Nuova riflessione di Giovanni Palladino, Presidente del Centro Internazionale Studi Sturzo, sull'attualità ed attuabilità del pensiero di don Luigi Sturzo.
INDICE
1. Un esame di coscienza mai fatto
2. Non perdere mai il contatto con gli ideali
3. Se il senso del divino manca, tutto si deturpa
4. L’Italia colpita da una deformazione culturale
5. Senza la morale, la libertà precipita nella licenza
6. La lunga gestazione dell’Appello “ai liberi e forti”
7. L’influsso di Leone XIII
8. L’errore dello Stato arbitro e giocatore
9. I valori fondamentali dei “liberi e forti”
10. Valori cristiani e liberali
11. L’utopia di una società cristiana e socialista
12. Il popolarismo sturziano non è solo attuale, ma anche attuabile
13. La funzione pedagogica del pensiero sturziano
(da http://www.centrosturzo.it)
1. UN ESAME DI COSCIENZA MAI FATTO
Il 12 novembre 1992 veniva inaugurato a Caltagirone in Piazza Marconi un monumento a Don Luigi Sturzo, pro-sindaco della città dal 1905 al 1920. Per l’occasione il Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, inviò il seguente telegramma:
“Signor Sindaco, lo sa Iddio semi costa non essere con Voi alla inaugurazione del monumento che ricorda Don Luigi Sturzo. È dinanzi a noi, vivo, questo grande Prete, che fu sempre e soprattutto Prete:
Prete nella sua assidua e fedele vita di preghiera; Prete nella sua missione di totale dedizione agli altri; Prete nel consumarsi per i diritti dell’uomo, privilegiando sempre i più poveri, i più abbandonati,
i più sofferenti per la giustizia. Fu ed è Maestro, maestro nel nome di Dio; maestro di verità, testimoniata ad ogni costo; maestro di giustizia, proclamata in faccia ai potenti e ai prepotenti; maestro di libertà, figlia della verità.
Per questi valori spese ogni giorno della sua vita, ogni palpito del suo cuore di uomo e di Sacerdote. E fu maestro nell’insegnare ai cattolici il dovere di interessarsi della cosa pubblica, il dovere di impegnarsi di persona, il dovere di testimoniare i principi cristiani anche nella politica, il dovere di servire,mai di dominare, di saper amare, mai di seminare divisione e odio.
E fu statista, se statista vuol dire avere visione strategica della vita del proprio popolo; statista, se vuol dire avere dello Stato una limpida concezione laica, come della casa di tutti; statista, se vuol dire avere, insegnare e vivere il senso dello Stato, che è il senso degli altri, della libertà, della giustizia anzitutto per gli altri.
Solo pensando a Sturzo si è spinti, si deve essere spinti a un profondo esame di coscienza. Studiarlo, meditarlo, amarlo, seguirlo: questo è il vero monumento a Don Luigi Sturzo”.
È un messaggio molto bello, ma l’amara verità è che gran parte dei cattolici in politica non hanno studiato, non hanno meditato, non hanno amato, non hanno seguito il pensiero e l’azione del fondatore del Partito Popolare Italiano. E non hanno fatto alcun “profondo esame di coscienza”. Lo dimostra quanto avvenuto prima e dopo il messaggio di Scalfaro.
Nei tre decenni antecedenti al 1992 abbiamo visto la schiacciante vittoria - tanto temuta da Sturzo - delle tre “malebestie”: lo statalismo, la partitocrazia e l’abuso del denaro pubblico. Una vittoria realizzata attraverso lo Stato imprenditore, un ruolo che Sturzo giudicava improprio e pericoloso, ma ritenuto normale - ancora nel 1985 – da Romano Prodi1.
Dopo, nel gennaio del 1994, abbiamo assistito ad una “scorrettezza politica e storica”2 con il cambiamento del nome della DC in PPI, e nel marzo del 2002 alla fine del secondo PPI, ma con la promessa di mantenere vivi i valori del popolarismo sturziano.
La verità è che questi valori non sonomai statimantenuti vivi dal vertice della DC e in particolare dalla sua ala sinistra, che con coerenza non ha mai portato il pensiero di Don Sturzo alla base del partito, nè ha fatto una politica ispirata dal popolarismo. Tanto che di recente Savino Pezzotta ha dichiarato che non ha intenzione di entrare nel nuovo Partito Democratico, perchè questo non hamatrice sturziana.
Negli anni 50 il fondatore del PPI levò centinaia di volte la sua voce contro l’apertura a sinistra da parte della DC, perchè temeva la concorrenza sleale e costosa dello Stato imprenditore (sleale nei confronti del settore privato e costosa per l’Erario), temeva il dilagare della corruzione politica, lo strapotere dei sindacati (coniò la parola “sindacatocrazia”) e la perdita del potere d’acquisto della lira. Ma soprattutto temeva la scristianizzazione del Paese, con la ragione morale calpestata dalla ragione politica ed economica.
Giustamente nel 1992 Scalfaro affermò che Sturzo aveva “una limpida concezione laica” dello Stato, come d’altronde era laica anche la concezione del PPI, che doveva essere aconfessionale. Ma il sacerdote di Caltagirone, in nome del suo “apostolato” nel mondo politico, non rinunciò mai all’idea che il suo partito dovesse avere una salda e coerente ispirazione cristiana.
