sabato 29 gennaio 2011

«Mio padre Gaetano: Un imprenditore liberale e socialista»

INTERVISTA. A quasi 40 anni dalla morte, il figlio Giannino Marzotto ne tratteggia la complessa figura.
«La sua tensione verso la società fu una costante Non lavorò per accumulare ricchezze, ma l'interpretò come un dovere di iniziativa, mai in contrasto con l'interesse collettivo»
da Il Giornale di Vicenza
28/01/2011
Intervistatore Ivano Tolettini

D. Conte Giannino, suo padre Gaetano a soli 28 anni, a causa della morte del padre Vittorio Emanuele nel '22, assume le redini dell'azienda in un'epoca di fortissime tensioni sociali. Erano gli anni dell'avanzata del comunismo a livello internazionale, in cui la lotta di classe si radicalizzava. Anche nel Vicentino ci furono dei moti. Che cosa le diceva di quegli anni iniziali della sua stagione imprenditoriale?
R. Vede, mio padre non è mai stato molto "ciarliero" . Egli era rimasto turbato dalle dure lotte sindacali degli anni '21-'22. Era un patriota e credeva nel nostro Paese. La responsabilità è sempre stato l'"habitat" dei Marzotto per questo accelerò il suo intervento sul piano sociale. Era un uomo del suo tempo, ma aveva la vista lunga, e fece tutto ciò che poteva per assecondare il progresso. Egli svolse un ruolo di supplenza sul piano sociale rispetto alle fragilità e povertà del sistema Italia di quel tempo.
L'avvocato Gianni Agnelli diceva di lui che era un industriale vulcanico, un vero creatore d'imprese.
Certamente lo era. Aveva una volontà ferrea, era molto disciplinato, e aveva una generosità estrema. Razionalizzò il ciclo produttivo e diversificò gli investimenti.
D. Con voi figli com'era?
R. Bisogna considerare due aspetti. I rapporti del tempo tra padre e figli, e l'opera industriale nella quale si era impegnato. Era troppo impegnato e assorbito dagli impegni per avere frequenti ed affettuosi rapporti con noi otto figli. Anche se poi purtroppo Domenico mancò troppo presto a 16 anni nel 1939. Della mia infanzia, per esempio, ricordo un potente scapaccione, che riuscii a evitare di un soffio. I rapporti coi figli, dunque, li coltivava mia madre.
D. Suo padre andò a studiare in Germania.
R. Mio nonno l'aveva mandato a studiare a Colonia perché per lui voleva un'istruzione all'avanguardia in campo tecnico e papà gli era riconoscente per questo. Aveva fiducia e speranza in lui. Vede, il problema della successione è sempre stata una questione importante e presente in casa Marzotto. Questo spiega perché ci sono sei generazioni di imprenditori. Un caso unico a livello italiano.
D. Del resto, lei stesso, conte Giannino, fu nominato consigliere delegato giovane.
R. In effetti, mio padre mi incaricò della responsabilità nel 1957, avevo 29 anni e feci, probabilmente, meglio dei vetusti collaboratori. Ma così feci anch'io nel 1972 quando designando Pietro, che aveva solo 32 anni, abbiamo assicurato un lungo periodo di sviluppo aziendale.
D. In un Paese come il nostro è sempre stato piuttosto raro affidare i posti chiave ai giovani.
R. Guardi, dobbiamo partire dal presupposto che ci siano le capacità di base e la preparazione in chi si sceglie per il ricambio generazionale. Io se analizzo il lavoro svolto da mio fratello Pietro, rimasto per oltre trent'anni alla guida del gruppo Marzotto, non posso che plaudire alla sua opera di grande imprenditore. Tornando ai giovani, essi hanno ovviamente meno esperienza, ma anche minori condizionamenti. Tolgono le "incrostazioni", dunque, per me bisogna investire sui giovani. Dapprima bisogna farli crescere, poi, dove c'è stoffa, lanciarli.
