cosa pensi di Berlusconi e delle sue vicende giudiziarie. Chiediamo piuttosto a entrambi che cosa intendano fare per migliorare la vita delle loro città. Dopo tutto è per questo che andiamo a votare.
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