2. NON PERDEREMAI IL CONTATTO CON GLI IDEALI
Il 20 settembre 1946, due settimane dopo il suo ritorno in Italia da un esilio durato ben 22 anni, nel rispondere all’indirizzo di saluto dei membri del Consiglio Nazionale della DC, Sturzo affermò:
“C’è qualcosa che dipende da voi e qualcosa che dipende dagli eventi. Da voi dipende la fermezza nei principi e la fedeltà allo spirito della Democrazia Cristiana che deve vivificare tutta l’azione politica e sociale (...). Non mirate al puro successo materiale. Quando vi sono ostacoli, vanno prese iniziative per irrobustire lo spirito, al di sopra degli elementi tecnici e pratici della vita politica. Su questo punto occorre rifarsi al Vangelo, che ci ammonisce di essere distaccati dai mezzi materiali, non per schivare il lavoro in una fiducia passiva nella Provvidenza, ma per non perdere mai il contatto con gli ideali. “Cercate il regno di Dio ed il resto vi sarà dato”. Gli ideali su cui fondare ogni sana azione politica sono la giustizia e la libertà; giustizia e libertà sono gli ideali della Democrazia Cristiana”.
Circa un mese dopo, il 18 ottobre 1946, egli scriveva:
“La Democrazia Cristiana ha un compito di eccezionale importanza in tutta l’Europa. Ma occorre che prenda coscienza della sua funzione di centro fra la reazione e la rivoluzione; bisogna che sul terreno pratico non tema di essere ardita nel rivendicare i diritti del lavoro e di avere allo stesso tempo il coraggio di far rispettare i limiti della giustizia individuale e sociale. Non si faccia trascinare da improvvisazioni economiche, come quelle delle nazionalizzazioni. Che sappia resistere alla demagogia di sinistra e sappia rompere la resistenza degli egoismi in tutti i settori. (...) La lotta contro gli egoismi individuali, nazionalistici, di classe, di razza è la lottacristiana, è la nostra lotta”.
Ma fu poi il populismo di Stato a prevalere. Come ha potuto la DC cadere in questa trappola? Quale è stata la vera causa della sua fine?
All’origine vi è certamente stato il mancato ascolto di un prezioso consiglio di Luigi Sturzo:
“Occorre rifarsi al Vangelo (...) per non perdere il contatto con gli ideali (...) giustizia e libertà sono gli ideali della Democrazia Cristiana”.
È stato un grave errore ritenere che la vera giustizia e la vera libertà si potessero acquisire con l’apertura a sinistra, cioè con l’apertura a tante idee socialiste e stataliste, idee “fuori mercato” in una società moderna, tanto che sono poi state espulse anche dalla loro “patria” (Russia e Cina). Quell’errore ha favorito in Italia un progressivo intreccio immorale tra politica ed economia, creando una vera epropria “armonia” di interessi tra parlamento, partiti e imprese (soprattutto del settore pubblico). Questa immorale e antieconomica “armonia” ha causato gravissimi squilibri in Italia.
3. SE IL SENSO DEL DIVINO MANCA, TUTTO SI DETURPA
Per la DC è quindi stato fatale non ascoltare i consigli e gli ammonimenti sturziani negli anni 50 e ancor più averli dimenticati nei decenni successivi, quando Sturzo ha subìto un secondo esilio, un esilio di tipo culturale, dopo l’esilio fisico sofferto a causa del fascismo.
E per Sturzo questo secondo esilio deve essere stato più amaro del primo. Perchè era un esilio imposto da uomini, che avrebbero dovuto avere la stessa fede dell’esiliato, una fede maestra di vita che andava praticata nel concreto della vita politica.
Eppure Luigi Sturzo ritornava spesso sull’importanza di testimoniare la fede cristiana nell’azione politica, di tradurla in fatti coerenti con essa. Significativo un suo alto messaggio del 1956:
“La missione del cattolico in ogni attività umana, politica, economica, scientifica, artistica, tecnica è tutta impregnata di ideali superiori, perchè in tutto ci si riflette il divino. Se questo senso del divino manca, tutto si deturpa: la politica diviene mezzo di arricchimento, l’economia arriva al furto e alla truffa, la scienza si applica ai forni di Dachau, la filosofia al materialismo e al marxismo, l’arte decade nel meretricio (...).
C’è chi pensa che la politica sia un’arte che si apprende senza preparazione, si esercita senza competenza, si attua con furberia. È anche opinione diffusa che alla politica non si applichi lamorale comune, e si parla spesso di due morali, quella dei rapporti privati, e l’altra (che non sarebbe morale né moralizzabile) della vita pubblica. Ma la mia esperienza lunga e penosa mi fa concepire la politica come saturata di eticità, ispirata all’amore del prossimo, resa nobile dalla finalità del bene comune. Se è vero che “vexatio dat intellectum”, è anche vero che Cristo non venne al mondo per darci
una pace nel male; ma ci ha dato, con la lotta e la vittoria sul mondo, quella vittoria che egli ottenne con il suo sacriflcio: “Ego vici mundum”. Egli ci dà le grazie nel campo dello spirito ai fini soprannaturali. Egli ci agevola il compito nel campo delle attività naturali, se vissute nella fede; la vittoria della verità sull’ignoranza; la vittoria della speranza sulla disperazione; la vittoria dell’amoresull’egoismo. Ecco la via dell’oggi e del domani, del cristiano che vuole essere democratico e del democratico che applica seriamente alla politica l’ideale cristiano”.