D. Torniamo al giovane Gaetano Marzotto.
R. Appunto, egli attuò una diversificazione accentuata rispetto al tradizionale settore tessile, frutto della sua fantasia e delle sue percezioni delle esigenze sociali.
D. Facciamo degli esempi.
R. Prenda Zignago a Portogruaro. Nacque in un periodo di crisi tra Italia e l'ex Yugoslavia. Il primo ministro Pella inviò le truppe al fronte e mio padre, che credeva nell'Italia, manifestò concretamente la necessità di reagire concretamente alla paura col progetto Zignago. I prodromi di questo suo pensare li ricordo in lunghe serate in esilio nel biennio '44-'45, durante la guerra, quando spiegava come fosse difficile per un bracciante vivere bene col sistema di lavoro vigente che voleva trasformare. Come in effetti mio padre fece, non sempre con successo.
D. Non fu l'unico caso, immagino.
R. Anche la creazione della catena del Jolly Hotel fu emblematica. Lui girava molto in automobile e vedeva la totale mancanza di strutture nel Meridione. Questo lo spinse a creare una catena di piccoli alberghi con modestissimi aiuti delle istituzioni. In un decennio costruì 50 alberghi. Prima costruiva poi negoziava le condizioni. Io ritengo che questo fosse sbagliato.
D. In Gaetano Marzotto la tensione sociale è pari a quella di realizzare la missione imprenditoriale. Nel decennio 1927-1937 diede impulso al progetto e alla costruzione a Valdagno della "città dell'armonia". Se la fabbrica-impresa è il centro degli interessi, attorno cresce la città con le case per operai impiegati e dirigenti, le scuole per i figli, le strutture per il tempo libero (o dopo lavoro) e la casa di riposo. Un sistema integrato "dalla culla alla tomba".
R. Preferisco dire un sistema "per tutta la vita". Non c'è dubbio che la tensione sociale in papà fu una priorità in un'epoca in cui non esisteva per nulla il welfare. Ricordo che il presidente del consiglio De Gasperi definì questo impulso «fervore d'iniziativa e straordinaria sollecitudine per i problemi umani e sociali». Tempo fa fa volevo scrivere un libro dal titolo "il Linguaggio della Pietra" giustappunto per meglio inquadrare il Pensiero di un Uomo. Guardando la Storia edilizia di Valdagno, La Città dell'armonia, bisognerebbe chiedersi se è nato prima l'asilo o la casa di riposo, le scuole elementari o quelle professionali, la piscina o il "dopolavoro". Esiste certamente un equilibrio instabile tra pensiero ed azione , ma la realtà determina quanto ha precedenza.
D. Perché allora l'immagine che è rimasta di suo padre è quella di un industriale duro, che andava avanti per la propria strada costi quel che costi, a volte senza la giusta diplomazia? Anche se i risultati sono stati tutti dalla sua parte...
R. Le rispondo con le sue parole del 1962. "La mia vita fu presto caratterizzata dalla intima e maturata convinzione della necessità di affrontare e di avviare a soluzione con criteri pratici quelle divergenze conseguenti alla lotta di classe che in gran parte trovano origine nel disagio economico e nella mancanza di fiducia reciproca. Di qui lo sforzo di creare nuove fonti e nuove possibilità di benessere e tranquillità per le maestranze. Posso affermare in coscienza che nel corso di lunghi anni ho sentito sempre maggiormente questo impulso e la preoccupazione di nobilitare il lavoro utilizzando le migliori condizioni". Questo era mio padre, che diceva di avere "sempre agito di mia iniziativa fuori da ogni privilegio artificiosamente creato, nella speranza di contribuire a rendere la vita più felice e serena". Egli parlò dopo averlo fatto.
D. Che rapporto aveva con la ricchezza?
R. Papà non ha lavorato per accumularla. Egli la interpretava come un dovere d'iniziativa e di dovere sociale. Era molto attento alla fase della distribuzione. Mi ha sempre colpito ciò che diceva, cioè che il padre l'aveva lasciato più ricco di quanto non fosse necessario per vivere bene e agì ai fini del benessere sociale, mai in contrasto con l'interesse collettivo.
