POLVERI SOTTILI
di MICHELE GOVERNATORI e MARIA GRAZIA LUCCHIARI da AGENDA COSCIONI A. VI N. 02 Aprile 2011
Riscaldamento e traffico. Quante volte qualcuno è venuto a casa vostra a controllare che la caldaia fosse in regola con le emissioni? E in quante città italiane la tutela dell’aria, dei centri storici e dei pedoni ha avuto la meglio rispetto alla solfa dei commercianti del centro che difendono l’accesso in macchina da parte dei clienti?
Secondo l’Organizzazione Mondiale per la Sanità, considerando i soli 30 capoluoghi di provincia della pianura Padana, il numero di morti premature attribuibili alle polveri sottili è stimabile in 7 mila l'anno. L'Agenzia Europea per l'Ambiente da parte sua inserisce 17 città italiane tra le prime 30 più inquinate del continente, con Torino, Brescia e Milano che si piazzano tra il secondo e il quarto posto nella triste classifica.
Sappiamo che le condizioni climatiche che impediscono il ricambio dell’aria in val Padana rendono la situazione locale ancora più difficile, ma resta il fatto che di polveri sottili (particelle in grado di raggiungere gli alveoli polmonari senza essere intercettate dai filtri del nostro apparato respiratorio) si muore. E che le amministrazioni locali – responsabili del rispetto delle soglie massime di inquinanti nell’aria - hanno dato prova di non riuscire a realizzare politiche adeguate di controllo delle emissioni. Talvolta rimanendo addirittura inerti.
Per esempio perché omettono di presentare un proprio piano di azione per il contenimento dell’inquinamento atmosferico. Come il Comune di Treviso che non ha ancora presentato il piano per migliorare la qualità dell’aria, in una provincia dove su 95 Comuni nel 2009 solo 26 avevano presentato i rispettivi piani d’azione. Né, dopo che la procura di Venezia ha chiesto il rinvio a giudizio per l’ex assessore regionale all’ambiente per non aver reagito alla diffusa emergenza-smog dal 2005 al 2010, i Comuni e le Province interessati si sono costituiti parti civili.
Possono però farlo al loro posto i singoli cittadini, attraverso l’azione popolare, un’iniziativa prevista dal testo unico degli enti locali. Il principio del “conoscere per deliberare” potrebbe allora essere la leva decisiva per risvegliare la consapevolezza degli abitanti delle zone più colpite dall’inquinamento. Partendo dalla conoscenza, e ancor prima dalla disponibilità, dei dati.
Veniamo allora ai dati. La responsabilità di monitorare gli inquinanti dell’aria (quelli per cui sono previste soglie di legge, ma anche altri nel frattempo considerati altrettanto o più pericolosi, come le sottilissime PM 2,5) è delle Regioni, che svolgono quest’attività tramite le Agenzie Regionali per l’Ambiente, le quali installano centraline di rilevamento nel territorio.
Il gruppo di lavoro Ambiente di Radicali Italiani guidato da Massimiliano Iervolino con l’aiuto di Agorà Telematica di Luca Nicotra ha lanciato una campagna di monitoraggio della disponibilità online dei dati delle centraline italiane, con richiesta di accesso agli atti inviata per posta certificata alle ARPA italiane.
Ebbene, è ancora presto per trarre conclusioni, ma l’andazzo sembra chiaro: i dati nei siti delle ARPA sono perlopiù parziali, disomogenei nella presentazione, aggregati e quindi inutilizzabili in modo automatico.
A proposito di parzialità, e ancora prendendo il Veneto come esempio (e senza essere per ora in grado di classificarlo come esempio vizioso o virtuoso rispetto alla media): dall’autunno scorso i dati sul sito web dell’ARPA Veneto non consentono un’immediata lettura della qualità dell’aria. Chi abita a Vicenza, per esempio, da mesi può “vedere” solo una centralina, per giunta posta in una zona di basso traffico, mentre le altre dieci mantengono il silenzio. Se ci spostiamo a Verona, anche lì solo 5 centraline su 11 danno le informazioni sui livelli degli inquinanti. E così a Venezia, dove vediamo 5 centraline su 10. Perché?
Già un’interrogazione di Elisabetta Zamparutti ai ministri della salute e dell’ambiente ha chiesto il rispetto della convenzione di Ahrus per la diffusione dei dati di qualità dell’aria. Ma anche quando i dati ci sono, non sono in generale dati grezzi rielaborabili, bensì numeri acquisibili solo con complicati copia-incolla manuali, e da formati diversi talvolta perfino tra provincia e provincia. Capita addirittura di imbattersi in barriere “anti-robot”, cioè in sistemi di verifica ottica che obbligano il navigatore a decifrare un codice per dimostrare di non essere una macchina automatica di raccolta. Meccanismi forse comprensibili quando si parla di dati privati di cui si voglia impedire l’uso massiccio a scopo di lucro, ma non certo se si tratta di informazioni per loro natura pubbliche.
La conclusione parziale che forse si può trarre è che nel campo del diritto dei cittadini alla conoscenza di ciò che respirano c’è un mare di strada da percorrere per arrivare alla completezza dei dati. Ma ancor più per arrivare all’utilizzo tramite le Agenzie Regionali per l’Ambiente dei dati disponibili.
Forse è anche per questo che la maggioranza dei cittadini non chiede ancora conto, col voto o con la propria voce, dell’inadeguatezza delle politiche locali per la prevenzione dai danni d’inquinamento
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