La DC si è frantumata, perchè è mancata la sua vera ragione d’essere, ossia la seria applicazione dell’ideale cristiano alla politica. È mancato quel “soffio etico-religioso”, che doveva essere sempre presente in chi aveva accettato l’onore e si era assunto l’onere di fare politica in un partito che si definiva cristiano.
4. L’ITALIA COLPITA DA UNA DEFORMAZIONE CULTURALE
I valori cristiani sono essenzialmente valori liberali (nel senso moderno del termine), non valori socialisti. Eppure i democristiani di sinistra hanno avuto più fiducia in questi che non in quelli. Sturzo lo faceva notare con grande anticipo il 10 giugno 1954:
“Una deformazione culturale marxista è penetrata nella mente di parecchi. È il linguaggio anti-borghese che si trova in fogli e foglietti cattolici. L’antitesi “proletariato e borghesia” è di marca marxista. Non era mai penetrata fra i cattolici, che dai tempi della Rerum Novarum hanno sempre sostenuto la struttura interclassista della società, come teoria eminentemente cristiana, fondata sulla natura, l’unica teoria che può comportare l’esercizio delle libertà nella società civile e politica.
La convivenza interclassista vuol dire cooperazione e comprende l’elevazione delle classi del lavoro ad un migliore livello economico, mai l’abbassamento delle altre. Gli esempi sono evidenti: negli Stati Uniti esiste la collaborazione, non la lotta di classe, esiste la tendenza al maggior benessere di tutti.
Auguro un largo dibattito su questi appunti. Vorrei essere smentito dagli amici e anche da coloro che ormai si sono abituati a guardarmi più che come un criticoma amico, come un quasi avversario.
Questo stato d’animo si rileva anche in provincia fra coloro della DC, delle ACLI e della CISL che sono accusati di destrismo da parte di quanti si credono gli autentici e titolati difensori degli operai. La radice della disarmonia fra i cattolici sta proprio qui. Se ne avvantaggerà il comunismo, se non si ascolta la voce ammonitrice che incita all’unione”.6
Parole profetiche, perchè nel 1976 il PCI raggiunse l’apice della sua ascesa con il 35%dei voti e fra i democristiani di sinistra vi era chi riteneva ormai ineluttabile la vittoria del comunismo a livello mondiale.
Enrico Berlinguer iniziò allora a parlare di “questione morale”, pur continuando a ricevere i soldi da Mosca e dalle coop rosse e nell’immaginario collettivo divenne un eroe della democrazia pulita.
5. SENZA LAMORALE, LA LIBERTA’ PRECIPITA NELLA LICENZA
Ma Don Sturzo ha parlato per circa 70 anni - con costante coerenza - di unione inscindibile fra politica e morale. E la DC, incredibile a dirsi, non lo ha mai preso come suo solido punto di riferimento. Ma non poteva farlo, perchè aveva ormai tradito l’insegnamento sturziano.
Nel 1989, in un momento di onestà intellettuale, De Mita affermò:
“La DC ha un grande peccato. Il suo retroterra culturale è il popolarismo di Don Sturzo, ma la nostra gestione del potere è in contraddizione con questo insegnamento”. Ma quale sarebbe dovuta essere la funzione della DC per il fondatore del PPI? È ben sintetizzata in questi chiari concetti:
“La Democrazia Cristiana ha tre caratteristiche incancellablli: è partito sociale interclassista e non partito di una sola classe; è partito di centro e non di destra o di sinistra; è un partito politico a carattere morale, perciò cristiano, in quanto vuole restaurare nella vita pubblica la morale, senza la quale la democrazia non regge e la libertà precipita nella licenza. Un manipolo convinto e forte vale più di un esercito numeroso ma incerto che, piegando ora a destra ora a sinistra, non mantiene le posizioni. A voi l’augurio di essere un manipolo forte della Democrazia Cristiana”.7
E che dire della sua costante difesa della “buona economia”? Il 14 aprile 1953 quando lo Stato imprenditore era ancora un “peso mosca”, Don Sturzo lanciava il seguente allarme nel messaggio di saluto all’Assemblea della Confcommercio:
“La libertà economica e il rispetto dell’iniziativa privata devono essere messi alla base delle attività confederali, cercando di non fare accrescere ancora di più la pressione statalista.Questa è arrivata, secondo me, ad un limite tale da essere ritenuta non più regolatrice, ma turbatrice delle attività produttive. È per questo motivo che ogni invocazione allo Stato, perchè intervenga e legiferi, deve essere contenuta solo a casi strettamente necessari. La vita economica italiana ha bisogno del respiro della libertà”.