D. Come avrebbe affrontato la crisi odierna?
R. Me lo sono chiesto e ritengo con "coraggio intelligente ed intelligenza coraggiosa" perché mi diceva, "vedi Giannino, il coraggio senza intelligenza è temerarietà, l'intelligenza senza coraggio è spesso sterile". Mio padre era prudente, ma poi quando serviva era molto deciso. Non sarebbe stato né improvvido né vile. Gli dava fastidio il "pensare egoista e meschino, l'incapacità di comprendere che il mondo è di tutti".
D. La vostra famiglia è di tradizione laica. Quale fu il rapporto di suo padre con la politica?
R. I Marzotto sono sempre stati laici, ma non mangiapreti. Io stesso dichiaro di essere "pagano", ma non per questo trascuro l'insegnamento della Chiesa, la proficua cura del prossimo e il doveroso rispetto dovuto alle opinioni o credenze altrui.
D. Una famiglia liberale.
R. «Mio bisnonno fu liberale e così mio nonno, in antagonismo con il partito popolare. Contrasti che portarono all'esclusione da incarichi politici. Mio padre col fascismo ebbe certamente un atteggiamento normale quando questo, pur guidato da un socialista come Mussolini, promuoveva il progresso nazionale istituendo organismi nuovi e proficui. Incontrò qualche volta Mussolini. Molte benemerite istituzioni furono create prima del 1930, ispirate alla protezione dei ceti più deboli. Probabile che la burocrazia le abbia poi corrotte.
D. I rapporti con la monarchia?
R. Essa fu "variabile attuale, ma inconsistente". Nel 1935 mio padre, ostile all'autarchia, fu minacciato di confino. Poi fu persino nominato "conte di Valdagno e Castelvecchio". Il motto fu "sua texit labor fata" (il lavoro tesse i destini). Ma preferiva farsi chiamare "sior Gaetano".
D. Poi con la Repubblica?
R. Egli era ospitale con gli esponenti. Ricordo il miglior brodo di tagliatelle e fegatini mangiato con l'onorevole Piccioni a Thiene dal monsignore dell'epoca. A Portogruaro, meta dei curiosi progressisti, vidi il futuro presidente della Repubblica Gronchi ed altre innumerevoli autorità nazionali e straniere. Per contro, egli era ostile al repubblicano Randolfo Pacciardi che aveva escluso la Marzotto da ogni fornitura statale perché amico di Giannini, fondatore del movimento "Uomo Qualunque": un abuso secondo lui.
D. Chi ammirava?
R. «Senz'altro Einaudi e De Gasperi, anche contro la Dc locale. Era amico dell'America alla cui ambasciatrice Luce donò quadri preziosi dell'Ottocento italiano».
D. Era cultore dell'arte.
R. Già, e recitava spesso Carducci: "Fuga di tempi e barbari silenzi vince e dal flutto delle cose emerge sola, di luce ai secoli fluenti faro, l'idea". Così imparavo da Lui a memoria condividendo.
D. Lei seguì suo padre in azienda dal 1946.
R. Egli girava tutta la mattina per gli enormi reparti, ed io lo seguivo come un cagnolino. Li conoscevo come le mie tasche. Quindi stavo con lui in ufficio per ogni tempo, comprendendo all'inizio assai poco, ma memorizzando tutto. Mi fu utile in seguito.
D. Oggi si parla tanto di produttività.
R. Ricordo che si lavorava per 307 giorni all'anno. Retribuzioni e qualifiche erano viste con larghezza, conseguentemente. Non vi furono mai i "conflitti sociali" che caratterizzarono l'era del centro-sinistra, anche se negli anni seguenti le pregresse "condizioni di maggior favore" pesarono sui bilanci che gestì il consigliere delegato, cioè il sottoscritto. Egli diceva che nei 5 anni di guerra gli stock di materie prime erano aumentati paurosamente, ma gli armadi dei "bombardati" erano stati ancora più svuotati. La sua fu una visione strategica corretta. Ricordo che in un anno le materie prime, in particolare la lana, centuplicarono i prezzi. Questo portò a rilevanti profitti che influirono sulle sue scelte di carattere sociale della Marzotto. Mio padre, in quegli anni, e lo fu a lungo, era il maggior contribuente italiano. Ne andava fiero, altri tempi.