È davvero incredibile che, di fronte a tanta saggezza e fermezza, gli avversari di Don Sturzo parlassero di “un uomo che ormai viveva fuori dai tempi moderni” o, peggio, “di un vecchio rimbambito dal soggiorno negli Stati Uniti”. Un giudizio molto più giusto e intelligente fu invece dato da Luigi Einaudi, che in una delle sue famose “Prediche inutili” scrisse:
“Don Sturzo è contrario alle idee che combatte non tanto perché sono ragione di danno economico, ma soprattutto perchè corrompono la società politica, immiseriscono gli uomini, condannano alla tirannia e alla immoralità”.
Per il sacerdote di Caltagirone la ragionemorale doveva avere la precedenza sulla ragione politica e sulla ragione economica. Era convinto che la democrazia senza morale non potesse considerarsi vera
democrazia e che l’economia senza etica fosse in realtà una diseconomia, ossia un fattore di istruzione della ricchezza, anzichè di creazione. Sono tutti concetti di straordinaria attualità.
6. LA LUNGA GESTAZIONE DELL’APPELLO “AI LIBERI E FORTI”
Siamo convinti, come Sturzo, che l’Italia potrà avere un buon governo, quando questo sarà sostenuto da una buona cultura. Dopo tanto populismo di Stato, è tempo che si realizzi il popolarismo sturziano fondato su valori autenticamente cristiani e liberali, valori che sappiano responsabilizzare la classe dirigente e i cittadini per rendere questi davvero “liberi e forti”. La buona cultura è di fondamentale
importanza. La lunga gestazione del famoso appello sturziano del 18 gennaio 1919 “a tutti gli uomini liberi e forti” dimostra come sia necessaria una solida base di principi e di valori che resista nel tempo.
Il 25 maggio 1902 nel commemorare l’11° anniversario della “Rerum Novarum”, Sturzo metteva in rilievo quanto fosse importante un legame autentico fra religione e politica, pur nel rispetto della piena autonomia di entrambe. Secondo il giovane Sturzo (aveva allora 31 anni) un movimento o un partito politico di ispirazione cristiana, se veramente ispirato dal Vangelo, avrebbe potuto realizzare meglio gli ideali di libertà e di giustizia insiti, rispettivamente, nel liberalismo e nel socialismo. Per il liberalismo la libertà era di pochi e non di tutti; per il socialismo realizzare la giustizia sociale richiedeva l’odio e il conflitto fra le classi. I due sistemi ritenevano la religione come espulsa dalla società. Ma per Sturzo era soprattutto l’amore diDio che poteva consolidare l’amore del prossimo; l’ispirazione cristiana era quindi indispensabile per favorire la libertà di tutti e la giustizia per tutti.
Ne consegue che per lui il cristianesimo doveva compiere una missione sociale. In coerenza con questa convinzione, il suo sacerdozio si sarebbe poi rivelato come un vero e proprio apostolato politico, come d’altronde “pretendeva” Leone XII, che invitava il clero a “uscire dal chiuso delle sacrestie”
7. L’INFLUSSO DI LEONE XIII
Nel 1897, a 26 anni, Don Sturzo fondò La Croce di Costantino, il giornale cattolico di Caltagirone che aveva come obiettivo la crescita morale, culturale e materiale dei più deboli, ossia della maggioranza della popolazione di quell’epoca. Sulla testata del giornale era impressa la seguente riflessione di Leone XIII:
“Non si può negare l’esistenza di un movimento democratico universale, che sarà - secondo lo zelo che noi impiegheremo – socialista o cristiano”.
Rivolgendosi ai cattolici, Leone XIII si preoccupava che le nascenti democrazie - dopo secoli di governi autocratici e aristocratici – non fossero dominate dal socialismo. La Rerum Novarum del 1891 fu la risposta al messaggio rivoluzionario di Marx, che istigava all’odio di classe e che dava un ruolo dominante allo Stato. Questo doveva essere il vero centro del sistema, con la persona umana in posizione subalterna, in pratica al servizio dello Stato, ossia al servizio degli uomini di Stato, diventando così sudditi anzichè cittadini.
Leone XIII, invece, auspicava che la “rivoluzione” della democrazia fosse guidata e gestita da forze politiche, che si ispirassero ai valori cristiani. Questi, se testimoniati e applicati bene, avrebbero potuto garantire l’armonia fra le classi, sino a creare nel tempo una classe sola, perchè Dio non ha creato gli esseri umani per dividerli in classi.
I valori cristiani pongono la persona in posizione preminente, al centro del sistema, con lo Stato al servizio del cittadino e non viceversa. Pertanto, l’antistatalismo di Don Sturzo ha origine innanzitutto da motivazioni di carattere morale: lo Stato al centro del sistema è una mostruosità immorale, perchè umilia la dignità dell’uomo, creato per essere protagonista e libero, soggetto soltanto alla propria coscienza e non ai diktat di uno Stato tuttofare. È dalla immoralità della violazione di una legge naturale (l’uomo prima di tutto) che poi discendono conseguenze negative di tipo politico, economico e sociale. La sintetica e incisiva espressione di Leone XIII in difesa e promozione dell’iniziativa privata e quindi della proprietà privata (“Tutti proprietari, non tutti proletari”) rimase impressa nella mente di Don Sturzo, che agì per tutta la sua vita in piena coerenza con questo principio-guida. Un principio espresso con soltanto cinque parole, che abbattevano d’un colpo il monumentale impianto dottrinale di Marx.
Fu Luigi Sturzo, in piena sintonia di pensiero con Luigi Einaudi, a coniare negli anni ‘50 la parola “statalismo”, che voleva dire “degenerazione dello Stato”. Per lui lo statalismo era la prima “malabestia”, che avrebbe poi nutrito le altre due “malebestie”: la partitocrazia e l’abuso del denaro pubblico.
“L’errore fondamentale dello statalismo - scriveva Don Sturzo – è quello di affidare allo Stato attività a scopo produttivo, connesse ad un vincolismo economico che soffoca la libertà dell’iniziativa privata. Trasferire il capitale privato allo Stato e farlo operare nei larghi settori dell’industria porta danno al Paese, alla sua economia e alla stessa classe operaia. (...) Lo statalismo fa la parte del riccio, entra nel buco con le spine abbassate e poi le va alzando via via per farsi quanto più largo possibile”.
8. L’ERRORE DELLO STATO ARBITRO E GIOCATORE
Pertanto, sin dalla sua gioventù - grazie all’influsso di Leone XIII - Don Sturzo aveva ben chiaro il seguente principio-guida: non si può favorire lo sviluppo di una società civile, se a prevalere è lo Stato panteista, lo Stato “factotum”, lo Stato tanto sottilmente manipolatore delle menti dei suoi sudditi che pone a parole molta più enfasi sui diritti anzichè sui doveri. Propaganda soprattutto il diritto di stare bene, anzichè il dovere di darsi da fare per stare bene. In sintesi, lo Stato panteista dice ai suoi sudditi: fidatevi di me, ci penso io a farvi stare bene, perchè io sono arbitro e giocatore, giudice e parte in causa, impegnato sia a regolare il traffico che a “fare traffico”.
Questo messaggio suadente è quanto di più diseducante si possa immaginare per la persona umana, che è invece chiamata a vivere responsabilmente, cioè a fare un buon uso del bene più prezioso di cui dispone: la libertà. Buon uso, perchè nel concetto di libertà è implicita la più pericolosa delle libertà: la libertà di sbagliare. Libertà pericolosa,ma necessaria al dispiegarsi del processo dialettico
del bene e delmale di cui è fatta (e continuerà sempre ad essere fatta) la storia dell’umanità. Infatti, se l’uomo non avesse anche la libertà di sbagliare, non sarebbe veramente libero e le sue scelte responsabili non avrebbero valore nè merito.
9. I VALORI FONDAMENTALI DEI “LIBERI E FORTI”
Ebbene, logica, buon senso e ormai anche l’esperienza storica ci dicono che non è possibile educare le persone all’uso responsabile della libertà, se nella società manca il consenso sulla validità di alcuni valori fondamentali, indispensabili per creare un popolo di “liberi e forti”. Elenco una serie di convinzioni di Don Sturzo dalle quali emergono questi valori da condividere nella società:
a) un sistema democratico diventa forte e stabile soltanto se alla democrazia politica si affianca una diffusa democrazia economica;
b) la democrazia economica è tanto più diffusa quanto più è diffuso il diritto di proprietà privata che è un diritto naturale dell’uomo e in quanto tale non può essere ostacolato, ma semmai favorito in tutti i modi da chi governa (da ciò discende che la dottrina marxista è contro l’uomo, perchè è contro natura);
c) proprietà privata non significa soltanto possedere un pezzo di terra o la casa d’abitazione o beni di consumo durevole, ma significaanche partecipare direttamente o indirettamente alla proprietà dei mezzi di produzione dell’economia; il che vuol dire essere tutti coinvolti e cointeressati alla salute dell’economia;
d) per promuovere nei fatti e non a parole l’iniziativa privata (e quindi la proprietà privata) è necessario valorizzare la cultura del rischio produttivo, cultura ben diversa da quella del rischio puramente speculativo o delle scommesse;
e) valorizzare la cultura del rischio produttivo significa innanzitutto dare prestigio sociale a chi ha la capacità di creare ricchezza per sè e per gli altri, ossia a chi ha la capacità di fare impresa e di saper rischiare;
f) dare prestigio sociale all’imprenditore (e non discredito sociale come spesso è avvenuto in Italia) significa diffondere una moderna cultura del profitto, che non va demonizzato, perchè dalla sua esistenza dipende la salute di tutto il sistema economico;
g) non può esistere una buona cultura del profitto, se non è curata la cultura della trasparenza che a sua volta esige un sistema fiscale intelligente, capace di stimolare la trasparenza.