D. Lei intanto si avvicinava alla stanza dei bottoni.
R. Tra il 1948 ed il 1950 io lasciai la fabbrica per lo studio. Poi papà fu colpito da un infarto. Creò una specie di direzione collegiale invero non molto efficiente. Venne poi la Guerra di Corea. Papà aveva una cultura e esperienza bellica. Pensò che le materie prime sarebbero salite di prezzo come di consueto. L'interpretazione era errata, e poiché non la condividevo si trasformò in una affettuosa stima per me. Debbo, forse, a questo mia intuizione la precoce carriera.
D. Indro Montanelli in un celebre ritratto di Gaetano Marzotto per il Corriere della Sera nel 1949 scrisse che era un "costruttore sociale", in un'epoca in cui la parola welfare muoveva i primi passi nel mondo anglosassone.
R. «Il welfare ha avuto origine in Inghilterra e mio padre è sempre stato attento alle istanze della sua gente. Bertrand Russel in un magnifico libro parla di Robert Owen che era di umili origini e divenne grande imprenditore tessile. Direi, con un ossimoro, un utopista concreto. Dedicandosi poi alla causa dei poveri perché era un "liberale-socialista". Proprio come mio padre, anche lui era di idee liberali, ma aveva una visione socialista, nel senso che ha agito per distribuire il benessere, con una concezione ricardiana, tra la sua gente. Egli era un conservatore progredito che credeva nei giovani e nel cambiamento. Di mio padre apprezzavo un motto che ho fatto sempre mio: "Dico ciò che penso, faccio quello che dico"».

Un'eredità pesante. Quella di Gaetano Marzotto (1894-1972) è una figura dominante del capitalismo italiano per quarant'anni. È uno dei grandi protagonisti dall'inizio degli anni Venti fino a tutti gli anni Cinquanta. Sono passati quasi quarant'anni dalla sua morte. Quando si parla di un personaggio come il conte Gaetano c'è il rischio della retorica. Scriverne nel mezzo di una crisi economica che sta mettendo a dura prova l'Occidente, lui che aveva vissuto da giovane al timone della Manifattura Lane Marzotto quella del 1929, è un modo per ricordare che nelle difficoltà ci sono sempre uomini la cui lungimiranza è in grado di indicare traiettorie feconde.
Su Gaetano Marzotto è stato scritto molto. Restano le sue intuizioni e un progetto sociale che nel 1951, durante una polemica sul "paternalismo", così descrive. «Se l'avere provveduto al benessere dei lavoratori spontaneamente e in mancanza di iniziative statali viene qualificato come paternalismo, noi accettiamo questa qualifica e dichiariamo che abbiamo mirato alla elevazione sociale, al miglioramento del tenore di vita, al benessere, all'unione delle famiglie, per alleggerire loro le preoccupazioni giornaliere onde potessero vivere più serenamente secondo le leggi sociali e morali».
Per aiutarci a rileggere aspetti inediti della sua figura, è necessario sentire il racconto di chi l'ha conosciuto da molto vicino, ha messo in pratica le sue idee ed è stato il primo a raccoglierne il bastone del comando: il figlio Giannino, oggi alle soglie degli 83 anni, che all'insegna di quella filosofia di vita e imprenditoriale tipica dei Marzotto - «i poteri si delegano, le idee no» -, aiuta a guardare a Gaetano cogliendo aspetti meno noti. Come quando spiega che l'essenza ideologica del padre è stata «liberale-socialista» perché il drammatico confronto sindacale del 1921, lo spinse ad elaborare una strategia di stampo filantropico per la costruzione della "città sociale" improntata al "welfare d'impresa" antesignano dello stato sociale.

Nessun commento:

Posta un commento