A proposito di fisco, è importante ricordare che Leone XIII, nel lontano 1891, esprimeva questo profetico concetto nella Rerum Novarum:
“L’inviolabilità del diritto di proprietà è indispensabile per la soluzione pratica ed efficace della questione operaia. Pertanto le leggi devono favorire questo diritto e fare in modo che cresca il più possibile il numero dei proprietari. Di qui risulterebbero grandi vantaggi: in primo luogo una più equa ripartizione della ricchezza nazionale. (...) Si avverta peraltro che tali vantaggi dipendono da questa condizione: che la proprietà privata non venga stremata da imposte eccessive. Il diritto della proprietà privata, derivando non da legge umana, ma da quella naturale, lo Stato non
può annientarlo, ma solamente temperarne l’uso ed armonizzarlo con il bene comune, ed è ingiustizia ed inumanità esigere dai privati, sotto nome d’imposte, più del dovuto”.
Questo ammonimento veniva pronunciato quando una piccola minoranza di italiani pagava le imposte, perchè tutti gli altri erano così poveri da non avere un reddito imponibile per il fisco. Eppure il Papa già prevedeva la diffusione del benessere e metteva in guardia dal fisco rapace, figlio legittimo dello statalismo.
10. VALORI CRISTIANI E LIBERALI
È opportuno riassumere i valori fondamentali di una società civile e responsabile, con la Persona - e non lo Stato - al centro del sistema:
a) la democrazia politica deve essere affiancata da una diffusa democrazia economica (è il valore del capitalismo popolare o partecipativo);
b) ciò richiede una larga diffusione del diritto di proprietà (è il valore della proprietà privata);
c) per diventare proprietari c’è bisogno di grande capacità d’iniziativa (è il valore dell’iniziativa privata);
d) non si può avere iniziativa, se non si coltiva la cultura del rischio (è il valore del rischio che educa e rende responsabili);
e) iniziativa e rischio vanno giustamente remunerati, se producono benessere diffuso (è il valore economico del profitto);
f) l’imprenditore merita rispetto e prestigio sociale come principale creatore di ricchezza e di occupazione (è il valore sociale dell’impresa);
g) il profitto viene ben coltivato là dove è valorizzata la trasparenza, anche in virtù di un sistema fiscale giusto, non oppressivo (è il valore civile della trasparenza).
Ovviamente a questi valori va aggiunto il valore più importante, che è il valore della moralità, senza del quale tutti gli altri valori sono incapaci di creare l’utile sociale, che è il conseguimento del bene comune, concetto ben diverso dal bene “comunista”, bene che nella realtà non è mai esistito, nè esisterà mai.
Sono tutti valori cristiani e liberali, perchè responsabilizzano al buon uso della libertà, agevolano il nostro moto verso la razionalità. Cosa vuol dire “moto verso la razionalità?” Per Don Sturzo significa tendere verso comportamenti morali. La moralità non è altro che la razionalità dell’agire. Ne consegue che una persona morale è razionale, mentre una persona immorale è irrazionale. A lungo andare una società, che non considera come un valore fondamentale, essenziale, l’integrità morale dei suoi protagonisti, è destinata a crollare. Non può reggere all’urto dell’irrazionalità.
11. L’UTOPIA DI UNA SOCIETÀ CRISTIANA E SOCIALISTA
Ebbene, i suddetti valori cristiani e liberali sono stati ben coltivati in Italia? La risposta è scontata: sono stati coltivati malissimo. Anzi, in certi periodi, sono stati rifiutati. Non dobbiamo quindi sorprenderci se sia fallito l’utopistico tentativo di creare nel Paese una società cristiana e socialista in presenza di una conflittualità permanente fra due culture diverse e antagoniste. Il tentativo è fallito perché queste due culture non potevano avere valori comuni.
Ma in realtà la vera causa del fallimento è da imputare a chi – dovendo promuovere i valori cristiani e liberali del proprio patrimonio culturale - ha poi finito per rinnegare questi valori e si è appiattito sulla cultura del tutto opposta dell’alleato-antagonista, ossia del PSI (alleato di nome,ma antagonista di fatto). Per questo Don Sturzo era così tenacemente contrario all’apertura della DC a sinistra. Vedeva chiaramente i danni morali, politici ed economici che un’alleanza con i socialisti avrebbe causato all’Italia.
Nel 1952 egli scriveva: “I semi dello statalismo sono stati diffusi in Italia da oltre mezzo secolo come una gramigna mentale e sentimentale. Nel campo economico possiamo affermare che nessun altro paese libero ha creato tanti vincoli all’iniziativa privata come l’Italia, e per controbilanciare questi vincoli, in nessun paese libero sono stati sviluppati come in Italia monopoli privati e pubblici. Ho letto più volte che è un errore, nel procedere a riforme sociali, preoccuparsi delle leggi economiche, delle quali si arriva a negare la validità e l’importanza. Ma i riformatori sociali dovrebbero essere i primi ad esigere il rispetto delle leggi economiche.Quanta più garanzia dello Stato si dà, tanto più diminuisce nei gestori il senso del rischio”.
Sei anni dopo, nel 1958, Don Sturzo scriveva: “Sarò ascoltato? Purtroppo nella mente dei dirigenti della politica io assumo la figura dell’avversario che sferza e non del critico che coopera e neanche del medico che diagnostica malattia e ne prescrive la cura”.
Nel 1958, quando Don Sturzo faceva queste amare riflessioni, la lira era forte, la Borsa diMilano si trovava sui massimi storici, il “miracolo economico” era una realtà, lo Stato imprenditore e assistenziale era ancora un peso mosca, il fisco non era oppressivo, l’iniziativa privata era rispettata, il profitto non era ancora demonizzato, il sindacato non si era ancora trasformato in sindacatocrazia.
Ebbene, la grandezza di Luigi Sturzo sta proprio in questo: egli non guardava tanto alla cronaca del momento, che spesso è fuorviante, quanto ai movimenti dietro le quinte e li giudicava con la sua grande “capacità di visione” resa possibile dal suo eccezionale patrimonio di valori e di principi. Negli anni ‘50, dietro le quinte della DC, egli vedeva una gran voglia di interventismo statale, di demagogico populismo e di ricerca del potere per il potere, il tutto architettato da uomini politici che - pur professandosi cattolici – davano l’impressione di non aver mai letto le Encicliche Sociali da Leone XIII in poi.
Oggi la gramigna è sotto gli occhi di tutti, ed è una gramigna molto più diffusa e dannosa di quanto Don Sturzo avesse mai potuto immaginare. Egli considerava lo Stato come l’organizzazione politica della società, al servizio della società. Organizzazione politica, non economica (“lo Stato non è capace di gestire neppure una bottega da ciabattino”).Ma i partiti hanno voluto che lo Stato diventasse imprenditore, banchiere e assicuratore. Abbiamo così dovuto subire lo sviluppo di una organizzazione di arricchimento illecito: purtroppo molti uomini appartenenti a partiti, sindacati, ministeri, esercito, guardia di finanza, magistratura, cooperative, imprese pubbliche e private hanno sfruttato e “bucato” lo Stato come se fosse un ente di loro proprietà.
Don Sturzo sosteneva che quanto più lo Stato è leggero, tanto più è serio e forte. Stato pesante è invece sinonimo di mille funzioni, di mille impegni, di tanta voglia di invadere la società civile, violando il principio di sussidarietà ideato da Pio XI nella “Quadragesimo Anno” del 1931 e poi fatto proprio dal Trattato di Maastricht nel 1992.
Quanto minore debito pubblico, quanta minore corruzione e quanta maggiore giustizia sociale oggi avremmo , se le tante verità della Dottrina Sociale della Chiesa fossero state capite e applicate dagli anni ’50 in poi!
12. IL POPOLARISMO STURZIANO NON È SOLO ATTUALE,
MA ANCHE ATTUABILE
Il 20 febbraio 1954, in un discorso al Senato, Luigi Sturzo si soffermò sull’importanza di promuovere nel Paese una sana «cultura del rischio», ossia una cultura molto diversa da quella predicata a sinistra.
“Solo il rispetto per la libertà individuale ci libererà dalla fatale china di uno Stato che deve fare tutto, provvedere a tutto, rilevare tutte le iniziative e farle sue. Mi si domanda se possa dirsi “sociale” il rispetto dell’iniziativa privata, della responsabilità individuale, della cultura del rischio. Rispondo: è il solo sistema che indurrà la comunità ad affrontare i problemi che assillano il vivere in comune, perché concorrerà a elevare il tenore di vita e farà trovare i mezzi atti a risolvere i problemi sociali”.
In queste poche parole è ben sintetizzata la modernità del pensiero sturziano, una modernità che non teme l’erosione del tempo. Da allora si sono succeduti più di 50 governi alla guida dell’Italia, ma nessuno è mai riuscito a promuovere una politica economica che stimolasse seriamente i valori dell’iniziativa privata, della responsabilità e del rischio individuali. Vi sono invece state politiche economiche e fiscali, che hanno spesso umiliato questi fondamentali valori a favore della concorrenza costosa e sleale dello Stato imprenditore, dello Stato banchiere e dello Stato assicuratore, diseducando un intero popolo.
Ma ciò non significa che iniziativa privata, responsabilità individuale e cultura del rischio siano del tutto mancate in Italia. Significa che sono state esercitate in un ambiente spesso non adatto, perché privo delle giuste regole, dei necessari controlli, dei corretti comportamenti, della giusta mentalità a causa dell’ingombrante presenza dello Stato e della politica nell’economia.
La difficile situazione in cui si trova l’Italia ha pertanto origini lontane. Per questo oggi sembra più difficile effettuare la correzione di rotta. Ma ormai questa correzione non potrà tardare e dovrà seguire anche le moderne idee di un uomo nato 136 anni fa, idee che si fondano su principi e valori morali fissati 2000 anni fa nel libro più famoso del mondo, ma -purtroppo- un libro poco letto o poco capito.
Ci attende quindi una lunga stagione di riforme, capaci di ridare fiducia e senso della giusta direzione a imprenditori, lavoratori e risparmiatori.
Riforme (tutte attuabili in un nuovo clima politico e culturale) che ci dovranno dare:
- un sistema elettorale che favorisca la governabilità del Paese;
- una politica che difenda e favorisca l’integrità della famiglia naturale, nucleo fondamentale per una solida società civile, e misure fiscali di supporto alle famiglie numerose e bisognose;
– una Pubblica Amministrazione capace di fornire servizi e non disservizi;
– una Giustizia non solo giusta, ma anche veloce e con il divieto per i magistrati di dividersi in correnti politiche;
– un sistema scolastico dove il merito e la competizione fra insegnamento pubblico e privato siano riconosciuti e valorizzati;
– un Fisco orientato a favorire lo sviluppo dell’economia e non al freno o, peggio, al boicottaggio di questa;
– un mercato dei capitali popolato di imprese e di investitori, e non appesantito dalla presenza dello Stato debitore;
– un sistema di controllo delle imprese che favorisca la trasparenza e la buona gestione, decretando per sempre la fine dei “salotti” più o meno buoni;
– un sistema previdenziale misto, ossia di tipo pubblico e privato, ma con il settore privato destinato nel tempo ad assumere un peso crescente, soprattutto per i “liberi e forti”.
Significativa è la seguente affermazione tratta dall’ultimo libro scritto da mio padre nel 1994 (“Don Sturzo oggi”):
“Il popolarismo sturziano è il più grande patrimonio di idee che una moderna politica economica possa sfruttare. È un patrimonio che, nelle intenzioni più profonde di Don Sturzo, ci deve aiutare a migliorare noi stessi e quindi la società”.
Auguriamoci che una nuova, competente e onesta classe politica possa presto contribuire alla realizzazione di questo obiettivo. L’Italia che produce e che lavora seriamente lo merita da tempo!
13. LA FUNZIONE PEDAGOGICA DEL PENSIERO STURZIANO
In conclusione ci preme sottolineare la grande importanza che il fondatore del PPI poneva nella funzione pedagogica della buona politica. Egli credeva in una specie di processo di causa-effetto: la politica è utile se è buona, ed è tale se è sostenuta dalla buona cultura. Questa si acquisisce attraverso lo studio del vero e del bene, studio a cui il cristianesimo ha dato un decisivo contributo, anche se tanti uomini politici cristiani non lo hanno capito. La buona cultura è importante, anche perchè esiste (ed è spesso dominante) la cattiva cultura, che si potrebbe definire - per chi è in buona fede - come lo studio di ciò che si ritiene vero ed è invece falso, e come lo studio di ciò che si reputa un bene ed è invece un male.
Poichè gli esseri umani hanno ricevuto per diritto naturale il grande dono della libertà, sono liberi di seguire il bene e di seguire il male, di fare cose giuste e di fare errori. Come dire che la libertà può essere usata bene, cioè in modo responsabile, razionale, morale. E può essere usata male, cioè in modo irresponsabile, irrazionale, immorale. Quasi sempre il male e gli errori vengono fatti per mancanza di buona cultura o per abbondanza di cattiva cultura.
Ne consegue che per Luigi Sturzo una delle più importanti forme di istruzione era l’educazione al buon uso della libertà, compito da svolgere ovunque, nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e perfino nello svago. Ebbene per lui l’uso responsabile della libertà dipendeva in gran parte dal prevalere della buona cultura sulla cattiva cultura. Tutta la sua vita è stata un insegnamento e una testimonianza di buona cultura. Anche per questo egli merita che il suo esilio intellettuale finisca.
Tutti noi - a sinistra, al centro e a destra - ne abbiamo un gran bisogno.
Note:
(I)Nel corso di un Convegno su Don Sturzo organizzato a Bologna nel 1985 il Presidente dell’IRI,Romano Prodi, affermò: “Per quanto riguarda il ruolo dello Stato nell’economia, di sicuro noi non troviamo in Sturzo ricette di attualità e siamo colpiti dalla sua irriducibile diffidenza nei confronti di tale intervento”. Poi nel 1996, come Presidente del Consiglio, Prodi rinnegò quel“di sicuro”, avendo evidentemente capito le ragioni di quella“irriducibile diffidenza”, e varò l’era delle privatizzazioni.
(2)Giudizio del Prof. Giuseppe Palladino, esecutore testamentario di Don Sturzo, contenuto in una lettera del 23 novembre 1993 inviata all’On. Mino Martinazzoli e nella quale egli cercava di convincere il Segretario della DC a non riprendere il nome del partito fondato dal sacerdote di Caltagirone. Nel 1946 Don Sturzo, al ritorno dai suoi 22 anni di esilio, si definì“il capo di un partito disciolto”.
(3) “Politica di questi anni”- Zanichelli Editore (1954) - Opera Omnia -Vol. IX. A cura dell’Istituto Luigi Sturzo.
(4) Brano tratto da“I problemi dell’ora”di Luigi Sturzo, contenuto nell’opera citata AFICHE – ROMA
5) Brani tratti dalmessaggio al Circolo Luigi Sturzo di Napoli pubblicato su“Il Popolo del 16 dicembre 1956.
(6) Brani tratti da“I pericoli per l’unità dei cattolici”di Luigi Sturzo - Il Giornale d’Italia - 10 giugno 1954.
(7)“Lettera ai convenuti di lmola”pubblicata da“Il Popolo”il 27 ottobre 1946, ora in“Politica di questi
anni”, op.cit.
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